Letteratura

La morte di Elie Wiesel e la nostra responsabilità

di
3 Luglio 2016

Altri hanno già scritto in maniera degna della morte di Elie Wiesel (Addio a Elie Wiesel, il rapporto inquieto tra oblio e memoria, David Bidussa). La mia è un’umile riflessione legata, anche, all’esperienza di chi è chiamato ad insegnare la storia alle giovani generazioni. Non un saggio, non un’analisi, ma una sorta di compartecipazione emotiva e di patto generazionale. I testimoni di quella che è stata la Shoah stanno, per ragioni anagrafiche, scomparendo. Con umiltà, oserei dire che il nostro doveroso compito è la memoria della memoria.

Il venir meno della loro voce, pur disponendo delle raccolte dei loro racconti o delle tante immagini, deve farci sentire ancor più responsabili, in relazione ad una corretta informazione, ad una continua riflessione, ad un inesausto coinvolgimento delle giovani generazioni. Lo scorrere del tempo ci rende, per così dire, più necessari e, quindi, più importanti. La memoria è il grande lusso dei vivi e costituisce la premessa per ogni speranza. Non incontro, nella mia esperienza scolastica, giovani ragazzi che ignorino questo nesso. I ragazzi conoscono e apprezzano questo impegno legato alla memoria, fino a quando noi adulti non lo lasciamo cadere, con la nostra approssimazione, con la nostra mancanza d’entusiasmo, con la nostra sciatteria. Se posso permettermi una valutazione personale, lo studio della Shoah mi ha insegnato ad avversare la sciatteria, il pressappochismo, il già detto, la pretesa a capire tutto e subito. L’immensità dell’orrore m’interroga sempre e, come piccolo membro del genere umano, ancora non ho capito, ancora non ho smesso di chiedere, ancora non ho smesso di leggere, ascoltare, vedere e sentire. Il testo – “In memoria di una ragazza che…” – è un regalo che ho ricevuto dagli occhi e dal cuore di un gruppo di miei alunni. Ragazze e ragazzi l’hanno dettato al mio cuore mentre, tra documentari, letture, ricordi, ci interrogavamo insieme sulla Shoah.In quelle ore – ormai è passato qualche anno – come sempre ho ricevuto molto più di quello che ho saputo dare.Dal testo ricavammo, in maniera del tutto artigianale, un breve video che, con lo stesso titolo, è ancora rintracciabile in rete.

In memoria di una ragazza che…

Questo è un sommesso e umile omaggio alle vittime che non hanno potuto raccontare la loro storia. Questo è un sommesso e umile omaggio ai sopravvissuti che hanno raccontato la propria storia. Questo è un sommesso e umile omaggio a quelli che hanno scelto di servire “il bene” anche nei momenti più bui dell’umanità. L’invito è al silenzio attivo e più vivo possibile. Nel silenzio, oltre il caos, oltre il rumore, oltre le suonerie, oltre le urla, si apprende a far emergere la voce di chi ha sofferto e che ancora ci chiama a essergli vicini. Nel silenzio emerge il racconto di un dolore immenso che non vuole rinunciare ad avere un futuro nella nostra memoria. Nel silenzio proviamo ad ascoltare…il rumore continuo e ripetitivo di un treno che va, che corre sulle rotaie trasportando tante vite, tanti sogni, tante paure.

C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava…

Ricordo i preparativi in casa, nell’attesa che si realizzassero le nostre aspettative. Tante cose superflue e tante cose necessarie cadevano nei nostri bauli. Eravamo una famiglia felice allora, e guardavo alla vita attendendo l’amore, l’età adulta, la maternità, come qualcosa di dolce e di chiaro. Mio padre, mia madre ed i miei cinque fratelli – due sorelle e tre fratelli – costituivano un piccolo mondo aperto a tanti amici e parenti della nostra comunità ebraica. Nel corso dell’anno, con lunghe lettere, mio padre intratteneva rapporti con amici che aveva quasi ovunque. Poi diceva alla famiglia, seduta a tavola, che era venuto il momento di organizzare un piccolo spostamento per andare in visita da questo o quello. La notizia ci colpiva e iniziavano, nel cuore di ognuno di noi, piccoli passi e preparativi. C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava….Anni dopo avrei scoperto che le mete erano sempre suggerite da mia madre che, con prudente arroganza, preveniva mio padre nella scelta. Non è questa una famiglia in fondo? C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava…

Seduta accanto al finestrino, dopo una dura lotta con i miei fratelli, avevo l’impressione di veder scorrere una pellicola cinematografica che mi affascinava. Città, campagne, montagne, valli o fiumi: tutto sembrava accompagnarmi alla meta, mentre avevo intorno a me i miei cari. Istante dopo istante, il rumore del treno faceva da colonna sonora al passare delle immagini. C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava….Lungo la banchina, verso la nostra carrozza, sembravamo trovare un ordine naturale: i più piccoli davanti, poi noi figli di mezzo, e dietro i più grandi. Mio padre e mia madre distanziati di qualche passo. Erano davvero belli, mentre li osservavo, girando appena il capo con pudore, i miei genitori. L’atmosfera della stazione ci rapiva e ci immetteva alla lunga giornata che ci aspettava in viaggio. C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava….Ricordo un viaggio estivo, lungo la costa di un mare ignoto. Il sole inondava lo scompartimento e piccole barche a vela mi salutavano, poggiando appena verso le onde. Non avevo bisogno di sentire gli odori. La vista li riaccendeva nella mia mente come per magia. C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava…C’è stato un tempo in cui potevo dirmi una bambina felice che seguiva il ritmo regolare e ossessivo del treno come l’anticipazione del futuro. Il treno andava e io andavo. Andavo incontro alla vita. C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava…C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno…C’è stato un tempo….C’è stato…..

Non vedo. E’ tutto buio. Non vedo. E’ tutto nero. Quanti siamo in questo fetido vagone? Nella fretta, spinti con violenza, non abbiamo compreso quanti siamo. E’ incredibile il silenzio che si è fatto qui dentro. E’ fitto come il buio. E’ un silenzio fatto di paura. Eppure siamo tanti. Sento il respiro e i sospiri, il lamento e il singulto. Quanti siamo in questo fetido vagone? Tra un’asse e l’altra, ogni tanto, filtra una debole luce che non rompe il buio. Silenziosi, siamo scomparsi gli uni agli altri, in questo buio che ci attanaglia tutti. La paura ci chiude al mondo e siamo, tutti insieme, tragicamente soli. Dove siamo? Dove stiamo andando? Quanti siamo in questo fetido vagone? Sorgerà ancora il sole sulle nostre vite? E’ tutto finito? Non ho mai saputo calcolare il tempo al buio. Pochi minuti mi sembrano ore. Non oso chiamare qualcuno della mia famiglia. Avrei paura del loro silenzio; avrei paura della loro risposta. Resto, come tutti, in silenzio, in attesa, in sospeso. C’è stato un tempo in cui viaggiare in treno mi entusiasmava…C’è stato un tempo, c’è stato un tempo….C’è stato….

 

 

 

 

 

 

 

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