Letteratura
La pennichella agostana del signor Esticatsi
La mattina di Ferragosto del 1962, Roma è deserta. Bruno Cortona, cialtrone quarantenne, debordante di verve, amante della guida sportiva e delle belle donne, vaga alla ricerca di un pacchetto di sigarette. Il signor “Esticatsi”, di radiofonica spiritualità e terrena corporeità, ibrida essenza della condizione tragicomica del suscettibile contemporaneo, nel 2020, ben 58 anni dopo e nel medesimo giorno, a bordo della sua decapottabile, esprime il vintage di ritorno di una pellicola che resta uno dei capolavori della filmografia italiana: ne “Il sorpasso”, del maestro Dino Risi, egli si rivede in versione aggiornata, quella che attiene al suo tempo, per metà esistenzialista e per l’altra menefreghista. Solo, senza una donna, un amico, e quel che è peggio senza sigarette, se ne va per l’Aurelia premendo il clacson a vanvera, immaginando un’auto da sorpassare.
Feriae Augusti, il riposo di Augusto: “che bel giorno del c…!” – esclama, serafico – Ha fatto studi classici, “Esticatsi”, conosce l’etimologia delle parole, e al volante gli viene da pensare che l’imperatore romano non avrebbe mai potuto immaginare, nel 18 a.C., di avere istituito la più insostenibile delle giornate di vacanza. Una giornata atipica, irregolare, difforme, timbrata dall’apatia e dal disordine mentale, che assurge a festa nazionale nella consuetudine di un popolo gitante ogni volta che il calendario lo richiede. Una nazione amante delle proprie origini ripristinerebbe i Vinalia rustica, che Giove e Venere ne terrebbero conto per elargire favori, anziché celebrare con rassegnata barba un’abitudine al torpore. In quei giorni si berrebbe e si danzerebbe a meraviglia, e le tabaccherie non resterebbero chiuse! – tuona ancora, con la mano schiacciata sul clacson.
Ma, ecco, che, improvvisamente, come in un miraggio, il signor “Esticatsi” vede tra i pini che costeggiano la strada, un gruppo di persone che hanno tutta l’aria di essere dei festanti. Frena, lasciando sull’asfalto i segni paralleli della strisciata delle gomme. Fa una breve marcia indietro per imboccare il viottolo che porta alla frescura dove donne avvenenti e maschi giocosi banchettano spensierati, alleggeriti della loro gravezza. Scende dall’auto e si avvicina al gruppo di baldoria e leggiadria, dove viene accolto con premurosa cordialità. Si accorge sin da subito di conoscere quelle persone. Sono tutte facce note. Personaggi della mitologia classica che si alternano a stelle dell’arte e a scienziati di spicco.
Maria Callas gli versa da bere, tenendolo fermo con i suoi occhi euclidei. Tutt’intorno un vociare allegro: Polifemo, ubriachissimo, sorride a bocca larga e danza senza musica al ritmo del baccano perpetuo dei giocondi, tenendo abbassata la sua unica palpebra. Mentre, Sigmund Freud, isolato, osserva benevolo gli animi in fermento, restandosene appoggiato all’albero di Giuda, fino a quando la pizia dell’Oracolo di Delfi non lo diverte a dismisura interrogandolo sul futuro. Dopo aver scambiato con lui risatine languide e minuzie erudite, la svergognata prende l’analista per mano e lo conduce con sé, oltre la siepe di rose rosse spinose.
Esticatsi, vincendo ogni incertezza e sempre più sciolto, brinda non sa a cosa con la Signora del canto, stretto nella morsa del suo sguardo. E quando se ne libera, ha davanti il suo collo imbrunito, carnoso e allungato, liscio e lucido, odoroso di un’essenza che non è Chanel e attraversato da un rilievo venoso, certamente pensato dal Bernini.
Ahi, ahi, Maria! Mi sveglio senza averti lasciato un segno in sogno! – sussurra ironico e malinconico il melomane “Esticatsi”, riavutosi dalla pennichella ferragostana, consumata all’ombra del suo terrazzo, su una vecchia sdraio in legno.
E, accendendo una sigaretta, che temeva di non avere, pensa con sollievo di prepararsi un caffè.
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