Letteratura

JONAS – IL DILEMMA

23 Luglio 2017

Per passare da una roccia all’altra, distanti 70 centimetri, poco più della lunghezza di un passo normale di un uomo normale, bisognava transitare sopra una fenditura tra i due massi profonda nemmeno tre metri.

Non certo un abisso.
E oltre le pareti di roccia scintillava l’acqua cristallina del mare, così invitante che per i bagnanti estivi risultava difficile farsi frenare da quel piccolo impedimento, da quel piccolo balzo verso l’abbraccio tonificante delle onde.

Per tutti, fuorché per lui.
Jonas si accostò guardingo alla fenditura, scrutando le profondità dell’abisso, cautamente calcolando le probabilità di sopravvivenza dopo un eventuale tuffo accidentale. Le gambe gli tremavano leggermente, non sapeva dire se per lo sforzo della lunga camminata o per la lieve vertigine che gli causava la vista del piccolo precipizio sotto i suoi piedi.

Ritrasse il capo dal vuoto.
Alzò lo sguardo verso i compagni d’avventura che, davanti a lui, avevano già superato l’ostacolo senza nemmeno farci caso, a testa alta, gli occhi persi sul disegno della costa, in cerca del miglior ingresso nel mare.

Nessuno gli badava. Meglio così.
Si accese una sigaretta, riflettendo sul da farsi. Se non avesse trovato il coraggio, avrebbe dovuto ripercorrere a ritroso un lungo tratto di sentiero, tagliando poi più in alto, dove la strada evitava il cammino roccioso, allungando di una buona mezz’ora il tragitto.

Doveva decidere in fretta.
Ma doveva scegliere, comunque, quale delle due vertigini affrontare. Quella più fisica, più ancestrale: seguire gli altri anche a costo di fa violenza sulla sua natura, sulla sua paura del vuoto, snaturando se stesso. Oppure quella più psicologica, più ridicola da testimoniare: intraprendere un lungo cammino solitario, a costo di venire sbeffeggiato per la sua insulsa fobia, ma rimanendo fedele a se stesso.

Jonas gettò la sigaretta nel piccolo precipizio.
Si immaginò per un istante mozzicone, rimanendo con il fiato sospeso mentre si sentiva proiettato nell’aria e risucchiato poi dall’abisso, dal vuoto, verso il mortale abbraccio con le acque tumultuose, nel gorgo laggiù in basso. Nell’attimo dell’impatto un crampo gli serrò la bocca dello stomaco, facendolo vacillare. Dovette appoggiarsi alla roccia per evitare di trasformare la sua fantasia in tragica realtà.
Si riscosse, alla fine.

Ora, tra le onde, riusciva a scorgere il mozzicone spento dal liquido contatto con il mare. Spento, come la sua anima. Rise tra sé della involontaria puerile metafora, mentre cercava una soluzione a quel dilemma.

Ancora un attimo, un secondo appena. Muovendo infine il primo passo, il suo volto si contrasse impercettibilmente in un sorriso, ricordando la favola della rana e dello scorpione.

Già, la mia natura.

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