Letteratura
La ricognizione del dolore: Michela Marzano
“Anche se l’astuzia della ragione consiste nel farci credere che sappiamo sempre, dall’inizio alla fine, ciò che vogliamo, esiste un’opacità strutturale del desiderio che ci impedisce di sapere veramente quello che vogliamo, di volere veramente quello che diciamo di volere”.
L’astuzia della ragione e l’opacità della struttura del desiderio: da Platone a Marleau Ponty si arriva col libro Volevo essere una farfalla alla filosofia incarnata di Michela Marzano.
Partendo dal racconto della sua storia di anoressia, da un evento che la attraversa -ci dice-, esattamente come la Arendt venne travolta dal totalitarismo, la Marzano trova le parole per uscire da quel labirinto di specchi volontaristici che esiliano il corpo, confinandolo a bottino di guerra nella battaglia tra mente e corpo.
Anoressia è avere tantissima fame, altro che inappetenza.
Nella dialettica col corpo è il discorso della fame a diventare forsennato e assoluto. Contenere la fame diventa come professare la religione di un Dio vendicativo e inflessibile, che costringe a un’eterna ragioneria delle calorie assunte e delle azioni per porvi rimedio: la fame come tentazione che ti fa oscillare tra peccato e remissione in un desolante e feroce ping pong.
Fare etica, dice la Marzano, significa cercare di prendere in conto l’estrema condizione della fragilità umana, e lei nel mantenere la promessa che si è fatta, c’è da credere, in un momento di calmo terrore, lo fa.
Lo fa soprattutto accettando il sintomo fame come espressione globale di dipendenza che, però, ci dice, rafforza l’autonomia dell’individuo.
Nello sciogliere questo paradosso l’autrice scappa dal totalitarismo dell’anoressia. E, nella progressiva accettazione dell’umanità della dipendenza dall’altro, gli viene restituito il suo corpo; poiché le persone hanno una dignità e quindi una riconoscibilità e sono invece le cose ad avere un prezzo e quindi una quotazione.
Con un percorso curiosamente inverso a quello che fa Irvin Yalom, lo scrittore psichiatra che cerca di mettere sul lettino i grandi filosofi e di raccontarne le vite (Le lacrime di Nietzsche, il problema Spinoza etc..), Michela Marzano sposta il lettino e pure la cattedra, parlando della sua storia con una tesi spiazzante: il dolore è del tutto inutile.
Alla luce del libro si aggiunga che l’inutilità del dolore ne rende ancora più necessaria l’analisi.
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