Letteratura
La dura vita del traduttore
Quando si parla della vita dei traduttori, sono sempre, o quasi, dolenti note. I traduttori, ormai è risaputo, non hanno vita facile né dal punto di vista economico, né dal punto di vista del riconoscimento del loro lavoro. La situazione dei traduttori (e qui ci focalizziamo sui traduttori letterari) in Italia rispetto a quella dei colleghi in altri paesi è a dir poco imbarazzante: se all’estero al traduttore viene riconosciuta una percentuale, anche minima, di diritti d’autore in quanto lo stesso traduttore produce opera d’ingegno, questo non avviene in Italia, dove il mestiere di traduttore, non valorizzato attraverso una giusta retribuzione, quasi perde d’importanza. Il traduttore vive quindi in una condizione di “scrittore fantasma” e, come ha affermato in un’intervista Ilide Carmignani, famosissima traduttrice dallo spagnolo, colei che cura gli incontri dell’Autore Invisibile al Salone del Libro di Torino ed è da sempre in prima linea per la valorizzazione della categoria, “l’invisibilità cui il traduttore tende naturalmente nel lavoro alla fine trabocca fuori dalla pagina rendendo invisibile anche il mestiere”.
Per sua natura, infatti, il traduttore sta dietro le quinte, predilige il silenzio, quel silenzio propizio e necessario per ascoltare e comprendere la voce di un autore da traghettare in un’altra lingua e in un’altra cultura. Il traduttore è una figura dimessa, abituata a lavorare in semi-solitudine, in compagnia di un pc e di qualche ninnolo che, al bisogno, può diventare fonte di ispirazione. Tutto questo porta, troppo spesso, a dimenticare la fatica e l’impegno che in realtà il lavoro del traduttore presuppone, così come l’immenso valore culturale che questo assume. Il panorama letterario prolifera di metafore calzanti per la figura del traduttore. Egli è un ponte, non solo tra due lingue ma, aspetto ben più rilevante, fra due culture, è quella figura che si prende la responsabilità di trasportare messaggi, figure, ambienti e personaggi in un tessuto culturale diverso permettendo così la comunicazione e lo scambio interlinguistici. Il traduttore è un equilibrista, sempre alla ricerca del giusto mezzo, del modo per conservare nell’altra lingua quanto l’autore straniero gli sussurra senza che il messaggio perda forza. Il ruolo del traduttore è quindi più che importante, basti pensare a cosa sarebbe stata la letteratura se non avessimo avuto coloro grazie ai quali oggi possiamo leggere, nella nostra lingua, un Tolstoj, un Murakami, un Larsson, per citare qualche nome noto a tutti. Senza contare che da una buona o cattiva traduzione può dipendere il successo di un libro (pensiamo a un Dan Brown o a un Harry Potter mal tradotti). Detto ciò, sembra allora più che giusto chiedere e sperare che il mestiere di traduttore venga riconosciuto come merita.
Ebbene, in questo senso ogni tanto qualche buona notizia arriva, e se le buone notizie arrivano da ambiti istituzionali, tanto meglio! A dare un segnale positivo stavolta è il Man Booker International Prize, premio assegnato ogni due anni a un autore vivente che abbia pubblicato narrativa in lingua inglese o i cui lavori siano disponibili tradotti in inglese. L’edizione 2015 del premio è andata a László Krasznahorkai, il quale ha fatto una scelta ben precisa: ha deciso di destinare parte delle 60mila sterline avute in premio a due dei traduttori dei suoi libri. La scelta di László Krasznahorkai non è passata inosservata e, per l’edizione 2016 del premio, la giuria ha deciso di cambiare le carte in tavola. Come si legge sulla pagina dedicata al premio, il prossimo anno la traduzione avrà un peso più consistente, il premio sarà assegnato a cadenza annuale e verrà premiato un singolo lavoro di narrativa tradotto in inglese e pubblicato nel Regno Unito, anziché l’opera omnia di un autore. In più, novità sorprendente, il compenso legato al premio verrà diviso equamente tra autore e traduttore. Un passo importante dunque, quest’ultimo, dal parte del Man Booker International Prize, che va nella direzione di un sempre maggiore riconoscimento della funzione e dell’immenso valore culturale della traduzione.
Quello del Man Booker International Prize non è l’unico esempio di riconoscenza nei confronti dei traduttori. Spesso, infatti, sono gli stessi autori a dare un segnale. Basti pensare, giusto per citare un nome famoso, a Daniel Pennac e al rapporto con la sua traduttrice Yasmina Melaouah. Lo scrittore francese, infatti, non ha mai mancato di sottolineare il valore della traduzione della Melaouah e, da persona molto attenta alle relazioni, quando presenta un libro ha l’abitudine di ringraziare tanto la sua traduttrice quanto l’interprete. E non finisce qui: addirittura è lui a riconoscere, di tasca propria, i diritti d’autore alla traduttrice Yasmina Melaouah. In Italia, infatti, il traduttore, oltre a ricevere compensi più bassi rispetto ai colleghi esteri, non percepisce, come dicevamo, i diritti d’autore sul suo lavoro, e in proposito la Melaouah afferma in un’intervista: “Pennac quando ha saputo che in Italia non vengono dati è cascato dalle nuvole e io ho la fortuna di riceverli da lui, di tasca sua, però dovrebbe essere l’editore italiano…”. Sulla stessa linea di Pennac la scrittrice irlandese Catherine Dunne. La Dunne è stata vincitrice, nel settembre 2013, della 32ª edizione del premio letterario “Giovanni Boccaccio” per la letteratura straniera. In quell’occasione ha deciso di assegnare parte dell’importo del premio (cinquemila euro) alla sua traduttrice italiana Ada Arduini, e la scelta è stata comunicata attraverso la sua casa editrice Guanda. Gesti, questi, più eloquenti delle parole e che conferiscono dignità e riconoscimento a figure troppo spesso sconosciute e non valorizzate.
Potremmo quindi affermare che, sebbene con cautela, qualcosa sembra muoversi in termini di maggiore visibilità del traduttore. Potremmo azzardarci a dire (ma facciamolo sottovoce, non si sa mai) che è possibile sperare in un futuro auspicabilmente roseo in cui ci sia sempre maggiore consapevolezza della necessità di valorizzare voci diverse ma complementari a quella dello scrittore come, appunto, la voce del traduttore.
Chiara Ferri
FONTE: Cultora
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