Letteratura

La nascita di un classico: Maestoso è l’abbandono di Sara Gamberini

26 Giugno 2018

Ho pensato che fosse il momento di andare in alto quando ho visto che non sapevo dove appoggiarmi. Dopo aver cercato contenimento ovunque, ho ceduto alla mia evanescenza. L’assenza di base negli anni si è trasformata in una spinta verso la volta celeste.

Mi sono sempre chiesta che cosa potesse significare leggere un classico al momento della sua uscita. Chissà se i primi lettori de La Coscienza di Zeno – per dire – o de L’isola di Arturo, si sono resi conto, mentre se ne stavano comodamente seduti a leggere, che fra le loro mani stava scorrendo la storia della letteratura. Di libri belli ce ne sono molti, interessanti anche qualcuno in più. Di romanzi avvincenti, racconti che ti costringono a correre, nella lettura, pagina dopo pagina. In molti però, anzi quasi tutti, rimane qualcosa di episodico, un nesso stringente con un preciso momento storico, non tanto in termini di ambientazione, quanto di sensibilità, che gli impedisce di universalizzarsi. La voce appartiene a un tempo e, se in futuro verrà ascoltata, renderà necessario il passaggio attraverso un filtro, per essere apprezzata a pieno, per essere davvero compresa e per entrare in “risonanza” con l’animo del lettore. Un classico ti parla sempre, anche in modo diretto. Non occorre che tu creda nelle sirene o nei ciclopi per sentire la nostalgia di Ulisse e il suo desiderio di ritorno. Non serve che tu abbia vissuto in un paese di provincia, annoiata moglie di un medico, con tanti sogni in testa, per capire il desiderio di fuga dalla noia e dalla mediocrità di Madame Bovary. Eppure raramente capita di leggere un libro, scritto da qualcuno a cui potremmo stringere la mano, che ti fa pensare “Eccomi” senza che le esperienze descritte siano a te strettamente vicine o che, di contro, ti facciano sentire la necessità di un ponte, un nesso emotivo che colleghi luoghi da te apparentemente molto lontani.

Una lunga premessa per dire che, con Maestoso è l’abbandono di Sara Gamberini, l’ediore Hacca ha pubblicato un classico.

Parto dall’editore perché ha compiuto un atto coraggioso, di cui bisogna rendere merito. Non si tratta infatti di un romanzo facile, né di una di quelle opere che – individuato un pubblico di riferimento – ti fanno supporre di poter avere almeno un ritorno garantito “di base”. Non appartiene a un filone, né a una “corrente di gusto” ben definita. Non racconta delle cose, ma dei pensieri. Non spiega, suggerisce. Un libro rischioso isomma, ma d’infinito potenziale, perché infinite possono essere le letture e riletture, specialmente in momenti diversi della vita.

Al centro una donna, il suo percorso verso l’essere adulta, in una relazione costante con la sé bambina, la ragazzina, con sogni, paure, ossessioni che negli anni le sono cresciuti dentro. Il rapporto con la madre, con lo psicanalista, il bisogno di relazioni e l’amore per un uomo – Lorenzo – la cui evanescenza entra in risonanza con le assenze interiori della protagonista. Sara Gamberini ci accompagna, con l’estrema delicatezza di una prosa all’apparenza semplice, paratattica, asciutta, in realtà curata nel minimo dettaglio di lessico e di rimando semantico, nel “oltremondo” dell’io. Un mondo che, come l’universo di Alice attraverso lo specchio, mantiene dei punti di riferimento reali, ma è costantemente trasfigurato da elementi magici, rituali, da richiami interiori che s’incarnano – quasi fossero correlativi oggettivi viventi – in un paesaggio materiale. Nei piccoli squarci che si aprono su una realtà di difficile definizione rieccheggiano le domande che, prima o poi, tutti ci poniamo nel corso della vita. Cosa rende una persona adulta? Cosa la rende autonoma? Quando arriva il momento in cui possiamo dirci compiuti o liberi da ciò che ci ha costruito e allo stesso tempo imprigionato negli anni della giovinezza?

Maestoso è l’abbandono è un romanzo pieno di amore e di odio, di desiderio di distacco e infinita ricerca di una casa, di uno spazio “normale”, quando il concetto stesso di normalità risulta indefinibile.

Una costante lotta per l’ascesa verso uno spazio che, nella mente, richiama un senso di liberazione, ma di cui non si conosce la natura. Ritorno alla madre, direbbe qualcuno, o creazione della madre, nuova, rinascita. Difficile dare un contorno alla trama, che pure si dipana in modo ordinato. Non siamo di fronte all’ennesimo flusso di coscienza che, cercando la protezione della Woolf o di Joyce, annaspa in un caos poco creativo. Qui ogni pensiero ha il suo spazio e trova la sua parola. Un sentimento abitabile. E come in un’abitazione siamo invitati ad entrare dall’autrice, con rispetto. Ci fermiamo sulla porta al momento dei saluti, voltiamo le spalle alla nostra ospite, un passo e lo spazio fuori sembra avere una luce diversa.

S. Gamberini, Maestoso è l’abbandono, Hacca editore, 2018, pp. 203.

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