Letteratura

La Cittadella di Cronin e la professione medica

23 Aprile 2020

Qualche mese fa, molto prima dell’arrivo della pandemia, acquistai, incuriosito dalla copertina, un libro di Archibald J. Cronin intitolato La Cittadella, senza pormi troppi problemi, ma cercando solamente di calarmi a capofitto in una storia ambientata 100 anni fa nella zona meridionale dell’Inghilterra e del laborioso Galles.
Chiariamo, La Cittadella si può considerare ormai un classico, un romanzo d’altri tempi, scritto in tono molto prosaico e molto descrittivo; è il quinto romanzo di Cronin che ha voluto in qualche modo imprimere su carta il segno del suo impegno civile.

Nel romanzo iniziamo a conoscere la storia di Andrew Manson, da poco laureato in medicina, nell’intento di conquistarsi il primo lavoro da assistente del dottor Page in una città mineraria del Galles. Manson capirà ben presto che tutto quello che aveva imparato nelle aule universitarie doveva fare necessariamente i conti con la realtà. E non è solamente la mala organizzazione del sistema sanitario a colpirlo, lo sono anche le condizioni in cui i lavoratori sono costretti a vivere, ammalandosi in un paese che non aveva nemmeno un sistema fognario adeguato. Manson inizia a guadagnarsi la stima della gente che riesce a curare, si fa degli amici, pochi ma buoni, e trova una compagna con cui condividerà la sua esperienza di medico fino al suo trasferimento nella capitale britannica, Londra, dove lo aspetterà un mondo e un modo totalmente differente di intendere la sua professione, fatto di arrivismo e competizione, dove la sua parabola esistenziale troverà il culmine e la rapida discesa.

Cronin scrive il suo capolavoro nel 1937, sostanzialmente pochi anni dopo l’effettivo svolgersi delle vicende e tratteggia una figura di medico deontologicamente irreprensibile, un pioniere della nuova scienza assistenziale in cui ogni momento della giornata viene destinata a quella che sembra più una vocazione che un mestiere. il dottor Manson studia, ama la medicina, fa esperimenti e si trova a dover avere a che fare con medici che ormai portano avanti una professione per abitudine, speziali, chirurghi che lasciano le loro esperienze nel fondo di una bottiglia di whiskey e molto spesso, in preda all’alcol, piangono sulle loro stesse condizioni e quelle dei loro pazienti. Manson avrà modo di vedere i comportamenti di dottori di campagna così come quelli di fantomatici “luminari” di città, in cui la competizione non sta nel trovare cure risolutrici ma nell’accaparrarsi i clienti più facoltosi per arricchirsi e cambiare automobile e casa.

 

La Cittadella fece un grande scalpore al momento della sua pubblicazione e in molti sostengono che se nella Gran Bretagna si iniziò a pensare al Servizio Sanitario Nazionale (NHS) fu proprio grazie a Cronin e al suo sguardo impietoso sul mondo della assistenza sanitaria. D’altronde egli stesso era un medico prima di essere uno scrittore e si può dire che gli occhi con cui il dottor Manson guarda il mondo sono prima di tutto i suoi, con uno sguardo indagatore e attento. Diciamo che Cronin appare soprattutto come un idealista, un paladino della professione medica che è pronto a raccontare tutto quello che non va e che non funziona: burocrazia, ospedali fatiscenti, cure antiquate e del tutto inutili. Riesce a trovare del buono nella sua strada, soprattutto nell’amore con Christine che non lo abbandonerà mai e si sacrificherà sempre, in ogni spostamento, in ogni nuovo lavoro, in ogni nuovo incontro del marito.

La Cittadella è una storia che offre molti spunti di riflessione e dopo quasi 100 anni dalla sua ambientazione è diventata una testimonianza di come sia stato possibile rifondare dal basso un sistema sanitario nazionale praticamente inesistente, dalla sicurezza dei minatori del Galles ai più lievi ma numerosi problemi quotidiani di una metropoli come Londra, sino ad arrivare a malattie che non potevano essere curate se non grazie a ingenti spese che molte famiglie non erano in grado di sostenere.
In tutta questa storia Andrew Manson non è un eroe, nella sua giovane carriera sbaglia molte volte, rimane abbagliato dalle “luci della città”, ma trova il modo di risollevarsi dopo ogni caduta, dopo ogni mancanza, sospinto da una profonda coscienza e amore per la medicina.

Sono sincero, leggere la storia di Manson in un periodo come quello della quarantena a cui siamo ancora sottoposti, mi ha fatto pensare moltissimo a tutti i medici, gli infermieri, gli operatori che da mesi ormai combattono in corsia contro la pandemia. Mi è sembrato di rivedere oltre le loro maschere, sotto le loro visiere protettive, lo stesso sguardo di un giovane dottore che cura i suoi pazienti anche coperto dalla polvere di una miniera, con lo stesso spirito di abnegazione e totale dedizione alla propria vocazione: salvare vite umane.


Il romanzo è stato adattato per il cinema nel 1938 da King Vidor (immagine di copertina) e svariate volte per la televisione, tra le quali con lo sceneggiato italiano del 1964 con Alberto Lupo (immagine sopra).

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