Letteratura

La ragazza di Galway che tutti vorremmo poter amare

15 Maggio 2021

Ci sono molte Irlande. C’è una nazione divisa e litigiosa, in cui sono stati consumati tradimenti osceni, massacri disgustosi, intessuti intrighi imbarazzanti. Poi c’è un’isola di un verde accecante, ma anche piena di rosa, di lillà, di fucsia e mille altri colori continuamente agitati dal vento, uno dei posti più belli del pianeta, uno che ti toglie il respiro. E poi c’è la terra della malinconia irlandese, che è un modo di vivere e di soffrire. Il più intenso che io conosca. Ciò che mi sembra più vicino alla parola amore.

Cecelia Ahern ha davvero avuto una vita in discesa: figlia del primo ministro irlandese degli anni del boom finanziario, è cresciuta nella Dublino che veniva smontata e ricostruita degli anni 90, educata nelle migliori scuole, incoraggiata a seguire il suo talento. Sia lei che la sorella maggiore hanno da sempre frequentato il jet-set del pop irlandese, e Cecelia cantava negli Shimma, che hanno rappresentato il suo Paese all’Eurovision Song Context del 2000 – e non aveva ancora compiuto 19 anni.

Ho letto tutto ciò che lei ha scritto. Ha una penna musicale, davvero dolce ed appassionata, spiritosa e profonda e, soprattutto, è una donna che rappresenta tutto ciò che si può, si deve, non si può fare a meno di amare fino allo svenimento dell’Irlanda. Cecelia è la Galway Girl della stupenda ballata di Steve Earle del 2000. Quel cantautore country americano era in tour in Irlanda e si era innamorato di una ragazza di Galway al punto di mollare tutto e restare lì. Lei era una pallina d’argento di un flipper impazzito nel cielo d’Irlanda, piena di talento, insicurezza, romanticismo, paura della vita, diffidenza, un aristocratico provincialismo e lo distrusse. Steve scrisse quella canzone, che è un classico della musica irlandese – l’unico mai scritto da un americano.

Cecelia si è innamorata della canzone ed ha scritto il suo primo romanzo, “P.S. I love you”, proprio partendo da quelle righe. Una giovanissima newyorkese, in giro per l’Irlanda come premio per aver finito il liceo, si innamora di un ragazzone di Galway e lo sposa. I due vivono a New York una storia nella quale lui cerca di non perdere il contatto con la sua isola, e lei cerca in lui un’isola che non ha e non riesce a riconoscere in sé stessa. Poi lui si ammala di cancro e muore, e lei capisce, troppo tardi, quale tesoro inestimabile avesse nelle mani. Ma lui, che la sapeva, le prepara un dono inconcepibile che le viene recapitato, un pezzettino alla volta, dopo che lui è morto. Il libro, secondo me, ha la grandezza di Truman Capote, e la leggerezza di Alice Munro – ed è stato un successo commerciale travolgente.

A soli 21 anni Cecelia era una star e lavorava a dei racconti (che continua a pubblicare per scopi caritatevoli) ed un secondo romanzo, che avrà un successo analogo, e vende a Hollywood il primo libro, ottenendo di poter partecipare alla stesura della sceneggiatura ed alla scelta della colonna sonora. Io sono un ignorante, se si parla di cinema, e questo è sicuramente un polpettone romantico che molti schiferanno, ma a me prende tantissimo. Oltretutto, la produzione americana ci ha mischiato un po’ di “Friends”, e non solo per la presenza ed il ruolo di Lisa Kudrow. Non è importante la storia triste di lui che muore, ma la storia gloriosa, pazza e malinconica del loro amore, di lei che prende coscienza e scopre in sé stessa ciò che ognuno di noi dovrebbe avere: il proprio cielo della propria Irlanda. Perché quell’isola, teatro di tanto orrore, è un dono che Dio ha fatto all’umanità, e che l’umanità non sa gestire, non sa capire, non sa amare.

La colonna sonora ha due brani centrali: “Galway Girl”, cantata in karaoke in uno sperduto pub di campagna, e “Love You Till The End”, che è una delle canzoni più belle, tristi e misconosciute dei di Darryl Hunt dei Pogues. Sicché guardo il film, dopo aver letto e riletto il libro, come una sorta di quasi-musical sulla Dublino degli ultimi cinque anni del secolo scorso, quando la miseria scomparve per lasciare il posto al nulla ed al rimpianto per quel sogno raccontato da James Joyce e tanti altri autori indimenticabili. Essendo un musical, stavolta vi allego le due canzoni principali, ed i 70 secondi struggenti di Hilary Swank che canta i Pogues al marito che, purtroppo, non c’è più.

https://www.youtube.com/watch?v=0V5Jz1vmr2Y

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