Letteratura
La difesa postuma di Oriana Fallaci? Un inno al conformismo
Con le idee che propugnava Oriana Fallaci (riposi in pace) si può essere molto, un po’, per niente d’accordo. Di fronte alla sua scrittura e alla sua professionalità di giornalista e scrittrice ci si deve inchinare e basta. Ma innalzare un peana del suo andare controcorrente a testa alta, del suo sfidare continuamente il conformismo, del suo essere ribelle davanti agli stereotipi correnti si può, se si vuole, anzi in questo caso si deve fare, ma rigorosamente swimming against the current.
Il nuotare controcorrente di skakesperiana memoria messo a incipit del pezzo per commemorare i novant’anni dalla nascita di Oriana dal professor Pasquale Hamel (gli Stati generali del 28/6/2019) suona però come un ossimoro, dal momento che è un monumento ai nuovi luoghi comuni del mainstream odierno.
Bene fece, ad esempio, la scrittrice a non accettare di indossare il velo per intervistare l’ayatollah Khomeini, però da qui a esaltarsi nel 2019 per la definizione di “stupido cencio del Medioevo”, bè, insomma, anche no. Ancora (sempre tenendo ben presente di quanti anni sono passati da quando Fallaci sentenziava “assoluti” che dopo nuove verità acquisite e analizzate più approfonditamente oggi sono per lo meno discutibili): la “rilassante vacuità del politically correct”, “intellettuali della sinistra radical chic che avevano”, dice Hamel, “l’arroganza di pensare che le proprie tesi non potevano essere messe in discussione”.
Non so come si ponga il professor Hamel di fronte alla deriva illiberale imboccata dal nostro paese. Certo è che l’Italia non è più quella conosciuta da Oriana Fallaci. Alla quale spero nessuno vorrà mettere in bocca neo sciocchezze tipo l’aggettivo buonista oppure imprecazioni razziste e fasciste come quelle urlate dal “popolo” di Lampedusa nei confronti della capitana Carola Rackete.
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