Letteratura
“La penultima illusione”: Ginevra Bompiani nel suo memoir, canta la vita
“La Penultima Illusione”, l’intenso memoir scritto da Ginevra Bompiani, edito da Feltrinelli ( 324 pagine) nella collana “Narratori”, in libreria dallo scorso 7 gennaio, offre al lettore la possibilità di compiere il giro del mondo, specchiandosi ed immergendosi nelle esperienze di vita della protagonista, che presta le sue gambe ed i suoi occhi per arrivare fino all’essenza delle vicende umane, incluso il dolore come parte ineludibile dell’amore consapevole, ma anche di quello effimero, che vale sempre la pena di essere vissuto.
Due donne, totalmente diverse tra loro, per distanze anagrafiche, etniche e culturali. N. , giovane somala in fuga da una fanciullezza lastricata di crudeli attentati alla vita, serenità e dignità di essere umano, a cui Ginevra presta la sua tutela legale, offrendo un riparo per poter spiccare il volo. Due universi all’apparenza così in antitesi da collidere spesso e volentieri, per l’incomunicabilità delle parole che non riescono ad avvolgere e travolgere quanto i gesti, se nascoste sotto condizionamenti indotti dall’incertezza che ci circonda e dagli spigoli caratteriali.
E Ginevra, che accetta e sfida le sue tante mutazioni di bambina, adolescente, giovane ed infine donna matura, senza rinnegare mai la sua vera natura istintiva, curiosa, generosa, croce e delizia di un cuore che sente e ama troppo. “Non c’è mai un ragionamento dietro le mie azioni, le mie svolte, le mie mutazioni. C’è l’intuizione, l’evidenza, l’illusione.”
“Quel che è immediato passa agevolmente fra noi, quel che è mediato s’inceppa”, scrive l’autrice, in un passo del suo diario dell’età matura. L’inclinazione naturale a spendersi per gli altri, a trovare nuova linfa rigenerante nei meandri più accidentati, toccando con mano la devastazione delle guerre, la scomodità della fame e della disperazione che queste impongono come fardello pesante da sopportare, cercare ed accarezzare gli altri, per compiere una ricerca di sé stessi, senza riuscirci mai fino in fondo, probabilmente, scontrarsi con l’inafferrabilità del tempo che divora gli istanti se si cerca di ingabbiarlo. Scrivere, per rimanere in vita, fermare i pensieri per distaccarsene, e riuscire ad attribuirgli un equilibrio, tra ragione e sentimento. Ma comunque, conoscere alla perfezione lo squilibrio emozionale di cui si è portatori: “Io sono incapace di una briciola d’indifferenza e di fiducia. Capace solo d’illusione. Ma se il vento dell’illusione cade, io cado con lui nella bonaccia. Scrivere è il mio modo di soffiare sulla vela”.
L’infanzia dorata, timida, e ancora molto viva nei ricordi; il legame a doppio filo con una famiglia importante, fiore all’occhiello della cultura e dell’editoria italiana come solo il nome Bompiani ha saputo essere. Due secoli a confronto, con le loro storture, drammi, ma anche rinascite silenziose e scintillanti. L’esplorazione della solitudine, la refrattarietà alle regole rigide, al bigottismo, la plasticità di pensiero che permette di abbattere le catene interiori, o quantomeno di riuscire a convivere con i sensi di colpa e le sovrastrutture educativo-religiose di sorta. Il contatto gomito a gomito con i più grandi letterati del Novecento, da Alberto Moravia, Elsa Morante, Italo Calvino, ad Umberto Eco, Giorgio Manganelli, Giorgio Agamben, e molti altri. La formazione accademica parigina, l’insegnamento alla Facoltà di Lingue e letterature Straniere all’Università di Siena. Saggista, traduttrice di numerose tra le più importanti opere letterarie straniere, da Emily Dickinson, a Jane Austen. Editrice entusiasta, fondatrice di “Nottetempo” nel 2002. Autrice di diversi libri conditi da una raffinata capacità scrittoria, come “L’attesa”, “La stazione termale”, “MelaZeta”, “L’altra metà di Dio”.
Pagine queste, de “La penultima illusione“, intrise di sentimenti forti, non dissimulabili, ma lasciati emergere e fluire nella loro imperfetta dirompenza, mettendo in conto anche il rischio dello schianto a folle velocità. Lo slancio insopprimibile di “correre incontro a qualcosa e non via da qualcosa“, il richiamo dell’inconosciuto e la paura che lo incornicia, come una scia luminosa e tremenda.
Decifrare che “il contagio è vicendevole così come l’abisso” e, nonostante ciò, vestirsi delle uniche tre parole che nutrono davvero l’anima : ” Bellezza, amore, felicità..Tre cose di cui non possiamo fare a meno e che sono ormai il terreno dell’eccezione e della frode.”.
Attraversare l’esistenza, impattando le onde del mare di pancia e non di schiena, nel tentativo di mitigarle, significa anche subire la potenza invasiva e distruttiva di ciò che si infrange, allo stesso modo delle nostre speranze, desideri, relazioni. Il fallimento, così come il dispiacere, che la sorte può riservarci per varie ed imponderabili vicissitudini, si traducono in qualcosa che avvelena: la disillusione. Ed ecco allora che, Ginevra, in un diario puntuale, liberatorio, colorato e carico di verità, descrive la fatica di resistere alla sventura, alla sconfitta, cercando vie di fuga subitanee, inaspettate, eppure totalizzanti, a caccia di una nuova illusione, che soppianti quella precedente. Boccate di ossigeno che le consentano di respirare.
A cavallo tra l’età acerba e quella matura, fino ai giorni del delirante isolamento del mondo a causa di una Pandemia che, oltre al virus, sta diffondendo, senza quasi scampo, odio ed aridità spirituale, in nome di un riconoscimento giuridicamente e politicamente corretto dell’altro, che non ci compete se non lo trasformiamo in accoglienza gratuita e vicinanza del cuore. Ginevra, dopo aver girato il mondo ed essersi sentita parte di tutti i mondi in cui ha toccato terra, nei giorni labirintici di una “infodemia“, si interroga su come aiutare N. a crearsi una prospettiva concreta per il futuro, esaltando le sue aspirazioni ed indulgendo sulle sue fragilità o chiusure. E proprio in questa occasione, il baule dei ricordi si spalanca per riproporle l’avvincente concentrato di immagini in cui ha lasciato un’impronta, non rinunciando mai ad una salvifica dose di ironia ed umorismo, assaporando tutto il sale contenuto nelle onde del mare e nelle lacrime che rigano il volto di chi ha veramente vissuto, sporcandosi le mani, ma mai il cuore. “Tutto quello che comincia ha in sé un po’ d’infanzia”.
L’amore per la vita rimane il fulcro di un viaggio narrativo che, al termine della lettura, lascia sulle labbra del lettore un sorriso di morbida serenità, irrisolta, quasi indefinita, confortandolo e lasciandosi ricordare con familiare vicinanza, con straordinaria partecipazione ed autenticità, per aver conosciuto e condiviso assieme a Ginevra Bompiani, le mille vite che si aprono ai nostri orizzonti personali, mai attraversabili, però tanto incantevoli da desiderare, osservare. Pronti a lasciarsi rapire dall’ illusione successiva, sempre la penultima, così terribilmente affascinante.
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