Letteratura

La paura, il silenzio e la malinconia della pandemia

21 Novembre 2020

Ci aveva detto Albert Camus che la peste porta disperazione: “Pensiamo che sia irreale – scrive Camus- soltanto un brutto sogno che passerà”.

“Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare”.

La peste era oscura.

Chi ne è colpito non riesce più a risalire la china, non pensa mai al giorno della sua liberazione dalla malattia, tiene sempre gli occhi bassi, è incagliato a mezza via tra gli abissi e le cime, la speranza con il futuro ricongiungimento della vita è lontana, si vive nell’abbandono ed i giorni passano senza direzione. Ci si sente come un’ombra errante, spenta in sterili ricordi, radicata nella terra del dolore, con una memoria desertificata: l’unico rimedio è la fantasia: far correre i treni e colmare le ore che passano inesorabili e nell’assoluta inanità, solo con i ripetuti rintocchi di un campanello, sebbene ostinatamente silenzioso.

Allo stesso modo in “Diceria dell’untore”, Gesualdo Bufalino ci rammenta il destino dei malati di tisi che già sapevano di dover morire e si sentivano nel sanatorio della Rocca, ove erano ricoverati per non contagiare, annegati vivi.

Quei malati immaginavano la vita: non costava nulla un bottino di nuvole, l’unico che la sorte non aveva facoltà di vietare.

Si sentono oggi, con la seconda ondata della pandemia da Covid-19, inattesa, ancora troppe autoambulanze con  sirene dispiegate per correre forsennatamente verso gli ospedali e salvare vite umane.

Gli anziani sono rassegnati e dolorosamente e malinconicamente si lasciano andare.

Chi ha patologie pregresse già sa che se sarà avvinghiato dal virus, potrà morire.

Chi va in ospedale è colpito dal terrore di non poter rivedere i suoi cari; la morte, se verrà, sarà spietata: non consentirà neppure una carezza e di sentire l’ultima volta il tocco della mano di ti chi ti ha amato.

Ed allora cosa resta per chi non ha il dono della fede, della preghiera, del votarsi all’Assoluto?

La paura di non potercela fare.

E si consumano i giorni. E se domani dovesse toccare  a me? Sarà devastante? La dissoluzione nella sua spirale corrosiva prende, pervade, penetra.

E subentra quella crudeltà tragica di chi non sa cosa sia la traccia del futuro.

“Sento il silenzio udibile del mio cuore”, diceva Shakespeare, quando la malinconia lo colpiva.

Forse questo ci è rimasto.

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