Letteratura
La bellezza di Angelica
Parlo con un amico e ci capita di affrontare il tema dei film tratti dai capolavori della letteratura.
Ci soffermiamo in particolare sul “Gattopardo” di Luchino Visconti.
Il mio amico dice di averlo rivisto con una persona che, non conoscendo il romanzo, ha trovato il film prevalentemente iconografico, cioè molto più attento alla ricostruzione degli ambienti ( l’azione del libro si svolge nel 1860, in Sicilia) e alla confezione delle immagini che alla tensione del racconto, all’approfondimento dei personaggi (o quanto meno di quello principale, il principe di Salina) e alla descrizione del contesto.
Le considerazioni del mio amico mi colpiscono e mi inducono a rivedere il film.
Scopro così che quella critica era tutt’altro che infondata.
Ma cosa avrebbe dovuto fare, di più di quello che ha fatto, Luchino Visconti, per dare al film le caratteristiche che gli mancano?
La risposta viene sempre dal mio amico.
“Ti ricordi la prima edizione televisiva dei ‘Promessi Sposi’?”– mi dice- “Forse ricorderai che c’era una voce narrante ( lo straordinario Giancarlo Sbragia) che continuamente integrava il racconto facendoci sentire le considerazioni di Alessandro Manzoni”.
E’ vero, ho pensato subito.
Ci sono aspetti di un romanzo che è impossibile trasmettere con le immagini.
Neanche lo sceneggiatore più abile o l’attore più strepitoso ci riuscirebbero, occorre richiamare in causa l’autore e ridargli la parola tutte le volte che le immagini non sono in condizione di farcela pervenire.
Faccio un piccolo esempio, tratto proprio da “Il Gattopardo”.
Prendiamo la scena dell’arrivo della bellissima Angelica al palazzo di Donnafugata.
Il film descrive bene quell’arrivo, l’ammirazione dei presenti di fronte a quello spettacolo di grazia, eleganza e sensualità.
Ma come ci arriva il vero pensiero del protagonista del romanzo? Guardando il film pensiamo che il Principe di Salina semplicemente ammiri la meravigliosa adolescente.
Invece, se ci fosse una voce narrante che integra il racconto, ecco cosa verremmo a sapere:
“…si accorse che stava invidiando le possibilità di quei tali Fabrizi Corbera e Tancredi Falconeri di tre secoli prima che si sarebbero cavati la voglia di andare a letto con le Angeliche dei loro tempi senza dover passare davanti al parroco….L’impulso di lussuria atavica ( che poi non era del tutto lussuria ma anche atteggiamento sensuale della pigrizia) fu brutale al punto da fare arrossire il civilizzatissimo gentiluomo cinquantenne, e l’animo di lui che, pur attraverso numerosi filtri, aveva finito di tingersi di rousseauiani scrupoli, si vergognò profondamente.”
Per chi guarda il film, senza aver letto o senza ricordare il romanzo, Don Fabrizio appare solo un “civilizzatissimo cinquantenne”-
Mentre se il film avesse dato la parola anche a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del romanzo, vedremmo in lui , sotto lo strato della “civilizzazione ” e delle buone letture, anche un feudatario nostalgico dello jus primae noctis.
Insomma, ci viene sottratto, guardando solo il film, un aspetto della personalità di Fabrizio, che invece chi, come me ha letto e riletto il libro, ricorda come dominante: quello della sua sensualità.
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