Letteratura
Iran, in galera per un racconto nel cassetto
Se fossimo giudicati per quello che scriviamo, e che non pubblichiamo, saremmo tutti degli eretici, o nel migliore dei casi degli stronzi. Perché la penna va, e poi arriva la coscienza. A volte si palesano i freni editoriali. Più spesso la paura. La morale personale. In Iran, però, il conflitto non è quello con se stessi, ma con la religione.
Questo racconta la storia assolutamente irreale (ma verissima) della scrittrice e attivista iraniana Golrokh Ebrahimi Iraee, costretta alla galera per un racconto mai pubblicato nel quale una donna dopo aver visto il film, basato su una storia vera, La lapidazione di Soraya M. decide di bruciare una copia del Corano. Il racconto si trovava in un cassetto a casa della scrittrice, perquisita il 6 settembre 2014 dalle Guardia rivoluzionarie. L’obiettivo era il marito di lei: l’attivista Arash Sadeghi (condannato a giugno a scontare 15 anni di carcere per un post pubblicato su Facebook e delle email inviate a dei giornalisti e attivisti stranieri, comunicazioni accusate di essere esempi di “propaganda contro il sistema”).
Costretta ad avere un processo farsa – a una delle due avvocatesse è stato impedito di prendere parte all’udienza, all’altra sono state fatte minacce per costringerla alla ritirata – Golrokh Ebrahimi Iraee è stata condannata a sei anni di carcere, da scontare nella famigerata prigione di Evin a Teheran. Per delle parole mai pubblicate. Per delle parole che secondo il giudice “offendevano le figure sacre dell’Islam” e diffondevano “propaganda contro il sistema”.
A denunciarlo è AmnestyInternational. La storia di Golrokh Ebrahimi Iraee racconta molto dell’Iran di oggi, dove le donne devono ancora girare velate e sempre in compagnia di un uomo, e per espatriare hanno bisogno di un permesso del padre famiglia. Raccontano molto dell’Islam di oggi, e della comunità internazionale che impassibile resta a guardare.
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