Letteratura
La serenità di non leggere libri (se corpo e anima ti indicano così)
La risposta più cool – “L’ultimo di Teresa Ciabatti” (in questo tempo sembra che vada molto dire che tuo padre era un povero stronzo) – l’avrebbe data sicuramente il Bomba sveglissimo, piazzandogli per soprammercato anche un altro paio di titoli possibili, tipo un McEwan e un nativo digitale cazzuto per sembrare più introspettivi e visionari. E invece Paolo Gentiloni, proprio sull’ultima domanda di Mario Calabresi a RepIdee: «Che libro sta leggendo?», ha risposto candidamente che non stava leggendo nulla: “Potrei bluffare – così il presidente del Consiglio -, conosco titoli in circolazione. A Palazzo Chigi non c’è tempo per leggere libri, ma c’è sempre un’altra vita davanti e a me piace molto leggere”.
A Bologna questa risposta ha prodotto due reazioni di segno contrario: l’applauso della platea che ha riconosciuto al premier una certa ingenuità e lo sdegno controllato di un editore importante come Giuseppe Laterza che ha preso carta e penna e ha scritto a Repubblica una lettera aperta al Presidente del consiglio: «Tornando a Roma mi sono chiesto perchè la tua frase mi avesse sconcertato». Racconta nelle prime righe del pezzo: «Ci conosciamo da ragazzi. Nei primi anni Settanta siamo stati studenti del Tasso a Roma e abbiamo partecipato – con quella stessa passione – alle assemblee del Movimento studentesco. Anche per questo sono stato contento della tua nomina a Primo Ministro: ti stimo persona competente, onesta e seria». Una premessa che inevitabilmente porta Laterza a considerare scandaloso il disimpegno del premier rispetto alla lettura: «Credo che leggere un buon saggio non sia sostituibile con altre forme di conoscenza, come un giornale o un rapporto statistico (…) Non ho dubbi che la lettura sia un piacere, come hai detto. Ma leggere libri è una necessità. E per chi ha un incarico assorbente è una necessità anche prendersi il tempo che la lettura di un libro richiede. Per riflettere più liberamente, per collocare le proprie decisioni in un contesto più ampio (…) Chi è parte della classe dirigente, sia imprenditore o manager, avvocato o medico, giornalista o politico, può permettersi di non leggere libri perché ha poco tempo?». Eccolo, il punto etico di un editore come Laterza, non è più una questione di piacere (personale), che semmai segue a molte incollature, piuttosto è una questione di responsabilità sociale alla quale un uomo pubblico come Gentiloni non dovrebbe mai sottrarsi.
È in questo nodo, il nodo della lettura (obbligata) dei libri, che si nasconde uno dei principi cardine della nostra civiltà: il grado di autonomia intellettuale degli individui (e dagli individui). Seguendone l’ispirazione, dovremmo considerare la sincerità di un uomo politico come Paolo Gentiloni, in quel frangente sulla poltrona più importante d’Italia, come un momento altissimo di autodeterminazione anche a rischio, nella migliore delle interpretazioni, di sberleffo e nella peggiore, di autentica indignazione come quella espressa da Giuseppe Laterza e, non abbiamo dubbi, da molti altri intellettuali del nostro Paese.
Del resto, c’è una domanda più infida e subdola di “Cosa stai leggendo in questo momento?” È una domanda che intende indagare il nostro mondo, tesa comunque a giudicarne i parametri, costruita esattamente sulle nostre fragilità di uomini fallibili, con un carico di aspettative pregiudizievoli che prelude inevitabilmente a uno stato di possibile malessere psicanalitico, il nostro, la sindrome da “inferiore”, spingendoci inevitabilmente a dare una risposta purchessia anche se in quel momento, come per Paolo Gentiloni, non abbiamo tempo di leggere. O non abbiamo voglia. O non ci sentiamo di leggere. Mai sentiremo da qualcuno rispondere: «Nulla». Se dovesse accadere, non disperdete per nessuna ragione quella conoscenza, è preziosa. Ognuno di noi, invece, si vergognerebbe un po’, la maggior parte richiamerebbe alla memoria qualche tomo inoppugnabile della Storia, chessò un Guerra e Pace, per opporlo come un moloch al giudizio dei “migliori”.
Per intenderci: leggere è. E con ciò vorremmo chiudere ogni discussione sull’importanza della lettura, che è precondizione. Ma il pendolo tra dovere e piacere, richiamato da Laterza, ci porta in un territorio molto delicato. Richiama, se possibile, l’istituzione del voto, che da dovere civico che fu (vi era addirittura una segnalazione al casellario giudiziario in caso di non voto) negli anni si è trasformato in responsabilità civica. Nel senso che ognuno di noi sa bene il peso sociale che rappresenta all’interno di una comunità democratica, ma sa altrettanto coscientemente che una non soddisfazione delle opzioni politiche sul campo, potrà anche suscitare un non partecipazione altrettanto responsabile.
Naturalmente per i libri sarebbe spericolato e anche un po’ cretino sostenere che al mercato delle opzioni letterarie non vi sia nulla che possa soddisfare il lettore. La storia (ma anche il contemporaneo) porta sempre con sé il libro perfetto con cui accompagnarsi. Ma anche se la lettura ha sempre, come dire, una risposta pronta, alta, bassa o bassissima, che sia, non è detto che a essere pronto sia il lettore. Il quale ha perfettamente diritto a non leggere, se non si sente pronto, se il suo animo in quel momento non si dispone a certe condizione, se gli eventi della vita configgono con quello stato di serenità o di inquietudine che generalmente accompagnano la lettura. E ciò riguarda, gentile Laterza, anche chi culturalmente avrebbe dei doveri in più, in virtù della sua posizione all’interno della società.
La sincera ammissione di Paolo Gentiloni sui libri, che com’era prevedibile (gli) costerà, abbatte finalmente l’ipocrisia delle convenzioni borghesi, quel mondo da birignao letterario che non aspetta altro di incontrarti per strada o a un aperitivo figo e chiederti: «Caro, cosa stai leggendo in questo momento?»
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