Letteratura

Jonas – La visita medica

13 Agosto 2017

L’appuntamento con il medico era fissato per le otto di quella mattina. Sveglia alle sei, dunque. Jonas detestava alzarsi così presto, quando il sole non era ancora visibile sopra la linea dell’orizzonte, quando il primo caffè della giornata si doveva preparare sotto la luce elettrica della cucina.

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Gli tornavano alla mente i brevi racconti del suo sussidiario delle elementari, dove si leggeva di povere madri costrette a rammendare i calzini del loro bambino, prima che andasse a scuola, al fioco bagliore di una lampada. O di poveri pendolari, che si alzavano nel buio dell’alba per recarsi al lavoro in treni gelidi o in scomode corriere, sonnecchiando tra una fermata e l’altra. Interminabili appuntamenti giornalieri.

E quei ricordi gli procuravano una tristezza che scendeva in fondo all’anima, mal predisponendolo al rito della sua vita quotidiana. Proprio quel giorno poi, il giorno in cui si era finalmente deciso a farsi visitare per il suo cronico stato di incomprensibile alterazione psico-fisica: avrebbe finalmente saputo da cosa dipendeva, se e quale malattia si covava dentro. Non poteva più rimandare ormai, aveva già disdetto l’appuntamento decine di volte.

Era ora.

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Due ore più tardi, Jonas uscì dallo studio del medico con una serenità che non aveva mai provato prima. Di questo si trattava, allora, di questo soltanto. Nient’altro che uno stupido caso di indecisione cronica. Come se non avesse potuto diagnosticarlo da sé, il più semplice e banale dei disturbi causati dalla frenetica vita moderna. Cynar. Il logorio insistente di un’esistenza senza speranze, senza futuro.

Maledisse ora l’istante in cui si era convinto a farsi visitare. Proprio un bel risultato, una bella diagnosi, così banale, per una scelta così dolorosa, così sofferta. Sfiancante. Riuscì a sorridere, alla fine. Sorrise di sé, delle sue paure, delle sue angosce. Ma si sentiva più tranquillo, ora, più sollevato.

Giunto in strada, Jonas ritrovò la sua vettura, parcheggiata poco lontano. Per qualche istante restò immobile a fissarla, pensieroso. E lentamente un dubbio, sottile e impercettibile, si insinuò come un tarlo nel cervello.

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Auto o metropolitana?

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