Letteratura
La gelosia, profili di un affetto fondamentale
Il modo migliore per recensire questo libro è la conversazione che l’autore Riccardo Galiani, ha avuto con Doriano Fasoli in occasione dell’uscita del volume edito da Alpes nel maggio del 2020. Galiani, psicoanalista ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalythical Association, professore associato presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università “Luigi Vanvitelli”. Un libro da lui curato con Stefania Napolitano, psicoterapeuta di formazione lacaniana.
Doriano Fasoli: Prima di lasciarti la parola per dirci qualcosa sulle motivazioni all’origine di questo libro, vorrei però chiederti subito: perché “affetto fondamentale”? Perché non più semplicemente “sentimento” o, più specificamente, “passione”?
Riccardo Galiani: Perché ci è sembrato fecondo accogliere anche in questa ricerca le indicazioni derivanti dall’insegnamento freudiano e segnalarlo sin da subito, sin da ciò che per l’appunto il lettore incontra per primo di un testo, ossia il titolo. L’unico scritto che Freud dedica espressamente alla gelosia è un lavoro del 1921 in cui si propone di confrontare l’azione di alcuni meccanismi da lui definiti “nevrotici” (rimozione, proiezione, scelta oggettuale) nella genesi della paranoia, dell’omosessualità e per l’appunto della Eifersucht, la gelosia. Lo scritto (tra l’altro uno dei pochissimi rispetto al quale abbiamo testimonianza della soddisfazione espressa in merito da Freud) si apre con questa affermazione: “la gelosia appartiene a quegli stati affettivi che è possibile classificare tra gli stati normali”. Un’apertura che segnala l’intenzione di Freud di distaccarsi da una lunga tradizione -filosofica e medica, prima che psicologica- dalla quale discende la definizione della gelosia come “passione”; una definizione che, in maniera molto riassuntiva, può indurre a mettere in ombra l’esistenza e la funzione ordinaria, non “sovra soglia”, per così dire, di questo stato affettivo, dell’essere affetti da un sentire, da un’esperienza interiore che può generare sofferenza senza necessariamente essere malati.
Come riassumeresti allora la posizione di Freud a riguardo di questa gelosia “ordinaria”?
Freud ritiene vi siano tre gradi di gelosia, che definisce “gelosia di concorrenza”, “gelosia di proiezione” e “gelosia delirante”. Il primo grado è per l’appunto quello ordinario; anzi, a dire il vero, a differenza di quanto fatto da me, Freud non ha difficoltà a usare l’aggettivo “normale”! Questo grado normale è determinato dagli effetti di tristezza, di lutto, derivanti dalla perdita di qualcuno o qualcosa di amato, dalla “ferita narcisistica” (come scrive Freud) che questo comporta; ne sono parte anche i sentimenti di ostilità contro il nuovo preferito, il rivale, e in misura variabile può comparire un’autocritica che imputa all’io stesso del soggetto la responsabilità della perdita amorosa. Freud precisa che per quanto la denomini normale, questa gelosia non è determinata da situazioni attuali (l’oggettività di una predilezione per un altro da parte della persona da noi amata, ad esempio), avendo la sua radice profonda nell’inconscio, cosa che per Freud equivale a dire che non solo risale al complesso di Edipo e al complesso fraterno (è sempre una definizione dello stesso Freud), ma prolunga, ossia mantiene attive nel presente, “le primissime tendenze dell’affettività infantile”, tutte sotto il segno di quella che ci ha insegnato a considerare come “psicosessualità infantile”.
Profonde radici inconsce e ordinarietà; una relazione (contrasto? coesistenza?) che forse è già un asse portante del testo. L’introduzione (che hai scritto insieme a Napolitano e Tescione) si apre prendendo a prestito due domande poste da André Green, domande che invitano a pesare proprio questa natura “ordinaria” della gelosia. Leggo quanto riportate: “Perché attardarsi sulla gelosia? non è forse un’esperienza talmente diffusa che chiunque può farvi direttamente riferimento per comprendere su di una scala comune ciò che Otello vive in modo smisurato?” È ovvio che siamo di fronte ad un interrogativo retorico, ma la convinzione circa la comprensione del fenomeno che può derivare dal suo essere estremamente diffuso sembra effettiva. Voi perché vi ci siete attardati? Ne è valsa la pena?
Non c’è dubbio: come gruppo di ricerca ci siamo attardati, e non poco. In effetti, l’interesse per la gelosia ha cominciato a delinearsi già quando, con Stefania Napolitano, stavamo ultimando la messa a punto del testo sul transfert (Il problema del transfert. 1895-2015, Alpes, Roma). Uno dei riferimenti principali di quel testo, Daniel Lagache, è stato infatti tra i non molti psicoanalisti post-freudiani a occuparsi a fondo della gelosia, ripartendo da una certa tradizione psichiatrica. Lavorando su Lagache ci siamo ritrovati spesso tra le mani la gelosia, una frequenza che confermava quella delle esperienze fatte nel nostro lavoro clinico.
Seguendo Green, siamo andati oltre la prima impressione di un fenomeno umano così diffuso da aver prodotto una sorta di assuefazione (“ma in fondo sappiamo tutti cos’è la gelosia!”). Green non ritiene scontato che il “soggetto della gelosia” nel dramma shakespeariano sia il personaggio Otello e questo lo induce a costruire, attraverso una rilettura dell’opera, una serie di ipotesi diverse che, tra le altre cose, fanno risaltare quanto possa essere complesso il riportare all’esperienza quotidiana quell’immagine passionale della gelosia che Otello personaggio (più che Otello dramma, mi verrebbe da dire) rende riconoscibile a tutti. A nostra volta abbiamo cominciato a immaginare un percorso di ricerca che aiutasse noi, e in seguito i potenziali lettori, a ripensare quanto la pratica psicoanalitica può rimandare della “maniera smisurata” di vivere la gelosia e della “comprensione diretta” di una sua misura non eccessiva. Abbiamo ripreso le domande di Green per portarne in evidenza gli elementi impliciti, che provo a mia volta a presentare ricorrendo ad un’altra sequenza di interrogativi: è proprio così semplice riportare la gelosia su una scala comune? Una gelosia che non sia “smisurata”, è vera gelosia? E infine: pensiamo tutti alla stessa cosa quando nominiamo la gelosia?
Il dubbio che non sia così, e che non sia così anche all’interno di una tradizione di studi che (nonostante una forte difformità) ricade tutta sotto la definizione di “psicoanalitica”, è legittimo e forte; forte al punto tale da motivare un’indagine specifica.
Con Stefania condividevamo il desiderio di proporre un’ulteriore occasione di riflessione e di scrittura a quanti avevano lavorato intorno al “problema del transfert” per mantenere in vita, con un oggetto di interesse forte, il gruppo di ricerca. Abbiamo così organizzato alcuni momenti di confronto preliminari su questo oggetto, la gelosia, che in fondo già ci legava, dal momento che Daniel Lagache, lo psicoanalista che con il suo “problema del transfert” ci aveva suggerito l’indagine sulla letteratura psicoanalitica dedicata ai fenomeni transferali, ha compiuto anche un grosso sforzo (nelle ricerche fatte per il conseguimento del suo Doctorat d’État) per mettere a confronto la psichiatria, la fenomenologia e la psicoanalisi sulla questione delle forme della gelosia amorosa.
Abbiamo allora deciso di applicare all’oggetto “gelosia” lo stesso metodo di ricerca bibliografica utilizzato per portare avanti l’analisi lagachiana del problema del transfert; per questo abbiamo chiesto ad alcuni degli autori di quella ricognizione bibliografica se avessero interesse a vedere cosa era stato scritto sulla gelosia nelle pubblicazioni psicoanalitiche apparse dagli anni ’40 del secolo scorso ad oggi nelle principali riviste (in lingua inglese, francese e italiana) di settore. Come per il transfert, è stato poi inevitabile soffermarci anche su alcuni volumi incontrati strada facendo. Dal nostro punto di vista, i capitoli di firmati da Di Mezza, Di Sarno, Lombardi, Pirozzi rappresentano il nucleo originario di questo testo.
Da quanto avete visto ripercorrendo quasi ottant’anni di pubblicazioni, come è considerata la gelosia dagli psicoanalisti?
Una delle reazioni condivise per prime, nei momenti di confronto di gruppo sul tema, è stata quella di un certo disorientamento: i lavori sembravano tutto sommato non troppi; eppure, come ci siamo trovati più volte a dire, “la gelosia è veramente dappertutto!”. La gelosia è lì dove appare con i suoi abiti più riconoscibili e “tradizionali” (nei racconti sulle relazioni di coppia, in quelli sulle relazioni familiari, tra fratelli ma non solo), ma la si ritrova anche quando non la si attende subito (tra colleghi, rispetto a persone del proprio passato, nei vissuti di molti pazienti rispetto a tutti gli altri che può accreditare al proprio analista o terapeuta …).
A fronte di questa varietà, possiamo dire che sono due i filoni di indagine che attraversano i decenni in maniera più o meno costante: quello più propriamente clinico che ha per oggetto la relazione di continuità/discontinuità tra la gelosia intesa come strutturante la socializzazione del soggetto (un affetto “evolutivo”) e la gelosia nella sue diverse versioni regressive (impasse della vita amorosa, sofferenza nevrotica, delirio psicotico); e quello che concerne invece l’interpretazione o il ricorso esplicativo ai testi letterari (in primo luogo l’opera di Shakespeare). Questa è l’immagine che può restituire una visione d’insieme, dall’alto, per così dire, dei capitoli scritti da Gilda Di Mezza (“Uno sguardo sospeso tra Narciso ed Edipo”), Alfonso Davide Di Sarno (“La gelosia bambina”), Christian Lombardi (“Avanzamenti e ritorni”), Maria Pirozzi (“Tra zelo e competizione”), e da tutti loro insieme, con il contributo anche di Marzia Fasano e il coordinamento di Eugenio Tescione (“Lo sviluppo kleiniano e il ritorno a Freud”). Rileggendo i capitoli in vista di questo nostro scambio, mi sono ancora meglio apparsi tutti in grado di segnalare specifici motivi di interesse nel periodo analizzato.
Gli autori che compaiono sulla copertina sono però più numerosi e non fanno pensare ad altri capitoli di “ricognizione”, per riprendere la tua definizione precedente.
Infatti. Man mano che i capitoli di ricerca avanzavano e ne discutevano in gruppo, alcune linee di interpretazione della gelosia acquistavano maggiore peso, allontanandosi o riavvicinandosi rispetto ad una serie di punti di vista (autori, teorie), alle volte esplicitamente dichiarati, ma il più delle volte impliciti. Ci è parso che il volume che stava cominciando a venire fuori potesse essere un’occasione per proporre o riproporre al lettore italiano, con nuove traduzioni, alcuni di questi riferimenti: Lagache, con un estratto dalle ottocento pagine de La jalousie amoureuse; Joan Riviere una delle più originali compagne di strada di Melanie Klein, della quale pubblichiamo riuniti due testi sulla gelosia. Freud, Lagache, Riviere sono gli autori della prima parte del volume.
Una nuova traduzione di Freud?
Si; anche quella di “Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, nella paranoia e nell’omosessualità” è una nuova traduzione, alla quale siamo arrivati confrontando il testo tedesco con la traduzione fatta da Lacan in francese nel 1932, cercando di metterne in valore anche in italiano alcune scelte (in un paio di occasioni delle autentiche forzature) interpretative. Al testo di Freud abbiamo voluto affiancare due puntuali e acuti commenti contemporanei, associati a due testimonianze della recente riflessione psicoanalitica sulla gelosia: il numero della Revue Française de Psychanalyse del 2011, introdotto dallo scritto di Coblence e Donnet che precede nel nostro volume quello di Freud, e il numero dei Libres Cahiers pour la psychyanalyse dedicato a “l’oggetto della gelosia” e introdotto dall’originale “dialogo” redazionale che abbiamo fatto seguire allo scritto freudiano.
Altri tentativi di delineare un profilo dello stato di gelosia hanno mostrato il loro valore di riferimento, in primis quelli legati agli insegnamenti di Melanie Klein e Jacques Lacan; al di là delle traduzioni di testi, ci è parso che delle presentazioni di questi e di altri riferimenti non potessero mancare nel nostro volume, anche tenendo conto che una delle sue funzioni (non l’unica, né, in questo caso, la principale), sarà quella di contribuire alla formazione di giovani psicologi.
Questo tipo di lettore è quello per cui, come nel volume precedente, sono stati scritti testi più espressamente didattici, come quello di Stefania Napolitano su Lacan, di Silvia Andreassi (che commenta anche gli scritti di Riviere) su Melanie Klein, di Eugenio Tescione su Bion, di Massimiliano Sommantico sulla dimensione fraterna della gelosia, e quello scritto da me insieme a Fasano e Sonia Gallo su Lagache. La stessa finalità ha guidato lo sforzo fatto da Mario Bottone e Rosanna Petrillo di richiamare in modo semplice (ma al tempo stesso estremamente rigoroso) l’attenzione del lettore sull’indagine condotta da Karl Jaspers intorno al delirio di gelosia e sul ruolo che questa indagine jaspersiana ha avuto nell’allargamento dei confini della psicoanalisi portato avanti da Lacan.
Oltre la psicoanalisi, la psichiatria. Credo però tu sia d’accordo nel ritenere che la presenza della gelosia in quasi tutte le manifestazioni della vita umana ne fa un oggetto di indagine ibrido, che non può essere racchiuso nei confini della clinica, oltre che in quelli della psicopatologia.
Proprio così. Per provare a rendere giustizia non solo alla gelosia come stato affettivo, ma allo stesso impegno degli psicoanalisti nel confrontarsi con essa (nella stanza d’analisi e al di fuori), occorreva provare a tener conto di prospettive diverse, non solo strettamente psicoanalitiche. Occorreva cioè provare a dare una testimonianza sia di quello che la psicoanalisi può leggere della gelosia riconoscendo ad esempio in essa (come fa con maestria Alessandra Ginzburg, psicoanalista ed esperta di letteratura francese, formatasi alla scuola del grande Francesco Orlando) un fil rouge della Recherche proustiana, sia di quello che della gelosia ha saputo dire la filosofia. Qui tra le tante opzioni possibili (da Aristotele in poi non mancano le riflessioni sistematiche sulla questione) abbiamo prediletto il lavoro di Carmelo Colangelo, filosofo da sempre attento alla psicoanalisi, al quale abbiamo chiesto di ricostruire ciò che Rousseau, principalmente nel suo Emile, ha saputo mettere in luce della gelosia. Colangelo ha fatto ricorso alle indicazioni del maggiore interprete contemporaneo di Rousseau, Jean Starobinski (di cui per altro è stato allievo) e ne è derivato uno scritto sulla “logica della preferenza” di notevole interesse anche per chi si occupa della gelosia soprattutto dal punto di vista clinico, come credo siano di notevole interesse le dinamiche psichiche poste in evidenza da Ginzburg per chi da studioso di letteratura si occupa di Proust.
Mi rendo conto di aver quasi voluto giustificare, con qualche parola in più, la presenza di scritti che guardano al di là dei confini che, magari adottando una certa logica disciplinare, si sarebbe portati a riconoscere come quelli propri ad una pubblicazione destinata anche (ma, ripeto, non solo) a studenti di psicologia. Il fatto è che quanto la nostra lingua chiama gelosia, facendolo discendere da zelos, sollecita da sempre l’attenzione dell’uomo, sin dalle origini del vivere insieme e ben prima della divisione settoriale delle scienze umane. Al di là di quelle, che agli occhi di qualcuno, potranno apparire come inutili incursioni extra-moenia, era secondo me inevitabile che le pagine di tutto il volume fossero attraversate da rimandi ai diversi aspetti della lunga storia culturale della gelosia; ciò vuol dire che, ad esempio, a dispetto degli schematismi che sempre più affliggono la psicologia accademica, nella quasi totale assenza di rimandi a indagini o a scale di misurazione della gelosia, uno dei riferimenti più ricorrenti nel nostro volume sia quello a Shakespeare.
La pluralità cui alludono i “profili” del titolo…
Esatto. I lavori psicoanalitici di cui parliamo e gli stessi scritti che ospitiamo nel volume, guardano alla letteratura, alla religione, alla filosofia, e, seguendo in questo ancora una volta le indicazioni freudiane, usano la lente di ingrandimento della patologia per guardare all’ordinaria vita quotidiana, ossia alla presenza non dico necessaria, ma costante, della gelosia non patologica nelle relazioni umane.
Facciamo un passo indietro, perché vorrei che chiarissi una cosa. Poco fa hai detto –mi pare con un certo compiacimento- che nel volume mancano rimandi ai risultati di ricerche condotte con strumenti come i test; ma la psicologia non ha guadagnato un suo posto nell’ambito delle scienze dell’uomo anche grazie a quanto riesce a mostrare con indagini testologiche? Non ritieni che ricerche di quest’altro tipo sulla gelosia possano insegnare qualcosa?
Senza dubbio; ma non penso che sia questo il contributo che può dare alla conoscenza dell’uomo la prospettiva psicoanalitica. La psicoanalisi ha un senso e un suo posto nel mondo della conoscenza finché si sforza di misurarsi con l’oggetto che l’ha resa clinicamente necessaria agli occhi di Freud: la vita psichica inconscia, conflittuale, pulsionale, sessuale-infantile. Misurarsi con questo oggetto significa accettare e riaccettare costantemente la sfida del non positivo, di ciò che non si pone come oggetto di indagine empirica.
L’indagine empirica si è però imposta in quasi tutti gli spazi della ricerca universitaria come criterio di valutazione. Quando abbiamo parlato de Il problema del transfert ricordo il tuo scetticismo rispetto al valore che l’accademia, avrebbe potuto riconoscere alla vostra ricerca. È stato così? Ti aspetti qualcosa di diverso per questo volume sulla gelosia?
È stato così, e ora lo è ancora più chiaramente. Questo volume, insieme alla ricerca che lo ha preceduto e che in parte lo costituisce, è ufficialmente di valore nullo, totalmente privo di interesse, per la psicologia universitaria, mentre mi piace pensare che La gelosia possa avere più di una ragione per interessare, anche al di là di un’attenzione per la psicoanalisi.
Alcuni dei contributi del testo fanno riferimento a quella che classicamente si definiva “gelosia morbosa”; condizione che spesso capita di vedere ancora associata ad eventi di cronaca. Ci si poteva aspettare che tra i diversi profili della gelosia apparissero anche quelli associati a numerosi casi di femminicidio o a quelli, di quantità sempre crescente, di vere e proprie persecuzioni tramite social media. Come mai non avete pensato di dedicare un lavoro a questi aspetti?
Quello che forse ci interessava far risaltare maggiormente, per bilanciare una visione per l’appunto “morbosa” della gelosia (che pure è giustificata), è lo statuto “fondamentale”, Grund, di fondo, della gelosia come affetto, il suo essere uno dei moventi di buona parte delle relazioni umane. Per quanto concerne la gelosia, l’insegnamento freudiano (ossia ciò che deriva da Freud e da chi ne segue le indicazioni sulle pulsioni, l’inconscio dinamico, il sessuale infantile) è in buona misura presentato dalla formula che completa la frase di apertura del suo scritto: “Quando la gelosia sembra mancare nel carattere e nella condotta di un uomo, si è giustificati a concludere che essa ha subìto una forte rimozione, e gioca un ruolo tanto più grande nella vita psichica inconscia”.
Quanto all’eccesso della gelosia, nelle sue diverse forme, resta una condizione che l’espressione “patogena” a mio avviso definisce ancora più adeguatamente: la gelosia riconducibile ad altri moti pulsionali rimossi può generare una grande sofferenza, nel soggetto che la prova e nell’altro che ne diviene oggetto. Il geloso è colui che, escluso da uno spazio in cui un altro è immaginato intento a soddisfarsi di altro, sa di avere così perduto “i favori” di cui godeva; ma è anche colui che non tollera che si dubiti del sapere che lo abita circa ciò che un altro fa in quello spazio da cui resta fuori. Questi movimenti interiori possono essere così radicali da ridurre l’altro ad oggetto del possesso; in questo senso la gelosia è un morbo …. Quanto ai media, in effetti abbiamo rilevato anche noi con una certa delusione che lavori propriamente psicoanalitici dedicati ad indagare le manifestazioni “social” della gelosia tenendo in debito conto quella che è una specificità del mezzo, ossia il suo alimentare la presa coattiva della ripetizione per il sostegno dato all’illusione di poter essere sempre presenti e di poter pretendere costantemente un segno della presenza dell’altro, sostanzialmente mancano. Avremmo voluto, come curatori, poter coprire con un lavoro ad hoc questo aspetto, ma per diverse ragioni (associate alla difficoltà a portare avanti il gruppo di ricerca) non ci siamo riusciti.
Mi sembra che l’immagine scelta per la copertina abbia a che fare con quanto dicevi ora
L’elaborazione grafica di Luigi Iacono mette in effetti in evidenza questo aspetto dello stato affettivo che la gelosia patogena fa ovviamente risaltare: sentirsi escluso da una relazione che, con le ricchezze che “certamente” (il sapere del geloso sull’altro diviene certezza) la caratterizzano, si voleva unicamente e eternamente propria e verso la quale si continua a guardare, anche a costo di restare incollati con il proprio occhio a quel tipo di manufatto che, in italiano e non solo, si chiama “gelosia”.
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