Letteratura
La morte di Manlio Cancogni e il Novecento italiano
Qualcuno s’è lamentato, giustamente, del silenzio che ha circondato la morte di Manlio Cancogni. Cancogni è morto a 99 anni; è sicuramente uno scrittore del ‘900. Se diamo uno sguardo al nostro ‘800, pur con i picchi straordinari di Manzoni, Leopardi, Verga, possiamo parafrasare ciò che Arbasino diceva dei “Promessi sposi” – un duomo in una città con poche chiese. Ecco, nel nostro ‘900, non ci sarà stato un duomo, ma le “chiese”, anzi le cattedrali, si sono straordinariamente intensificate di numero. E spesso non è stato possibile “visitarle” tutte.
Il nostro Novecento è stato grandioso, uno dei più crepitanti e ricchi dell’ intera storia letteraria nazionale e, finalmente, ha tenuto testa ai panorami letterari coevi francesi, inglesi o tedeschi o americani. Basta solo approntare una lista alla rinfusa, provvisoria e ampiamente omissiva di autori: Svevo, Pirandello, Deledda, Palazzeschi, Gozzano, Brancati, Tomasi di Lampedusa, Vittorini, Alvaro, Buzzati, Bianciardi, Mastronardi, Moravia, Maraini, Gadda, Piovene, Bassani, Ginsburg, Calvino, Comisso, Flaiano, Pavese, Fenoglio, Malaparte, Bevilacqua, Montale, Quasimodo, Sbarbaro, Caproni, Berto, Arpino, La Capria, Pratolini, Rea, Morante, Cialente, Banti, Parise, Silone, Morselli, Arbasino, Ortese, Vassalli, Testori, Sciascia, Camilleri, Consolo, D’Arrigo, Pasolini, Fortini, Busi – aggiungo anche il mio piccolo Ercole Patti -, e potrei continuare ancora, ampliando la lista con almeno una cinquantina di nomi di novellieri, romanzieri, drammaturghi, versificatori, dialoghisti cinematografici, giornalisti ecc. ecc, per additare la straordinaria vitalità e la proliferante ricchezza della nostra letteratura in questo secolo da poco tramontato.
Tutti gli autori indicati e quelli taciuti hanno trovato il loro sbocco editoriale in una industria culturale (almeno a partire dagli anni ’60 decennio in cui il nostro povero Paese, già Paese povero, si assicura i tre regolari pasti al giorno e in cui si palesa un minimo di “società affluente”) attenta al soldo come alla qualità che pure tanti bronci ha sollevato (volevano l’Arcadia o le Giubbe Rosse ?) e hanno incontrato il loro più o meno vasto pubblico, tenuto conto che le sacche di analfabetismo primario e di ritorno sono tuttora impressionanti. Una insperata ricchezza e un vero miracolo insomma (è un termine a cui siamo affezionati e che usiamo volentieri quando facciamo qualcosa di grande a dispetto dei nostri pessimismo e autostima).
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