Letteratura
“La scrittrice obesa”, un racconto snello e intriso di attualità
Il romanzo, edito da Arkadia nella collana Eclypse, sin da subito trasmette una immediata sensazione di veridicità, come se si stesse passando in lettura una cronaca dettagliata e ben raccontata di una vicenda accaduta non lontano da noi, nel nostro quartiere o nella nostra cittadina di provincia. Un dramma moderno e contemporaneo quello di Marisa Salabelle, pescato nel labirinto terribile dei fenomeni sociali del nostro tempo, dove la solitudine dell’anima e l’ansia del fallimento portano a una degenerante insoddisfazione di fondo. Sempre di più, infatti, sono le persone che si relazionano all’esistenza senza avere rapporti e frequentazioni all’esterno, se non in via del tutto sommaria.
Susanna sguazza nella sua solitudine, vissuta come un malessere, dove la tristezza non trova lo sbocco ideale nella sublimazione della creatività, essendo alienata da un caratteraccio che si manifesta ai limiti della nevrastenia. La condizione pone, dunque, la protagonista come un modello urticante per chiunque, a partire dai suoi vicini di casa e alle poche persone che conosce, fino ad arrivare alla sua migliore amica. Susanna si è trasformata in una donna obesa e mangia qualsiasi schifezza da asporto. Bene al di là delle sue opere inedite, è soprattutto una scrittrice, nel senso che certamente risulta oltremodo affetta dal morbo della scrittura, da farne un’ossessione che va di pari passo con quella del cibo, ma non saprei, a onor del vero, se altrettanto insana. Inutile formulare giudizi sulla pulsione fantasiosa di una donna ingrassata a dismisura, che spinge a ogni costo verso la letterarietà ciò che vive e osserva. Certo, il suo esercizio potrebbe essere inteso come una mania, ma anche percepito come l’adesione a una propensione naturale, o avvertito come sfogo di una condizione dell’animo. Sta di fatto, che la nostra “donna cannone” di degregoriana memoria (la protagonista scrive lettere, probabilmente mai aperte, a diversi artisti e personaggi, tra cui anche il cantante Francesco De Gregori) miscela a tempo realtà e fantasia, creando, più che un filo di speranza, una soluzione autodistruttiva che ha la sua eccezionalità in uno sfrenato e irrinunciabile bisogno di mangiare e scrivere oltre ogni limite. Si può abusare della scrittura come del cibo? Ecco una domanda che bisognerebbe rivolgere all’autrice. Una cosa è certa: non ho avuto mai la percezione, leggendo il libro, che “la scrittrice obesa” potesse produrre una letteratura di pari grado al cibo spazzatura che lei consumava. Anzi, mi è sembrato che quanto più questa mangiasse in maniera scriteriata, tanto più maturasse presupposti letterari pregni di una certa forza attrattiva, frutto evidentemente di un talento che per una ineluttabile e puntuale fatalità non poteva essere sottratto all’emarginazione e a un’amara solitudine.
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