Letteratura

La confessione

4 Giugno 2021

Amici, una cosa vi devo raccontare.

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Di una mia confessione – anni fa.

Scolpita nella memoria.

Ma io i ricordi

non li amo.

Questo però è vivo. Più di ogni altra storia.

E allora, ne scrivo.

Entrai in chiesa,

era buio. Entrai, come avessi patito un’offesa.

Sentivo rancore, nel cuore.

Ma (vi giuro: le mani

mi tremano), cominciai a pregare.

Non so ben dire

chi e per cosa; sentivo,

lieve, una costernazione.

E la voglia di mettermi

a piangere. Di disperazione.

La casa di Dio profumava

di fiori, e io respiravo

un’aria dolce di pena.

Che vale temere il nemico

fuori, quand’è già dentro?

Così mi accostai al confessionale:

mi inginocchiai. Feci il segno di croce.

Parlai. Di cosa, non so.

Forse del peccato più grave

– la colpa di omissione.

Il prete taceva.

A me, si incrinava la voce.

“Potrei fare e dare.

Non do e non faccio”.

E poi “Non sono sicura

di credere. C’è troppa nebbia”.

Infatti, che ne sappiamo

noi tutti, di quel che ci aspetta

di là, passata la cresta?

“Lei prega?” mi chiese severo

il pastore di anime.

“Di rado”, risposi.

“E non, come accomoda dire

al mondo, perché Dio esiste:

ma, come uso soffrire

io, perché Dio esista”.

“Ha dubbi di fede, dunque”,

ripeteva, quasi parlando a se stesso.

E poi mi chiedeva dei miei rapporti

con gli altri. “Ma io non vivo.

Così, non pecco. Scrivo.

Scrivo”. Ammettevo

contrita. “Io, da soldato

semplice, il mio dovere

e stop”. Aspettavo una parola

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di condanna. Tra noi,

rammento, circolava

un’aria che mi sgomentava

di solitudine. E lui,

impaziente:

“Chi fabbrica una fortezza

intorno a sé, s’illude

quanto, ogni notte, chi chiude

a doppia mandata la porta”.

“Ma Dio può entrare?

E’ in grado di forzare

le catene del cuore?”

Sbuffava, pensando (“Che mai volete

da me – da questa mia miseria

senza teologia?”).

Teneva il piede

saldamente posato

sulle cose concrete. Chiedeva

che gli enumerassi i peccati.

“Non sono molti.

Altra cosa è la fede”.

“Ma allora, cos’è venuta a fare?

In fin dei conti, cos’ha da confessare?”

Sembrava irato, forse turbato.

Capii il mio errore,

mentre pronunciava la formula

dell’assoluzione.

“Cosa vuole da me, signora?

Sono un povero prete. E in Dio

– non so se riesco a crederci più.

Dubito anch’io”.

Mi alzai (nemmeno salutai)

uscii all’aperto. Il freddo

pungeva. Premeva ancora tutto l’inverno

(il brivido: il caldo)

del mio infantile inferno.

 

 

Omaggio a Giorgio Caproni, rileggendo Congedo del viaggiatore cerimonioso

In Omaggi, Einaudi, Torino 2017

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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