Letteratura

La Macchia Umana: il political correctness che divora chi non si conforma

18 Dicembre 2020

“Muoiono i codardi molte volte prima di morire;

Della morte il gusto i valorosi non assaporano che una volta sola.

Di tutte le meraviglie che io abbia mai sentito,

La più strana, mi sembra è che gli uomini ne abbiano paura;

Vedendo che la morte, fine inevitabile,

Verrà quando vorrà”.

 

Coleman Silk era stato per vent’anni un professore di letterature classiche all’Athena college, dove per sedici anni aveva svolto anche la mansione di preside. Nell’estate del 1998 fece a Nathan, io narrante e alter ego di Roth, che esercitava la professione di scrittore, una confessione: quella di avere a settantun anni una relazione con la donna delle pulizie molto più giovane, che celava dietro un volto ossuto una solitudine pari alla sua, ma soprattutto i motivi del suo allontanamento dal college. Quella era l’estate del 1998, la stessa in cui il segreto di Clinton e dei suoi piaceri vissuti con un’impiegata ventunenne innamorata e impulsiva vennero a galla in ogni suo squallido dettaglio accendendo la fantasia e il moralismo bigotto che agitava i sogni dell’America anteponendo all’ideologia la spudoratezza del presidente.

Quando era stato assunto, Coleman, era uno dei pochi professori ebrei di Athena, e forse uno dei pochi ebrei ammessi a insegnare in una facoltà americana di lettere classiche. Rivoluzionario come professore per il suo modo diretto, franco e antiaccademico con cui teneva il suo corso di letteratura greca, divenne vittima di una personalità innovatrice e estroversa mostrata quando da preside concepì un nuovo modo di dirigere l’univerisità: quella di far prevalere il merito, espurgandola di tutto quanto c’era di obsoleto, antiquato, stagnante, incoraggiando i rami secchi della vecchia guardia a chiedere il prepensionamento e reclutando assistenti giovani, ambiziosi, rivoluzionando, persino, i programmi di studio. Introdusse nel campus la concorrenza, e iniziò perciò a essere malvisto e su di lui si esercitò il pregiudizio contro l’ebreo tacciato di essere competitivo.

Il nuovo rettore il cui nome Haines, abbastanza evocativo di un atteggiamento poco aperto e liberale mostrò forte intolleranza per la linea democratica tesa a eliminare i privilegi che Coleman Silk aveva introdotto e approfittò di un episodio accaduto durante la sua lezione per montare un caso.

Era capitato che alla sesta settimana del semestre, all’appello risultavano ancora assenti due persone che definì spettri. Poco dopo, fu chiamato dal nuovo preside di facoltà a cui dovette rispondere dell’accusa di razzismo, essendo le due persone assenti in questione dei neri. Non valsero a nulla le ragioni opposte da Coleman che si giustificò dicendo che non conoscendo neppure di chi stesse parlando ed essendo lui molto attento alla suscettibilità degli studenti, alludeva semplicemente al loro carattere ectoplasmatico.

L’audacia mostrata negli anni in cui fu preside nell’abolire e introdurre riforme in barba a qualsiasi resistenza gli alienarono le simpatie di molti.

Nel pomeriggio in cui aveva dato disposizione per la sepoltura di Iris, Coleman si recò per la prima volta a casa di Nathan: in modo concitato gli disse che era convinto che la morte della moglie, spirito battagliero e in buona salute, fosse stata provocato dalla sofferenza morale per la diffamazione messa in atto a suo carico allo scopo di snaturare una carriera professionale svolta all’insegna della dedizione.  Gli aveva scaricato sulla scrivania tutta la documentazione sottoposta ai funzionari del college, all’avvocato d’ufficio nero che rappresentava i due studenti e avrebbe voluto che se ne fosse occupato Nathan; ricevendo da questi un rifiuto, iniziò a scrivere da solo un libro sui motivi della sua dimissione da Athena, un memoriale dal titolo Spettri per riabilitare il proprio nome e criminalizzare i propri nemici.

Il sabato sera, Coleman Silk aveva preso l’abitudine di invitare Nathan a bere qualcosa, c’era una stazione radio Fm a Spriengfield che dalle sei a mezzanotte mandava in onda musica per grandi orchestre e più tardi jazz, terrore e estasi si svegliavano nel sentir udire quella musica, Those Little White Lies di Dick Haymes era per lui la spiegazione della dottrina della catarsi nella tragedia greca.

Pur non essendo muscoloso, il suo corpo mostrava l’energia e il brio del liceale che aveva fatto sport, aveva capelli crespi, naso piccolo, mascella sporgente, gli occhi tra il verde e il nocciola mostravano dalla morte di Iris un forte esaurimento spirituale, il disonore umiliante di chi era stato buttato giù dal piedistallo, l’onta del fallimento che lo corrodeva.

Dopo aver letto la prima stesura di spettri, capì che attenuare con un libro la rabbia e l’infelicità non l’avrebbe reso comunque equilibrato e, nauseato, lo abbandonò.  Sebbene odiasse l’estabilishment Wasp, come Gulliver odia l’intera razza umana dopo essere andato a vivere con i cavalli, capì che disfarsene era l’unico modo per salvarsi dal relitto della propria vita.

Nel ritrovato stato di appagamento e serenità, cominciò a parlare del tempo in cui, lasciata la marina, e trovata casa al Village ritornava a casa sempre con ragazze diverse fino a quando si laureò, si sposò, trovò lavoro ed ebbe dei figli nel giro di breve tempo. Di una di quelle ragazze, Steena, ritrovò una lettera che gli era arrivata quando aveva iniziato a lavorare all’Adelphi, a Long Island, e sua moglie Iris era incinta di Jeff. L’aveva conosciuta nel 1948, quando all’età di ventidue anni frequentava la New York University e lei, che ne aveva diciotto, lavorava e frequentava un’università serale. Una ragazza del Minnesota, sveglia, intelligente, carina, alta, dall’aspetto statuario che chiamava Voluptas figlia di Psiche, per i romani la personificazione del piacere dei sensi, e con cui era stato due anni. Si erano rincontrati per caso dopo quattro anni e dopo essersi scambiati informazioni sulle reciproche vite, gli arrivò, nel giro di una settimana, una lettera in cui lei, ricordando il loro primo incontro, la prima volta che aveva fatto l’amore, gli confessò che i giorni in cui si era davvero sentita viva, erano quelli della loro relazione, interrotta perché lui già frequentava un’altra.

Nathan ebbe, allora, l’idea di come quel rivoluzionario preside di facoltà, quel grave professore di lettere classiche fosse, nella sua gioventù un ragazzo malizioso e un po’ diabolico.

A questo punto, Coleman, gli confessò che aveva una relazione con una donna di trentaquattro anni, Faunia, una delle bidelle della facoltà, segnata da una vita difficile, da un marito che la picchiava, che aveva mandato in rovina il loro allevamento di vacche da latte, e, inoltre, che aveva perso due figli, morti per asfissia a causa di un rovesciamento di una stufa. Non riusciva a liberarsi delle loro ceneri, che custodiva in un’urna sotto il letto. Le disgrazie la avevano inaridita. Da bambina era ricca e privilegiata, ma la sua rovina iniziò quando l’amante della madre, poi divenuto patrigno, incominciò a molestarla. Quando tentò di abusare di lei, all’età di quattordici anni, Faunia fu portata da uno psichiatra perché la madre non volle credere alla sua versione, e anche quest’ultimo preferì credere a chi pagava le sue sedute. A questo punto, scappò di casa, abbandonò gli studi, sposò un agricoltore e lavorò sodo con lui nell’allevamento pensando di poter avere una vita stabile e ordinata. Ma il marito, Lester, un reduce del Vietnam si rivelò uno sciocco, e la riempiva di lividi.

La vita le aveva insegnato ad essere saggia, dalla loro relazione si aspettava solo compagnia, cultura, sesso e piacere. L’unico posto in cui Faunia era furba, era il letto, l’audacia trasgressiva era il prodotto delle molestie subite. Fuori dal letto era quasi ingenua come la quattordicenne che era stata.

Coleman rivelò, poi, a Nathan che ciò che Faunia gli aveva procurato, era una rinascita. Figlio di un padre che gestiva un bar ebreo nel quartiere povero di East Orange, da cui era stato volutamente tenuto lontano affinché non avesse rapporti con la mafia, di un padre che lo spinse ad essere sempre uno studente serio, che realizzò il sognò del padre diventando un rispettabile professore universitario, che si era sposato, avuto dei figli, diventato preside di facoltà, che per quarant’anni aveva fatto quello che doveva fare e che aveva introiettato l’idea del padre che per lui la vita seria non sarebbe mai finita, aveva trovato con Faunia la possibilità di liberare il bruto: non erano le grandi idee o l’amore per la letteratura a legarlo a lei, ma l’eccitazione, la libertà di abbandonarsi, di poter vivere un’avventura, e lei, che neppure sapeva leggere e non ambiva a farlo, cercava la stessa cosa. Il Viagra l’aveva aiutato a godersi la vita.

Nathan fu sorpreso dall’audacia trasgressiva a cui Coleman non voleva rinunciare, quella confessione fu un colpo inferto alla sua rassegnazione. Egli, in realtà, aveva problemi di incontinenza, conseguenza dell’intervento di prostatectomia che lo aveva reso impotente. Viveva un’esistenza da recluso nella sua casa sui Berkshire, devoto alla scrittura, una scelta che aveva fatto già prima che gli fosse diagnosticato il cancro. L’intervento lo aveva obbligato ad una rinuncia a cui si era sottoposto volontariamente già due anni prima.

Un pomeriggio, Nathan fu contattato da Silk Coleman il quale aveva ricevuto una lettera anonima in cui c’era scritto che tutti erano a conoscenza del fatto che stesse sfruttando sessualmente una donna maltratta e analfabeta che aveva metà dei suoi anni. A Coleman subito fu chiaro, comparando campioni di calligrafia presi dall’incartamento di Spettri, che fosse stata scritta da Delphine Roux del dipartimento di lingue e letterature. Gli spiegò che fu Faunia a non voler pubblicizzare la loro relazione di cui, secondo quella lettera, tutti erano a conoscenza: temeva che il suo ex marito, Lester Farley, il quale l’aveva mandata in ospedale due volte prima del divorzio, potesse rintracciarla e fare ad entrambi del male.

Nathan, difendendo il primato del piacere, lo portò a riflettere che essendo lui fuori l’ambiente accademico, doveva fregarsene delle convenzioni e godersi il conforto, la potenza, l’intensità che a settantun anni la vita generosamente gli aveva regalato.

Lentamente, Nathan, si accorse che occuparsi dei problemi di Coleman, gli piaceva e che dopo cinque anni di rinuncia alla società, di reclusione rigorosa devoto alla lettura e alla scrittura, in cui si era astenuto dalle distrazioni e aveva come solo amico intimo il silenzio, e la musica ascoltata di sera, gli mancava l’impegolarsi nella vita. Il disastro di Coleman divenne il tema del suo lavoro con il suo carico di turbolenze e intensità da cui si era isolato.

 

Più tardi Coleman Silk, lo portò a conoscere Faunia in un allevamento dove abitava gratis in cambio della mungitura. L’allevamento che si chiamava Organic Livestock, era stato creato da due donne divorziate ambientaliste, laureate che provenivano da famiglie di allevatori del New England e che avevano messo in comune le proprie risorse. Per niente simile ai grandi allevamenti industriali e impersonali, producevano e imbottigliavano latte fresco non compromesso dalla pastorizzazione e dall’omogeneizzazione, ricco di sostanze nutritive. La fattoria aveva un largo seguito specie tra le numerose coppie con figli in fuga dall’inquinamento, dalle frustrazioni e dal degrado delle grandi città. Il loro latte non era semplicemente una bevanda gustosa, ma divenuto il simbolo di tonificante purezza necessario al loro idealismo bistrattato dalla vita in città.

Coleman, pur consumandone poco, acquistava tre galloni di quel latte, non per usufruire dello sconto riservato ai clienti che ne acquistavano quella quantità, ma per vedere Faunia che tre volte la settimana, al ritorno dal college, si dedicava alla mungitura. Era l’unico modo per vederla al di fuori della loro casa rifugio, lì nessuno avrebbe fatto caso agli ostacoli che li separavano, ed ognuno recitava la parte assecondando il proprio ruolo sociale, l’allevamento era l’unico luogo in cui due persone che non avevano nulla in comune, potevano distillare e portare a orgasmica essenza tutto ciò che avevano di inconciliabile, le umane discrepanze produttrici di tanta energia. Quel luogo conferiva il brivido di avere una doppia vita. Quelle vacche, coi loro corpi abbondanti e rigonfi, simboleggiavano la vita animalesca del rapporto che univa Faunia e Coleman, la vita che trovava la sua ragion d’essere nell’istinto puro.

Faunia non aveva un corpo che potesse accendere le aspettative carnali di un uomo, aveva lineamenti marcati, era magra, aveva seni ancora sodi che si evidenziavano nello sforzo, non era ancora sfiorita, aveva un collo lungo, molto femminile. Quel pomeriggio Nathan aveva assistito alla scena di un innamorato affascinato dal modo in cui una donna si prende cura delle vacche, capace di esaltare quello che per tanto tempo aveva soffocato in lui, era un po’ come osservare Ascenbach quando febbrilmente osserva Tadzio e la sua brama sessuale è resa rovente dalla constatazione della propria mortalità.

Quella sera, però, iniziarono i problemi con Lester Farley, quando Coleman sentì muoversi qualcosa tra i cespugli e a Faunia parve scorgere nell’intruso, il marito. Dopo il divorzio, l’aveva spiata in continuazione, l’accusava di aver ucciso i due figli; la cosa si era attenuata quando si era trasferita a vivere nella fattoria, ma adesso che doveva aver saputo della sua nuova relazione, aveva ripreso a spiarla. Coleman decise di non sporgere denuncia alla polizia perché in mancanza di prove certe avrebbe solo corroborato voci che già circolavano sul rapporto che univa il preside della facoltà e la bidella.

Dopo una notte insonne, raggiunse il suo avvocato Nelson Primus per consultarsi in merito alla lettera di Delphine Roux; ignorando i sui consigli di lasciar perdere, consultò un grafologo da questi suggeritogli, che, dopo un’attenta perizia dei documenti sottoposti, confermò i sospetti di Coleman. Questi passò la perizia a Nelson Primus il quale inviò una copia all’avvocato di Delphine Roux.

Passarono otto giorni prima che Coleman e Fauna decidessero di vedersi, pensarono che stare un po’ separati avrebbe giovato alla loro incolumità. Nell’attesa del suo arrivò, ripensò ai suoi figli, ne aveva avuti quattro, i primi due sulla quarantina, entrambi professori universitari di scienze, sposati con figli, e poi i gemelli Mark e Lisa. Tutti tranne Mark cercavano di andare a visitare il padre nei Berkshire tre o quattro volte all’anno, li sentiva con una frequenza di una volta al mese. Mark era l’eccezione si era scontrato con Coleman per tutta la vita. Aveva una personalità difficile, bronci e lamenti erano iniziati prima che frequentasse l’asilo, protestava contro i familiari, contro il loro modo di vedere la vita e le proteste si solidificarono col passare del tempo fino a diventare il nocciolo del suo temperamento. A quattordici anni appoggiò Nixon durante le sedute per l’impeachment mentre gli altri chiedevano che il presidente fosse incarcerato a vita, a sedici anni diventò un ebreo ortodosso, mentre gli altri prendendo spunto dai genitori atei e anticlericali, erano ebrei solo di nome, a venti anni mandò il padre su tutte le furie disertando l’università quando mancavano solo due semestri alla fine, e ora dopo aver fatto tanti lavori diversi, si era scoperto poeta narrativo su argomenti biblici. Una compagna devota, sempre nervosa e con poco senso dell’humor, manteneva entrambi con lo stipendio di assistente di un dentista a Manhattan.

Pensò di telefonare a Lisa perché non la sentiva da un mese, aveva bisogno di sentire la sua voce dolce e melodiosa che lo rassicurava sempre nonostante i dodici anni difficili come insegnante nel Lower East Side. Lavorava come insegnante di sostegno dopo aver lasciato l’insegnamento nelle classi regolari, e si chiedeva sempre se quello non fosse stato un errore. Tre anni prima dell’incidente degli “spettri”, Coleman era andato a New York dove era rimasto diversi giorni per rendersi conto se le cose erano messe davvero male come la figlia gli raccontava. Seguiva bambini che avevano forti difficoltà nella lettura, quelli che nelle classi restano dietro, i cosiddetti casi disperati, ma siccome lei era attaccata a questi bambini, essendo molto sensibile e incurabilmente altruista, finiva per essere sempre in bilico sull’orlo di un esaurimento. Lei esisteva per aiutare, era un’idealista che non cedeva alle disillusioni, non voleva deludere le aspettative altrui, e persino nella vita privata sceglieva compagni esigenti per i quali si faceva in quattro, ma la sua verginità etica finiva per diventare una grossa seccatura.

Durante quella telefonata, però, Coleman si accorse che la voce di Lisa aveva un tono gelido. Nonostante il suo diniego, capì che qualcuno l’aveva informata su ciò che gli era successo e ciò, nonostante la sua tempra battagliera, lo fece sentire indifeso.

Improvvisamente un pick up passò sotto casa sua rallentando, quando Coleman cercò di avvicinarsi, velocemente sparì e quando cercò di riprendere la conversazione con Lisa, si accorse che questa si era interrotta, ma nel richiamarla, il compagno gli disse senza mezzi termini che Lisa non desiderava parlare con lui.

Ipotizzò che fosse stato il fratello Mark a raccontarle tutto, un fratello verso cui era sempre stata generosa, indulgente verso le sue lagnanze e che aveva sempre consolato nelle dispute familiari.

Gli tornarono in mente i momenti successivi al funerale di Iris, quando Mark gli rinfacciò che era lui il colpevole della morte della madre poiché sarebbe bastato scusarsi per aver usato la parola “spettri”. Provò allora uno sdegno così forte che lo condusse a scrivere poco dopo le sue dimissioni. Sapeva dall’ira di Achille, della rabbia Filottete, dalle invettive di Medea, dalla follia di Aiace, dalla disperazione di Elettra e dalle sofferenze di Prometeo dei molti errori che potevano accadere quando si arrivava al massimo grado di indignazione e, in nome della giustizia, si reclamava il castigo, iniziando un ciclo di ritorsioni. Ci volle la profilassi della tragedia attica e della poesia epica greca per trattenerlo dal telefonare a Mark e ricordargli che era rimasto il solito piccolo stronzo.

Fu dopo l’incontro con Faunia che riuscì a dominare la sua indignazione, aveva deciso di non permettere a niente e nessuno di rovinare l’ebbrezza dell’ultimo amore, quella che Mann parlando di Aschenbach chiama l’ultima avventura dei sentimenti, era il momento di abbandonare la lotta irritante, di cedere.

Lo scontro frontale con Farley ebbe luogo quattro ore dopo.

Lester Farley era stato nel Vietnam due volte per servire lealmente il suo paese. La prima volta che andò a casa tutti gli dissero che non lo riconoscevano più, non pretendeva di essere trattato da eroe, ma non solo non lo stimavano, ma avevano paura di lui. La prima volta in guerra era stato spensierato, non aveva ancora imparato come la vita potesse valere poco, si fidava ciecamente di tutti. La seconda volta che ci ritornò, era un combattente più aggressivo, come tutti quelli che si erano come lui raffermati: volevano essere in prima linea, riconoscevano l’orrore che li eccitava, li faceva diventare una furia, volevano vivere a tutto gas, con i nervi a fior di pelle. Il loro mestiere era quello di seminare morte e distruzione; vedere corpi esplodere e la carne friggere li mandava in visibilio. Quando ritornò dal Vietnam si sentiva alienato, iniziò a bere; al centro per i reduci di guerra gli prescrissero dei sonniferi e gli dissero che sarebbe passato tutto visto la giovane età, ma i disturbi post traumatici da stress lo torturavano. Cercò di sistemarsi sposandosi, avendo dei figli, occupandosi con la moglie della fattoria, realizzò, cioè, i sogni che aveva quindici anni prima del Vietnam. Capitò, però, che un paio di volte cercò di strangolare Faunia nel sonno, scambiandola per il nemico; sotto l’effetto dell’alcool, minacciò moglie e figli di farli fuori, e un bel giorno si accorse di non provare sentimenti neppure per il suo nucleo familiare.

Sosteneva che Faunia avesse atteso che si recasse a disintossicarsi per portargli via i bambini e per avere una relazione col carpentiere. Un giorno, mentre era appollaiato tra i cespugli che spiava Faunia che aveva un appuntamento col carpentiere nel pick up, sentì l’odore del fumo e si fiondò verso la casa che stava bruciando, riuscì a prendere in braccio i bambini boccheggianti e afflosciati sulle scale, ma a suo parere ancora vivi. Fuori la porta trovò la moglie e il carpentiere a cui saltò alla gola e Faunia, secondo lui, pensò a evitare che si consumasse un omicidio piuttosto che badare ai figli che sarebbero, perciò, nel frattempo morti. Arrivata la polizia, lo riempirono di iniezioni e lo rinchiusero in un manicomio, l’ospedale per i reduci di Northampton, mentre lui sosteneva di aver fatto solo ciò che in guerra gli avevano insegnato: avvistare e uccidere il nemico.

Lester Farley spuntò tra i cespugli mentre Coleman e Faunia erano dentro il vano della porta della cucina abbracciandosi prima di separarsi, dopo aver inveito contro entrambi, si trovò Coleman  che gli puntò contro una leva per cavare i copertoni. Dopo avergli intimato di abbassarla, Lester Farley sparì senza sapere come ritornò a casa, la notte fu nuovamente preda dei suoi incubi. La mattina cinque dei suoi compagni del corpo dei pompieri dovettero immobilizzarlo e portarlo nuovamente a Northampton dove lo stabilizzarono e lo disintossicarono e, durante le seguenti sei settimane di terapia, spiegò come il Vietnam lo aveva reso un morto vivente, la sua vita futura sarebbe stata per sempre un accumulo dell’orrore del passato che lo avrebbe spinto ad agire in modo sproporzionato.

Il giorno dopo l’accaduto, Coleman si recò dall’avvocato a chiedere come poteva avere la garanzia che Farley non violasse più il suo domicilio, questi gli rispose che avrebbe dovuto lasciare Faunia. Coleman l’aveva consultato dopo l’episodio degli spettri, a lui aveva portato la lettera di Delphine Roux, lui gli aveva trovato un perito calligrafico, lo stimava per la sua franchezza, non cercava di essere bonario per accattivarsi simpatie. Aveva poco più di trent’anni era il marito della giovane professoressa di filosofia che Coleman aveva assunto circa quattro anni prima e padre di due bambini piccoli. In una città in cui la tenuta di lavoro di quasi tutti i professionisti era piuttosto casual, quel giovanotto alto, asciutto, atletico, arrivava in uffici indossando un completo su misura perfettamente stirato, camicie bianche inamidate, scarpe sfavillanti, un abbigliamento che rivelava non solo grande sicurezza, ma il fastidio per ogni forma di trascuratezza, uno che aspirava a molto di più dall’essere un brillante avvocato di una piccola cittadina.

Gli sconsigliò di fargli ottenere da un giudice l’ordine che avrebbe impedito a Farley di farlo avvicinare a casa sua perché la notizia della sua relazione sarebbe stata sulla bocca di tutti. Aggiunse, poi, che sebbene fossero nel 1998 e che Janis Joplin e Norman O. Brown avessero cambiato in meglio le cose, avrebbe dovuto scontrarsi col puritanesimo, con professori universitari bifolchi e retrogradi che non avevano voglia di rinunciare ai propri valori e fare largo alla rivoluzione sessuale. Stare con Fauna significava, gli spiegò, correre il rischio di essere seguiti, snobbati, perdere la serenità di spirito perché questa gente, diversamente da quelli con cui era abituato a vedersela, erano persone che credevano di essere stati trattati ingiustamente dal primo all’ultimo giorno della vita. Gli consiglio, nel caso non usasse preservativi, di stare attento a non mettere incinta Faunia poiché sarebbe potuto essere per lei un buon affare affrancarsi da una vita di stenti.

La durezza, e l’arrogante sicurezza di Primus Nelson nel dirgli apertamente che Faunia era un pessimo affare, gli ricordò il suo modo di liquidare la vecchia guardia all’università, eppure, pensò che gli era bastata una parola, artatamente usata in senso spregiativo, perché un giudizio infamante mandasse in frantumi la verità sulla sua persona. Gli bastò ciò per non seguire i consigli di Nelson che intendeva coi suoi modi tutelarlo e, rifiutando la cautela, lo liquidò in malo modo rinfacciandogli la sua provocatoria autocelebrazione.

Pensava al padre, al fatto che dietro il banco del bar aveva un dizionario perché ci teneva che il proprio vocabolario e quello dei figli fosse preciso, pensava di non aver mai tradito, perciò, l’idea del padre, e che nel dizionario la parola “spook” portava come primo significato “spirito, spettro, fantasma”

Ripensò, poi, anche alla sorella Ernestine, il giorno cui gli rivelò il discorso che il dottor Fensterman, il medico ebreo dell’ospedale in cui la madre lavorava come infermiera, pronunciò quando era andato a trovare i genitori. Spiegò loro perché per lui e la signora Fensterman fosse importante che a tenere il discorso come oratore per la cerimonia conclusiva per la consegna dei diplomi fosse loro figlio, Bertram, e non Coleman che era il primo della classe, che surclassava Bertram di un solo  voto in fisica. Il dottor Fensterman avrebbe voluto che suo figlio seguisse le sue orme in medicina e che frequentasse la facoltà di Harvard o di Yale dove le quote discriminatorie destinate all’iscrizione degli ebrei erano forti, avrebbe perciò dovuto esibire una pagella perfetta. Il dottor Festerman, vittima anch’egli di discriminazione, aveva studiato in Alabama dove aveva potuto sperimentare quanto il pregiudizio nei confronti dei neri fosse ancora più forte di quello contro gli ebrei. Sapendo delle tribolazioni che lo stesso Signor Silk aveva subito da quando chiudendo il negozio di ottica, si era dovuto adattare a fare lo steward per la ferrovia, una sorta di cameriere, era venuto a proporre loro uno scambio: Coleman avrebbe preso un voto più basso nella materia in cui era più debole, rinunciando al discorso di fine anno  e i Silk avrebbero avuto tremila dollari da spendere per l’università dei figli, mentre Gladys Silk poteva fare carriera fino a diventare, in qualche anno, la prima caposala di colore di ogni reparto di ogni ospedale della città di Newark. L’accordo, che doveva restare segreto, sarebbe stato rispettato anche qualora Bertram non avesse sgobbato abbastanza per essere il migliore. Coleman ricordò la felicità nell’apprendere il netto rifiuto del padre e capì quanto la sua persona era al centro dell’interesse di tutti.

A Est Orange dove quasi tutti gli abitanti erano bianchi o italiani poveri, il numero di ebrei era inferiore a quello dei negri, eppure erano gli ebrei a occupare il posto più importante nella vita extrascolastica di Coleman. Davanti a tutti c’erano Doc Chizner, che lo aveva adottato quando Coleman si era iscritto al suo corso di boxe; Doc era un dentista che amava il pugilato, ai suoi corsi i genitori mandavano i figli affinché imparassero a difendersi. Coleman era nel suo corso perché suo padre aveva scoperto che, dalla seconda liceo, dopo l’allenamento di atletica leggera, Coleman senza dirlo a nessuno, andava di nascosto al Boys Club di Newark per diventare un boxeur.

Quando il padre lo scoprì, gli chiese di passare al professionismo, e al suo ostruzionismo, rivendicò il suo ruolo di padre. Coleman irato, evitando il pranzo domenicale, uscì e corse per calmarsi, non prima di aver detto a suo padre che non era più un ottico ma un cameriere di vagone ristorante e che tale sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni, e, inoltre, che non era suo padre.

Ripensò al padre che per battere qualcuno ricorreva sempre alle parole, ai discorsi, con quella che chiamava la lingua di Chaucer, Shakespeare, Dickens, con la lingua inglese che usava rotondamente, con pienezza, chiarezza e vigore come se anche nelle conversazioni più banali recitasse l’orazione di Marco Antonio sul corpo di Cesare. Ci teneva che i suoi figli parlassero con proprietà e che imparassero l’importanza di nominare gli oggetti con precisione.

Si decise così che se voleva far dello sport poteva farlo non al Boys Club di Newark che secondo il Signor Silk era per i ragazzi degli slums, per analfabeti e delinquenti destinati al marciapiede o al carcere, ma all’Est Orenge dove Don Chizner insegnava ai figli di medici, di avvocati, di uomini d’affari, e ebrei, i rudimenti della boxe e si poteva essere certi che nessuno poteva farsi male o riportare lesioni permanenti.

All’università si iscrisse a Howard, come il padre aveva desiderato, in un college storicamente nero con i figli privilegiati dell’élite professionale nera. Il Primo sabato in uscita col figlio di un avvocato, suo compagno di stanza, mentre si recavano a vedere il monumento di Washington, si sentì dare del negraccio e non gli fu servito un hot-dog. Dopo poco, quando il padre ebbe un colpo e morì mentre serviva al vagone ristorante, ritornò a casa per il funerale e disse alla madre che col college aveva chiuso. Capì quanto fosse colossale ciò che d’improvviso gli avevano strappato, la maestà del padre: la sua ascesa e la sua caduta gli fu riportata alla mente dalla lettura di un brano del Giulio Cesare:

 

Muoiono i codardi molte volte prima di morire;

Della morte il gusto i valorosi non assaporano che una volta sola.

Di tutte le meraviglie che io abbia mai sentito,

La più strana, mi sembra è che gli uomini ne abbiano paura;

Vedendo che la morte, fine inevitabile,

Verrà quando vorrà.

 

Non si era reso conto mai fino ad allora di come fosse stata protetta la sua vita, di come aveva sottovalutato la forza d’animo e di coraggio del padre. Se del padre aveva sempre avuto un’immagine invulnerabile, capì, solo ora, tutto quanto era stato costretto ad accettare, la sua pena segreta; lui che parlava con tanta naturalezza, convinzione, che con la forza della parola aveva insegnato a Coleman, senza accorgersene, a voler fare grandi cose.

 

“Come è possibile evitare

La cosa il cui fine è voluto dal potere degli dei?”

Anche questi versi del Giulio Cesare che il padre era solito citare, gli parvero suggerirgli che ora fosse un uomo libero, non condizionato dalle scelte del padre. Ora era Silky Silk nudo e crudo, uno dei grandi pionieri dell’io.

Poteva finalmente andare alla ricerca di se stesso, della sua singolarità, senza essere condizionato dall’intolleranza del loro, né assimilato dall’etica assorbente e coercitiva del noi.

 

Questo romanzo è un’opera manieristica, in quanto sconvolge qualsiasi senso di proporzione: l’età dei due innamorati tenderebbe a dividerli, la posizione sociale dovrebbe allontanarli, ma l’amore, quasi adolescenziale, è vissuto nella sua dimensione carnale e fantastica. I due amanti sembrano stravaganti agli occhi del mondo perché liberi dalle sovrastrutture in cui la vita li ha costretti, sconvolgono qualsiasi regola del buon senso, sfidando il bigottismo di chi cerca emozioni e le trova puntando il dito alla vita di chi ha fatto scelte coraggiose.

Ciò che conduce Coleman Silk da Faunia è la sua ossessione per la stratificazione sociale, ha rinnegato i genitori: rinnega il padre nonostante gli abbia inculcato solidi principi morali e la conoscenza proveniente dalla scrupolosità dello studio, solo perché quel suo lavoro sul treno come cameriere, dopo aver perso il suo negozio di ottico, lo trasforma in un simbolo di rassegnazione e di umiliazione. Cerca di liberarsene perché è una figura ingombrante, che lo condiziona. Ripudia la madre pur essendo una donna affermata nel suo lavoro solo perché è di colore, e rinnega per lo stesso motivo tutta la sua famiglia.

Incarna la logica di Doc Chizner che prima di farlo boxare sotto il giudizio dell’allenatore dell’università di Pittsburg, dove avrebbe voluto si iscrivesse accompagnato da una grossa borsa di studio, gli suggerisce di non dire che era di colore. “Affare fatto?”, gli chiede, un’espressione che era bandita dalla sua casa, dove la fierezza la si mostra con la bravura e con l’essere sprezzante per chi vorrebbe farli cedere al compromesso.

Per contrastare la presunzione di inferiorità intellettuale che derivava dalla negrofobia del paese, Coleman si trasforma in una macchina priva di sentimenti, riesce a metterli da parte, si finge incrollabile, applica alla vita lo stesso modo che usa nello studio o durante una gara: escludere il resto per immergersi nella materia, nella competizione, nell’esame. Il dimenticare, il non pensare alle offese che egli stesso riceve, lo conduce sulla via dell’arroganza, lo trasformano in un cinico capace di rinnegare le sue origini per diventare ciò che nella vita si è prefissato di essere.  Il suo ostinato orgoglio a voler cambiare il corso del destino individuale, non facendosi scrupoli per ottenere ciò, l’eterno custodire, mentendo, il segreto sulla sua razza, lo porterà paradossalmente alla rovina. Lui che si era battuto affinché ad Athena ci fosse una maggiore rappresentanza nera, non trova nessuno pronto a difendere le sue idee. La dicotomia tra vita privata sacrificata in nome di un obiettivo, e il battersi pubblicamente perché un principio egalitario trovasse spazio al di sopra degli stereotipi legati alla razza, è foriero del suo crollo. Nella tragedia della sua caduta, Faunia ha una funzione catartica.

Capisce, solo dopo averla incontrata, che il metodo che ha ideato per trovare e raggiungere l’inespugnabilità, quella sorta di accomodamento alla forma di vita che si è scelto, è fallimentare.

Il suo essere pioniere dell’io finirà per essere autocoscienza dissimulata: ha sempre cercato di liberarsi dal fardello del giudizio, sarà intrappolato dall’offesa e dal dolore, dalle umiliazioni e dalla vergogna. Abbandonando l’archetipo paterno, barriera contro la grande minaccia americana, che con la forza della parola aveva insegnato a Coleman, senza accorgersene, a voler fare grandi cose, finirà vittima dello stereotipo scontato e mediocre.

 

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