Letteratura

La coglia quadra di Dante, in una lettura colta e superba

12 Febbraio 2021

Eh, sì, dovessi definire la lettura appena fatta, edita da Tempesta Editore, con una frase lapidaria e completa, esagererei. A un amico che mi chiedesse lumi sui contenuti della nuova fatica di F. Sanguineti direi: si narra, in maniera sapiente e attenta, dei coglioni quadri di Dante, mai raccontati da nessun letterato, umanista, o filologo. E voglio dirla proprio tutta, rincarando la dose e ribadendo, qui, il messaggio figurato che ho inviato, in privato, all’autore: “Hai alzato la veste a Dante e ci hai fatto vedere le sue palle quadrate, mai viste prima da nessuno!” Dio mio quanto mi è piaciuto leggerlo, questo breve, ma esplosivo saggio! Sono tali e tante le possibilità di riflessione, le meraviglie documentate apprese e le coesioni temporali tra l’epoca dantesca e l’attualità, che per forza maggiore si finisce col benedire lo studio approfondito e mai generico dell’autore. Che se ne serve, sia ben chiaro, senza apparire minimamente pedante, o accademicamente ordinario (ordinario lo è all’università di Salerno, in qualità di docente di Filologia italiana), per restituirci una figura complessa, come quella dell’Alighieri, in una prospettiva non rovinosamente inquinata da interpretazioni che, anche se storiche, contribuiscono a censurare il Sommo, laddove non ne alterano solamente l’intenzione poetica e politica.

Ecco, Sanguineti ci dice che non è assolutamente possibile, in Dante, separare il poeta dal politico. La stessa Divina Commedia non può essere contemplata e celebrata in una visione retorica, ampollosamente ferma alla definizione del suo autore di “padre della lingua”, quando, nell’indecenza degli apprezzamenti ridondanti e artificiosi, quella lingua si tende a nasconderla, una volta che, Dante stesso, la fa diventare “linguaccia”. E, beninteso, non è di “merdose”, “puttane”, o “del cul fatto trombetta” che, qui, si va scrivendo, tanto più che non sono queste le parolacce intese dal Sommo Poeta e men che meno dall’autore del saggio di cui si va snocciolando, ma del femminismo primigenio e del comunismo antesignano che Dante lascia cogliere nella sua opera. L’accusa di degenerazione morale e corruzione politica, lanciata da Dante, è forse diversa da quella che un onesto esponente del popolo sente, in cuor suo, di poter gridare, oggi? E quale donna, ancora oggi, non vede in Beatrice, bella, intelligente e integerrima, la versione femminile di un Cristo che protegge il genere dal maschilismo, tramandato dalla critica più tristemente accademica e borghese?

Probabilmente, bisognerebbe riscrivere in gran parte la storia letteraria e la storia dell’arte, ma questo è un altro discorso, o, più semplicemente, solo uno dei riverberi che ci viene dalle pagine dello studio del prof. Sanguineti, che a questo punto, diventa strabiliante, avendo introdotto un elemento di sorpresa sempre ignorato, mai studiato e, forse, volutamente oscurato, sin dai tempi della prima stesura della Commedia, fino ad arrivare ai giorni nostri, a questa contemporaneità intrisa di un neo-oscurantismo organizzato, dove anche la ricerca letteraria e la cultura in genere, con l’editoria che ne scaturisce, sono incluse in un modello decadente di intendere il mondo e l’esistenza.  Trovo magnificamente emozionante questo capovolgimento sanguinetiano: “La censura ecclesiastica non tollera che – in quanto donna non angelicata, ma angelo col nome di donna – Beatrice costituisca una novità teologica rispetto alla Bibbia stessa, giacché Antico e Nuovo Testamento non offrono che angeli con nomi maschili.” Ed è con la precisione estrema a lui consueta, che, a fronte dell’imperativo espresso nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi (14,34), dove si dice che la donna deve tacere in pubblico (mulier taceat in ecclesia), l’autore sottolinea, da par suo, che Dante innalza Beatrice a sua guida suprema, morale e intellettuale, nell’ambito di una società ideale, il Paradiso, dove la proprietà privata è abolita. “E il Paradiso è il luogo dove la donna amata da Dante parla più di chiunque altro, non ha da ascoltare in silenzio la lezione di nessuno e in ogni campo del sapere ha qualcosa di nuovo da insegnare.”

Considero, infine, che in questo 2021 ricorre, oltre il settimo centenario della morte di Dante, il bicentenario della nascita di Dostoevskij. La tentazione di una comparazione è forte, ma è davvero complicato avvicinare i due, e non tanto, credo, per la distanza temporale e culturale da cui sono divisi. Certamente, entrambi concepiscono la letteratura come una disciplina dell’estetica che risulti funzionale a corrispondenti canoni etici. La ricerca delle parole e finanche di una fonetica che dia il giusto equilibrio alla scrittura è ben presente nelle loro opere e rappresenta, dunque, un elemento fondamentale comune. Ad ogni modo, Sanguineti ci insegna che quanto più si va a fondo nella lettura di Dante, tanto più egli ci appare come uno scrittore universale, e, quindi, comparabile, sorprendentemente attuale, e, pertanto, modello: sì, inarrivabile, ma percorribile. Questo ultimo assunto, potrebbe rientrare tra i contraccolpi di riflesso della lettura de “Le parolacce di Dante Alighieri”. Che dire? Un libro che dopo averlo letto, ti insegue!

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