Letteratura

La scomposizione

29 Aprile 2018

La scomposizione è il dramma del secolo scorso che ha dato vita ad un’opera che descrive questa tragica condizione: “L’uomo senza qualità” di Robert Musil.
Possiamo attingere da questo romanzo incompiuto, scritto a ridosso del primo conflitto mondiale e rimasto incompleto nella temperie della seconda guerra mondiale, il significato del nichilismo, di cui aveva parlato anche Nietzsche.
Musil infatti muore nel 1942, ma assiste all’annessione dell’Austria da parte della Germania di Hitler: l’Anschluss nel marzo del 1938.
Egli tuttavia ha vissuto il crollo dell’impero austro-ungarico e dunque di ogni certezza politico ed ideologica,del senso del compiuto e dell’intero.
L’Io non è centro unificatore di intelletto e di sentimento: si avverte la scomposizione, la rottura dell’unità pensante.
Vi è una discontinuità delle idee,che non si appoggiano ad un nucleo centrale.

L’uomo senza qualità non possiede se stesso, non coincide con i propri sentimenti, con le proprie azioni, con la propria vita. Non è dominato dal suo io. Dietro il suo volto si apre un vuoto impenetrabile, che nessuno riuscirà a colmare.
I pensieri sono frammenti sparsi, non si racchiudono in una concatenazione, che è solo apparente.
Tutto ci sfugge tra le mani, tutto obbedisce alla forza elusiva della metamorfosi.

Trovare un punto fermo in questo vortice di linee in movimento è un’impresa disperata,come quella di piantare un chiodo nello zampillo di una fontana.
I nostri pensieri non sono uniti nella nostra mente, che pensa tutto ed il suo contrario; sono seduti in giro.
Siamo alla ricerca di un pezzo mancante, piccolissimo che forse chiude un cerchio spezzato.
Cerchiamo un super intero che conferisca una dignità e contenga tutti gli altri cerchi che costituiscono la nostra esistenza.
Non c’è un ordine, una misura, un limite.
Crediamo fallacemente che la nostra sia una vita che abbia un punto di partenza ed un punto di arrivo,ma non è così.
Siamo dentro un movimento indefinito,incapaci di dominarlo.
Non esistono le coordinate dello spazio e del tempo, non vi è differenza tra il vuoto ed il dentro. Si è pieni e vuoti d’amore ad un tempo.Tutto è trascurabile, elusivo, impenetrabile, perché non siamo capaci di avere una certezza.
Siamo in balia delle cose.
Giorno e notte viaggiamo dentro ad esse e vi svolgiamo la nostra attività; ci si rade, si mangia, si ama, si leggono libri, si esercita la nostra professione, come se le quattro pareti stessero ferme e l’inquietante e che le quattro pareti viaggiano, senza che ce ne accorgiamo e proiettano innanzi le loro rotaie come lunghi fili, adunchi e brancolanti, senza che noi sappiamo verso quale meta.
Gli uomini passano sulla terra come profezie del futuro e tutte le loro azioni sono prove e tentativi, perché ogni azione può essere superata dalla successiva.
Abbiamo perduto il sentimento dell’armonia: pensiamo di aver conquistato la realtà e,seppure fosse, abbiamo smarrito il sogno.
Non stiamo più sdraiati sotto un albero a contemplare il cielo attraverso le dita dei piedi,ma lavoriamo e fatichiamo, non riusciamo a liberarci da quella sordida smania di animalesca laboriosità.
Non sappiamo cosa vogliamo; vi è un’intima contraddizione che muove la nostra vita e che forse non regge neanche alla sicurezza di un’identità: le contraddizioni infatti entrano dentro di noi,come una freccia incendiaria in un tetto di paglia.
La nostra esistenza è come una calamita che lascia libere le particelle di ferro ed esse tornano a confondersi come i fili che cadono da un gomitolo, o come i vagoni di un treno che si sganciano e deragliano o come un’orchestra nella quale i musicisti seguono partiture diverse.
Non esiste una verità che abbia una sola strada ed un solo abito,è sempre in svantaggio.
La nostra esistenza è come un letto sconvolto da un dormiente che ripugna a destarsi per non guardare in faccia il giorno che viene, pieno delle sue tribolazioni.
L’essenziale accade nell’astratto e l’irrilevante nella realtà.
Anche senza essere ubriachi si può vedere vacillare il mondo: i muri delle strade ondeggiano, come quinte dietro le quali qualcosa aspetta il segnale per uscire.
Nelle città si corre in modo forsennato e non si sa dove si arrivi e quando si arriva: non siamo mai contenti.
Siamo degli illusi a pensare che l’uomo sia padrone di sé stesso e non invece frutto e risultato di interazioni con una realtà mutevole e cangiante, ove l’intero si è perduto.

Nel fondo del binocolo dell’uomo rimane la vita minima.
La casa è in fiamme e non vediamo nulla: abbiamo la diligenza di un tarlo nella cornice di un quadro.
Sarebbe meglio un campo illuminato dalla luna,perché la felicità è inafferrabile e non è mai di tutti. Questo forse Dio lo ha dimenticato.
Siamo immersi in una nebbia che continuamente muta contorni e forma: i confini prima netti ora si cancellano.
La totalità non esiste più: il tentativo di ricostruirla è posticcio,artefatto,inautentico.
C’è l’anarchia dell’atomo e l’intero non è più un intero.
Del significato della vita ne rimane solo nostalgia.
Alle cose non si può mettere una camicia di forza, perché diventano inafferrabili e si mescolano nel limaccioso fluire.
La falsità prende corpo e la mistificazione della realtà è certa, inesorabilmente irriducibile, come un chiodo insensibile ai colpi di un pesante maglio.
Le cose hanno perso i loro nessi consueti, si sono disarticolate e non ne cogliamo la realtà intima e retrostante.
Il particolare si affranca dalla totalità costrittiva ed assume una sua portante dignità.
L’anima vuole liberarsi dalle catene ferree della causalità deterministica.
Ci può aiutare a vivere,in questo mondo fatto di false certezze, l’amore per il congiuntivo,che per noi rappresenta il regno della possibilità,il rifiuto di ogni determinazione accertativa portata dal modo indicativo, costituito da una rete barcollante.
Potremmo vivere in una tessitura piú sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi e scoprire ancora la terra,il cui grembo è affascinante per un futuro lontano,come lo sconfinato mare.

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