Letteratura
La chiave d’accesso alla felicità? Salvare gli studi umanistici
La vera filosofia è esercizio spirituale (Pierre Hadot)
Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot è un saggio necessario. Non è destinato solo agli addetti ai lavori, ai filosofi e agli intellettuali. Pierre Hadot si rivolge a tutti e propone una nuova interpretazione della filosofia: non un sapere iniziatico né un magma di dottrine onnicomprensive neppure il tarlo della domanda neanche il cammino della ricerca.
Piuttosto un’arte di vivere, lo strumento utile a vivere una vita umana.
Per Hadot la filosofia ha due precisi compiti:
1) rivelare agli uomini l’utilità dell’inutile;
2) spiegare all’umanità che il filosofo non è un professore o uno scrittore, ma un uomo che ha fatto una certa scelta di vita, che ha adottato uno stile di vita.
Pierre Hadot intende dimostrare che la filosofia coincide con la vita di un uomo cosciente di se stesso, che corregge incessantemente il suo pensiero e la sua azione, consapevole della propria appartenenza all’umanità e al mondo.
Per troppo tempo considerata il regno della chiacchiera, delle parole, un lusso lontano dalle preoccupazioni della vita quotidiana, dalla gravosa realtà di giorni difficili, la filosofia, nel discorso di Hadot, assume la fisionomia di una cosa sacra, imprescindibile, proprio in quanto legata alla vita stessa. La filosofia è l’arte di vivere da uomo, è la capacità di rapportarsi al mondo con la responsabilità propria di chi sa riconoscere in sé e nell’altro la dignità umana. E questa è una lezione che viene dagli antichi. Non è il frutto di architetture mentali complesse, è il risultato dell’esperienza. Socrate è un uomo della strada. Parla con tutti, va in giro per i mercati. Egli osserva e discute. Non pretende di sapere. Non dà risposte. Interroga soltanto; e coloro che sono interrogati si interrogano a loro volta su se stessi. Si rimettono in discussione. Tutto questo accade solo grazie alla forza del dialogo.
E’ questa l’essenza della filosofia. Scoprirsi uomini nella parola che avvicina, riduce le distanze, favorisce incontri. Si tratta di un messaggio rivoluzionario in un’epoca che sta azzerando il dialogo anche a scuola, dove le relazioni umane si affievoliscono, strette nella morsa delle TIC, le nuove tecnologie informatiche pervasive (e, ironizzando sul loro nome, forse anche un po’ nevrotizzanti!).
In questo senso, la filosofia appare non più come una costruzione teorica di cattedrali di idee, ma come un metodo inteso a formare una nuova maniera di vivere e di vedere il mondo, come uno sforzo di trasformare l’uomo.
Appunto, si tratta di un esercizio spirituale. Vuol dire imparare a rovesciare i principi riconosciuti come tradizionalmente vincenti. E’ la rinuncia consapevole e matura ai falsi beni, alle ricchezze, agli onori, ai piaceri, per volgersi ai veri valori – la virtù, la vita semplice, la semplice felicità di esistere, il colloquio con gli antichi, la rilettura del passato e dei suoi insegnamenti, la capacità di porsi domande, la rivalutazione dei piccoli piaceri spirituali che ci liberano dalle ossessioni dei beni materiali, dalle pretese prometeiche di un controllo totale sulla realtà attraverso la presunta forza taumaturgica della tecnologia.
Scriveva Petrarca (Canzoniere, VII):
La gola, e ’l sonno, e l’oziose piume
hanno del mondo ogni virtù sbandita,
ond’è dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;
ed è sì spento ogni benigno lume
del ciel, per cui s’informa umana vita;
che per cosa mirabile s’addita
chi vuol far d’Elicona nascer fiume.
Qual vaghezza di Lauro? qual di Mirto?
Povera, e nuda vai, Filosofia,
dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l’altra via;
tanto ti prego più, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.
Quello che per Petrarca è un compianto, in Hadot diventa esortazione. Se il poeta aretino concepisce la filosofia come una magnanima impresa per spiriti gentili, Hadot, invece, propone l’immagine della filosofia come sostegno spirituale per l’azione, uno sforzo comune per diventare umani, un impegno responsabile per non farsi sopraffare dalle passioni politiche, dalle ire, dai rancori, dai pregiudizi. Insomma non si tratta del privilegio intellettuale per pochi, ma di un’azione collettiva, di un’occupazione che riguarda tutti. Non esiste il pensatore solitario, ma un’umanità intera volta verso la costruzione di un mondo migliore.
Qual è, allora, la chiave d’accesso alla felicità? Circoscrivere il presente, liberarlo dalle catene del rimpianto e della speranza, dalle inquietudini e dalle preoccupazioni inutili.
La felicità consiste nel ritorno all’essenziale, a ciò che è veramente “noi stessi”, a ciò che dipende da noi. E la filosofia sa spiegarlo. Si tratta solo di salvare gli studi umanistici.
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