Letteratura
La meccanica dei corpi. Di Paolo Zardi
È terribile, l’ingegnere scrittore Paolo Zardi. Nel suo ultimo lavoro, La meccanica dei corpi (NEO Edizioni, 2023), tra le tante cose che racchiude, c’è il ritratto del cinismo spietato dei tempi che viviamo, che apre il ciclo dei racconti di quest’opera. Ma non perché nel passato non si sia mai verificato, in quanto ogni epoca ha i suoi orrori, bensì perché nel mondo attuale il cinismo è amplificato da una tecnologia che ha invaso ogni nostro spazio, non consentendoci più un parterre autenticamente privato. Tutto viene spiato, dalla casa del Grande Fratello al profilo Facebook (che coinvolge anche chi un profilo Facebook non ce l’ha), e tutto viene filtrato da ingegni che ingegni non sono, incapaci di distinguere il vero dal falso, manipolato da chi invece sa come funziona la psiche umana, conducendola verso la perversione pur di far soldi e di soddisfare la propria ambizione. Morti e feriti sono effetti collaterali.
Lucia è una scrittrice di contenuti in un’azienda che pubblica articoli da infarcire di pubblicità. Più le storie sono bizzarre e intricate più la gente vi si abbarbica e più la pubblicità viene vista dai lettori, anche se poi viene saltata a piè pari non importa, è il numero di visualizzazioni che conta.
Ma negli ultimi tempi non le è andata molto bene, anzi, è l’ultima scrittrice dell’azienda, a causa di errori e di eventi non controllati che le hanno causato una perdita di share. Lei, paesana trapiantata in città, dove vive in un monovano angusto che è diventato la tana-gabbia di un animale che un tempo, forse, era libero, decide di tornare al paese per una visita ai genitori e per pensare al suo futuro, messo in standby dai recenti insuccessi.
Ed è lì che scatta l’idea perversa, che le viene in mente solamente osservando la realtà intorno. La provincia si presta sempre a storie torbide, perché uno, in provincia, in un paesino squadrato come la mente dei suoi abitanti, non se le aspetta, anche perché tutto, dalle attitudini sempre uguali di quella gente agli orari fissi delle loro attività, se solo esula di un centimetro dalla “normalità”, diventa un argomento d’interesse. O di terrore.
Così Lucia, mettendo insieme i propri ricordi personali colla realtà rivisitata in quei giorni, s’inventa un’angosciosa e perturbante storia di pedofilia che in realtà non esiste ma che avrebbe sicuramente sfamato i lettori del giornale su cui scrive. E così sarà. Il suo capo, Enrico, che il giorno prima era sul punto di licenziarla perché i suoi articoli non avevano seguito, dopo la pubblicazione del nuovo articolo, che ha raggiunto il 50% dello share, una cifra altissima che nemmeno Barbara D’Urso e le sue trasmissioni spazzatura potevano vantare, le annuncia un futuro di successi.
Mi ha ricordato tante cose questo racconto, L’era della dignità borghese. Innanzi tutto una citazione cinematografica blasonata, da Volver, di Pedro Almodóvar, sovrano del grottesco.
Nel film, Agustina, una donna del paese della protagonista (Penelope Cruz) e dell’intervistatrice, viene invitata in televisione dove a sua insaputa viene rivelato che ha un cancro, in modo da spettacolarizzare la malattia e alzare l’audience, è la tv spazzatura. Ma non esiste solo la tv spazzatura, c’è anche la stampa spazzatura. Che è quella che scrive Lucia, pur giovane dotata di talento, la quale, però, non trova di meglio come lavoro.
E, dopo aver riflettuto sulla mentalità ingabbiata di un paesino e dei suoi abitanti, fermi in un passato ma con qualche diavoleria moderna a disposizione come facebook, scatena la sua invenzione, quasi fosse una sceneggiatura di un thriller, tutto incentrato sulla scuola elementare Maria Goretti. Non viene fatto il nome del paese ma gli abitanti di quel paesino di pianura, nebbioso e sempre uguale a sé stesso, si risvegliano dal torpore e attingono, come in un inconscio collettivo, alle loro frustrazioni, al loro desiderio di vendetta per chi turba quell’apatia stratificata con azioni di pedofilia che non esistono nella loro realtà ma che sono rese veritiere dal racconto, frutto della fantasia di Lucia, e provoca un’escalation. Forse anche perché la scoperta di un evento così grave porta il villaggio sonnolento alla ribalta della celebrità, sebbene nell’orrore, riscattandone l’isolamento secolare. Una sorta di seconda vita, imprevista.
Il capro espiatorio è un pover’uomo autistico, che fa i suoi soliti giri in paese, sempre uguali, sempre alla stessa ora, fermandosi davanti alla scuola e osservando i bambini, e questo basta alla gente che leggeva il racconto di Lucia per credere che il pedofilo sia lui, cosicché gli uomini più primitivi del paese, quelli con voglia di menar le mani, lo vanno a rapire di notte nella sua casa, dove vive coi genitori che dormono ignari, per poi linciarlo in campagna, mentre il poveretto muore lentamente per i colpi di bastone, senza capire niente. La sequenza della realtà vista dagli occhi di quell’uomo è molto toccante.
Lucia, dilaniata da un passato rurale da cui era fuggita per innestarsi nella città tentacolare, dove aveva trovato un lavoro ma dove viveva sempre e comunque da emarginata, ha i suoi attimi di successo. Ma quanto vale codesto gioco?
Il racconto riporta la meccanica dei corpi che si agitano in provincia, soprattutto, dove in paesi, all’apparenza tranquilli, si svolgono omicidi efferati, come quelli di Yara Gambirasio, o i femminicidi più recenti; o gli episodi terribili di Bibbiano, dove tutto è risultato inventato in quanto manipolazione dei minori da parte delle psicologhe e dove i segni di questa vicenda resteranno indelebili sugli ex bambini e su persone ingiustamente e strumentalmente accusate. La provincia è feroce, è capace di creare streghe ed eretici, pur di uscire dall’anonimato. Negli USA succede ovunque, ma a quanto pare anche da noi non si scherza, e l’autore lo evidenzia bene.
Zardi affonda la sua penna-spada in quest’atmosfera di pregiudizi, di cinismo, di spregiudicatezza e di grottesco, descrivendo alla perfezione e svelando man mano lo squallore delle azioni, delle quali spesso non si pensa alle conseguenze pur di raggiungere uno scopo, e cita celebri autori latini come Tacito o Sallustio e le loro massime, come a dire che il mondo è sempre stato così. E, alla fine, ci si rende conto che non può essere diversamente.
Non è un respiro di sollievo che si tirerà alla fine del racconto bensì la constatazione amarissima che i nostri tempi sono imbevuti di cinismo e di arrivismo e che il fine giustifica i mezzi, frase che Machiavelli non scrisse mai ma che gli fu comunque attribuita, ennesimo esempio di una falsa verità.
Gli altri racconti del libro non ve li voglio rivelare perché non vorrei privarvi del piacere della scoperta ma sono uno più avvincente dell’altro, giusto un cenno sugli argomenti. In Fantasmi un uomo passa in rassegna tutti gli spettri delle persone che hanno fatto parte della sua vita, perfino il cane, in attesa di diventare un fantasma anche lui, liberandosi del corpo, dopo aver finalmente trovato ciò che cercava e che aveva tormentato la sua esistenza. In Non passa invano il tempo un incontro tra vecchi compagni di università si tramuta in un viaggio surreale nel tempo, tra antiche ricette di secoli prima e i fumi dell’alcool, alla scoperta nientemeno del concepimento di Gesù. Il risveglio è la storia della seconda vita di un uomo a cui hanno sparato in faccia mentre lui cercava di difendere una donna aggredita e della moglie, la quale realizza di avere accanto un’altra persona del tutto diversa da quella di prima. Il signor Bovary, il racconto più lungo, già pubblicato separatamente in precedenza, parla di una trasgressione di un uomo agiato, padre di famiglia borghese che più borghese non si può, dai contorni ben definiti che crede di avere tutto sotto controllo. Invece…
Il tempo, la vita, la morte, una dimensione parallela che non è né l’una né l’altra sono i fili conduttori nell’opera di Zardi, declinati variamente come tempo perduto, nostalgia, malinconia, rimorso, rimpianto ma anche come motori multidimensionali finalizzati a un’inattuabile comprensione della meccanica dei corpi. Almeno, è un tentativo. C’è un amore di fondo, che però è un sentimento trafitto da uno spillo, come una farfalla, in una collezione di sentimenti altrettanto trafitti.
Posso soltanto dire che come Zardi prende il lettore per la mano e lo conduce nei mondi dei suoi personaggi è un modo antico di procedere, da grande scrittore, come ormai non fa quasi più nessuno, e sicuramente efficace. La ricchezza della sua lingua, dove ogni parola ha un suo posto, quasi una guida nella narrazione, è cosa rara, oggi, in un’epoca di fretta, di superficialità, di sciatteria. Le citazioni colte ci dicono da che mondo proviene. La sua prosa è diretta, le pennellate sono minime ma incisive, la sua capacità di immettere il lettore nella situazione come un impotente osservatore che segue tutto senza che gli sia concesso d’intervenire è magistrale. Non si può che farsi una ragione di ciò che si legge, anche se si desidererebbe dare una mano a quei poveri personaggi, sovrastati da un fato così pesante da ingombrare tutto.
Mi sono soffermato ampiamente sul racconto che, nella sua atrocità, apre la raccolta per tentare di far comprendere come la scrittura di Zardi spinga il lettore a non assentarsi fino a che non l’abbia terminato. E, senza la descrizione accurata degli eventi in successione che l’autore compie, si perderebbe il sapore della narrazione. Narrazione che è ben più densa del riassuntino che vi ho fatto e che invita il lettore a procedere nella lettura, cosa che vale per tutti i racconti del libro.
Un’opera colta, dal sapore pirandelliano, dove ognuno ha la sua ricetta della verità e di come bisogna lubrificare l’inesplicabile e misteriosa meccanica dei corpi per farli girare, dando l’illusione di toglierli da un’immobilità che sembra bloccarli in quest’epoca di disincanto e autoreferenzialità.
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