Letteratura
Isaac Asimov si racconta a tutto tondo in ‘Io, Asimov’ edito da Il Saggiatore
La terza autobiografia di Isaac Asimov racconta uno degli autori più prolifici della letteratura contemporanea
Ho passato vari anni fantasticando di orbite e pianeti. Potevo avere tra i dodici e i sedici anni. Per me era facile avere accesso a libri e riviste che ne parlavano, la libreria di mio babbo è sempre stata piena di testi di fantascienza. Ma c’è stato un autore in particolare che ha contribuito a formare la mia idea di spazio, il suo nome è Isaac Asimov. Di lui ho apprezzato in particolare l’intero ciclo della Fondazione. Ne ho sempre ammirato la chiarezza espositiva, unico elemento, a mio parere, che può rendere uno scrittore davvero un grande scrittore. Quando recentemente ho visto che era uscita la suo autobiografia, intitolata ‘Io, Asimov’, edita dal Saggiatore, ci è voluto ben poco perché mi decidessi a leggerla. La spinta principale con cui mi sono avvicinato a questo testo era la curiosità di conoscere, meglio ancora carpire, qualcosa del processo mentale con cui si possono immaginare e descrivere mondi, universi, dimensioni molto lontane da noi. Un processo mentale, nel caso si Isaac Asimov, talmente lucido e fino da creare anche le regole in base alle quali quei mondi lontani dovevano funzionare.
Nel memoir ‘Io, Asimov’, Asimov stesso si racconta a tutto tondo nelle settecentoventi pagine di questa sua terza autobiografia. E lo fa con la naturalezza di un nonno che sta raccontando qualcosa ai nipoti. Racconto che potrebbe cominciare da un paradosso: lui, autore di decine e decine di racconti sui viaggi interstellari, afferma che aveva paura di prendere l’aereo. E dell’aereo non ne aveva bisogno, perché dalla sua scrivania, armato solo di una macchina da scrivere e della sua fantasia, Asimov ha immaginato e creato mondi dall’ampiezza sconfinata, remoti universi alieni, civiltà galattiche in conflitto e robot capaci di sembrare più umani degli umani. La sua produzione è sterminata, si parla di più di 500 pubblicazioni che spaziano dal romanzo poliziesco, alla fantascienza, ai libri per ragazzi, fino ai saggi scientifici, comprese due precedenti autobiografie, perché quella edita dal Il Saggiatore è, appunto, la sua terza autobiografia, quella che lui stesso considerava come definitiva.
Ma chi era Isaac Asimov? Era sicuramente un uomo molto ambizioso, caratteristica che emerge spesso nelle pagine del libro. Uno che sembrava non volersi arrendere a numerosi stop imposti al suo percorso ideale. A livello accademico, non riuscendo ad entrare nella scuola di medicina, si fece spazio nella facoltà di chimica, riuscendo così ad entrare negli albi della chimica universitaria e di pubblicare numerosi articoli scientifici. Esordì precocemente nella scrittura narrativa, all’età di undici anni cominciò a scrivere aderendo al mondo delle collane che negli anni ’30 si stavano diffondendo in America. Il suo primo libro si intitolava The Greenvile Chums at College, un libro di otto capitoli che non fu mai terminato, racconta Asimov stesso. Già da questa sua prima opera emerge un tratto fondamentale di tutta la sua scrittura, tratto che consente di spiegarne anche l’immensa prolificità: Asimov scriveva inventando le sue storie mentre procedeva nella scrittura, avendo però in mente già la soluzione da dare alla storia su cui stava lavorando.
Il suo primo romanzo, pubblicato dalla Doubleday & Company, fu frutto della riscrittura di una sua novella di 40.000 parole inizialmente ignorata degli editori a cui era stata spedita. L’editor della Doubleday gli propose di ampliare quel racconto, arrivando fino a 70.000 parole, e consegnandoli un assegno di 750 dollari come anticipo. Era il 1949, anno in cui Asimov cominciò a capire di prima mano come muoversi il quel mercato editoriale statunitense che lo avrebbe visto protagonista per almeno cinquant’anni. Era il 1949, anno in cui fu dato alle stampe il suo primo romanzo, Pebble in the Sky (Paria dei cieli). Negli anni immediatamente successivi a questo suo primo romanzo, Asimov si testò anche come scrittore di saggistica. Per sua stessa ammissione a lui non interessava fare ricerca nell’ambito scientifico della chimica, quello in cui si era fatto spazio a livello accademico. A lui interessava solo scrivere, e scrivere significava saggistica. Negli anni cinquanta questa sua passione si tradusse nella pubblicazione di otto libri per la Abelard-Schuman che spaziavano della biochimica, alla genetica, alla fisica nucleare, alla chimica organica e all’astronomia.
La parola che viene a mente pensando ad Isaac Asimov è profilicità. Ha scritto tantissimo e soprattutto non ha mai smesso di scrivere. Quando andava in crisi su un filone letterario, per esempio per alcuni anni non ha scritto niente di fantascienza, aveva sempre altri territori da esplorare e su cui mettersi in gioco. Sicuramente, però, sono ascrivibili all’ambito fantascientifico tutti i suoi successi più importanti. Tra i suoi racconti più famosi possiamo citare Notturno, L’ultima domanda, L’uomo bicentenario, Robbie e Nove volte sette. Tra i romanzi sicuramente fanno da guida due antologie Io, robot e Fondazione. E il Ciclo della Fondazione è stato di ispirazione, per stessa ammissione di George Lucas, per le prime due trilogie di Guerre Stellari. Uno dei punti su cui tale influenza è particolarmente evidente, per esempio, è il potere mentalista della Seconda Fondazione, ovvero la capacità di alcuni individui di riuscire a captare i pensieri altrui e di modificarli. Abilità possiedono proprio i jedi di Star Wars.
Restando sempre a cavallo tra saggistica e narrativa Asimov è arrivato a formulare le seguenti tre leggi sulle robotica: 1) un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno; 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge; 3) un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. Apparvero per la prima volta nel suo racconto ‘Circolo vizioso’ del 1942. Ad esse aggiunse successivamente la legge zero: un robot non può recare danno all’umanità né, tramite l’inazione, permettere che l’umanità subisca un danno. Recentemente sono state tirate nuovamente in ballo come baluardo etico da tenere presente rispetto ai campi di applicazione dell’intelligenza artificiale.
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