Letteratura
Jonas – Il matrimonio
Mentre la sera scendeva lentamente nel suo ufficio, impedendogli di distinguere ormai gli oggetti senza una luce artificiale, Jonas si decise infine a rispondere al telefono della scrivania, che suonava insistente da un po’.
Come faceva solitamente rivedendo i primi istanti del film di Leone “C’era una volta in America”, anche allora era giunto a contare 18 squilli. Poi, come De Niro nel film, aveva alzato la cornetta, andando incontro al suo destino.
Sapeva bene chi c’era all’altro capo del filo, nessun dubbio; la sua voce dura e perentoria entrò nel cervello di Jonas. Finalmente hai risposto! E sapeva bene cosa gli avrebbe rimproverato, le sue perplessità manifestate negli ultimi mesi, mentre già i preparativi del matrimonio erano concordati con le rispettive famiglie. Mancava una data. Mancava la data.
Eppure: non aveva mai incontrato finora una donna come quella, né troppo invadente né troppo distaccata, l’incarnazione quasi del suo ideale femminile, giusto qualche piccolo screzio per gustare ancora di più la successiva riappacificazione. Occhi dentro i quali perdersi per sempre.
Per sempre. Forever. Amore e odio circondavano quella piccola parola, così invitante e così agghiacciante. Jonas si sentiva proiettato verso l’alto, il paradiso, e verso il basso, l’inferno più cupo, Vedeva il suo corpo allungarsi a dismisura, come sulle antiche tavole di tortura medievali.
E ora, cosa le avrebbe detto, quale patetica scusa poteva inventare per rimandare ancora di qualche settimana, di qualche giorno almeno, quel tremendo appuntamento? Ascoltò di nuovo quella voce che tanto amava, che tanto importante era diventata nella sua vita.
Jonas, mi vuoi dire qualcosa? Mi senti?
Pronto, pronto! Non sento più nulla, problemi sulla linea. Richiama, se tu mi senti.
Rimise il ricevitore sull’apparecchio. Il telefono ricominciò a squillare. Una, due, dieci volte. Jonas contò fino a 18 squilli. Poi iniziò a contarne, di nuovo, altri 18. Ancora fino a 18. E ancora, e ancora…
Per sempre. Forever.
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