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Letteratura
La poesia non dimentica Piazza Fontana
Un’antologia edita da Interlinea ha raccolto i versi che numerosi poeti italiani e stranieri hanno dedicato dal 1969 a oggi alla strage di Piazza Fontana e a Giuseppe Pinelli
Angelo Gaccione, curatore dell’antologia Piazza Fontana. La strage e Pinelli, nella prefazione al volume afferma che se esiste una sterminata mole di documenti giudiziari, scritti giornalistici, inchieste televisive, saggi, documentari e film, romanzi e rappresentazioni teatrali, canzoni e ballate “su quello che a tutti gli effetti possiamo considerare l’evento più empio e grave della storia del dopoguerra nel nostro Paese”, risulta “marginale, o forse meno nota, la produzione di testi poetici” relativi alla strage avvenuta il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano. Partendo da questa considerazione, il volume edito da Interlinea ha voluto assemblare testi poetici che su quel drammatico eccidio hanno espresso una testimonianza animata da consapevolezza civile e da indignazione umana e morale.
Il primo di questi interventi è in realtà un vibrante testo in prosa, scritto dal magistrato Guido Salvini, all’epoca studente del Liceo Classico Manzoni, che ricorda la propria partecipazione ai funerali di Giuseppe Pinelli nella zona popolare di via Preneste: “La scena era impressionante. C’era silenzio e tutte queste persone, vecchi e giovani anarchici, le bandiere rosse e nere. Tutti in un atteggiamento molto composto, non come ai funerali di oggi in cui si applaude”. Il suo è un ricordo commosso e rispettoso del ferroviere anarchico, di fronte al quale la giustizia italiana ha rivelato un doloroso volto di cecità e di iniqua scorrettezza. Salvini rievoca alcuni nomi di personaggi coinvolti nella morte di Pinelli: il questore Marcello Guida, i funzionari statali Antonino Allegra e Federico Umberto D’Amato, tutti concordi nel calunniarlo, come denunciarono allora i versi di Giovanni Raboni (“L’assassino s’è affrettato a sparlare del morto. / S’era sentito un assassino compatire il morto. / S’era visto un assassino baciare la fronte di un morto. / Vedi che gli assassini non trascurano i morti”). A colui che Salvini definisce un martire “non dimenticato e non dimenticabile”, Milano ha dedicato due targhe, proprio nei giardini davanti alla Banca della strage: una con lo stemma del Comune della città, che recita “Innocente morto tragicamente nei locali della Questura”, l’altra – ripetutamente vandalizzata e rimossa – che più esplicitamente afferma “A Giuseppe Pinelli ferroviere anarchico ucciso innocente nei locali della Questura di Milano il 16-12-1969. Gli studenti e i democratici milanesi”. La vicenda tormentata di queste due lapidi si è trascinata, tra polemiche e distruzioni e ricollocazioni, dal 1977 al 2020, e viene raccontata particolareggiatamente da Angelo Gaccione nel capitolo finale del volume, accompagnata dai suoi versi: “Due lapidi per un solo ammonimento, / due lapidi per un solo uomo. / Deve pesare molto sulla coscienza / una morte come questa”.
Appunto alla morte di Pinelli è riservata la maggior parte dei testi presenti nell’antologia, quasi che l’ingiusta e mai definitivamente chiarita fine dell’anarchico abbia colpito l’immaginario dei poeti più dello stesso eccidio di Piazza Fontana. Molte di queste poesie sono inedite, altre sono state pubblicate da compagni anarchici sulla stampa clandestina, altre sulle pagine Facebook degli autori: non letterati di professione, quindi, ma amici, lavoratori, militanti, che rievocano la brutalità dell’interrogatorio in Questura, il volo dalla finestra del quarto piano di quell’edificio, le reticenze e le bugie della politica e della stampa, il dolore della moglie Licia e delle figlie Claudia e Silvia (anche loro presenti nell’antologia con due affettuosi scritti), l’impegno a mantenerne viva la memoria.
Si possono citare alcuni dei loro versi, tra i più incisivi. Santo Catanuto: “Volo notturno / conciso concluso / nel tonfo sull’erba / gelata di un’aiuola / di caserma di stato / senza fiori né prato”, Laura Cantelmo: “Una finestra rimase accesa nella Questura / sotto il torpore delle anime nere / marchiate di sventura. // I giusti conservano intatta l’innocenza, / sudditanza non è prevista nel loro destino, / né schiena curva al Potere / e all’arroganza”, Tania Di Malta: “Dissero che fu stress o sigarette / all’inventario le scarpe sono tre / chi può spiegare il salto verticale?”, Alberto Figliolia: “«Un malore attivo», fu scritto infine. / Ti hanno ucciso infinite volte, Pino, / nei giorni dopo la morte: con l’infamia, / con l’ignominia, con la menzogna, / con il mercimonio delle parole, / con l’inganno alla pubblica opinione”, Olmo Losca: “Amico che hai volato / che hai subito le ali / ancora vieni usato / da un sistema marcio /come una comparsa da teatro”, Giuseppe Gozzini: “Ma voi compagni non disperate: / a volte si vince dopo morti”, con la domanda assillante che Pietro Valpreda si poneva dal carcere: “Perché è morto? // … Nessuno saprà / nessuno dirà / perché è morto”.
Anche “i poeti laureati”, come li chiamerebbe Montale, hanno espresso indignazione e commozione commentando l’imperdonabile ingiustizia patita da Pinelli. Ecco la feroce ironia di Giuseppe Langella: “Han detto che ha tentato un bungee jumping / senza legarsi alle sbarre del potere. / Gelò la notte un thumping. / Non era l’Uomo Ragno, Pinelli il ferroviere; / cadere a corpo morto fu tutto il suo guadagno. / E se invece fosse stata una mossa da wrestling? / C’è chi pratica, in questura, / le arti marziali e ti spezza le ossa”. Gli fanno eco Giancarlo Consonni: “È silenzio nel cortile. / Il sangue scorre senza fare rumore. / Da quel 15 dicembre / non smette di scorrere”, Umberto Fiori: “qualche ministro, un paio di generali, / due o tre faccendieri, quattro spergiuri, / sono riusciti a cancellare il mondo”, il regista e poeta statunitense Julian Beck: “Il corpo di Giuseppe Pinelli / sta cadendo è caduto ed ancora cadrà”.
Ad apertura di volume, è la strage avvenuta nella Banca a catalizzare le emozioni di altri celebri poeti: già il giorno dopo con parole concitate Pasolini nel poemetto Patmos, accompagnato dai versetti dell’Apocalisse di Giovanni, così scriveva: “i morti erano tutti dai cinquanta ai settanta / la mia età fra pochi anni // … la porta della storia è una Porta Stretta / infilarsi dentro costa una spaventosa fatica”, e Roberto Sanesi nel testo più colto e complesso del volume, fa riferimento alle violenze raccontate nella letteratura, nell’arte e nelle cronache universali, rendendo omaggio ai morti di Piazza Fontana equiparati a tutti gli innocenti caduti per la brutalità di poteri assassini: “le vittime ancora / con orti vigneti negli occhi, cambiali scadute, / le morde una morte / contadina”.
Chiudono il libro due testimonianze di Roberto Cenati, Presidente Anpi Provinciale di Milano e di Federico Sinicato, Presidente del Comitato dei familiari delle vittime di piazza Fontana, che rievocando i tragici avvenimenti del dicembre 1969, auspicano che la nostra democrazia non debba incorrere in nuove pericolose derive autoritarie, e nella ferocia di un terrorismo con la connivenza di alcuni poteri dello Stato. Siano perciò di monito i versi amari di Giovanni Raboni, che subito dopo la strage richiamavano gli italiani a una più coraggiosa partecipazione civile e politica: “Parlo per me ma forse anche per voi. / Amici, diciamo la verità: / di sentirci oppressi ci sentiamo felici; / ci importa adesso esser vittime, non esser liberi poi”.
AAVV, PIAZZA FONTANA. LA STRAGE E PINELLI: LA POESIA NON DIMENTICA
INTERLINEA, N0VARA 2023, p. 166
Antologia a cura di Angelo Gaccione, con una tavola di Dario Fo
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