Letteratura
Io sono un’altra storia
A volte basta un solo uomo per fare tutta la differenza che serve (Michela Murgia)
Dobbiamo ormai decidere se il presente oppressivo e ingolfato di parole, informazioni, immagini in cui siamo immersi possa lasciarci ancora il modo di un narrare e di un leggere articolato e lungo come il modello del romanzo, oppure il nostro sia un tempo in cui solo la forma del racconto può essere adatta. Ne va del nostro stare al mondo come individui originali e capaci di sottrarsi alle dinamiche massificanti dell’infotaiment contemporaneo.
«Dopo aver pensato per vent’anni (credo a ragione), che il presente non fosse raccontabile, ho voluto tornarci per vedere se era cambiato qualcosa». Così Sebastiano Vassalli giustifica la scelta del racconto nella postfazione alla Morte di Marx e altri racconti. Per Vassalli, la misura breve equivale a una sosta necessaria, una pausa di cui non sono più capaci gli uomini del terzo millennio condannati a star dentro la nuova corazza automobilistica, incanalati nel traffico-vita: «Scopo originario dell’automobile era la mobilità, cioè trasformare l’uomo in automobilista perché viaggiasse e vedesse il mondo. In realtà, l’automobilista vede solo strade; e tutte le strade e tutte le città del mondo, ormai possono essere immaginate come luoghi pieni di automobili più o meno uguali: dov’è difficile, e spesso addirittura impossibile, trovare alla fine una propria storia (Un proprio parcheggio)».
Un aiuto appropriato a trovare la propria storia io credo può fornirlo la lettura della raccolta di racconti di Alida Airaghi, Gente normale (Eretica).
Sono 26 racconti (noti ai lettori di GLI STATI GENERALI perché tutti già pubblicati sul sito) che cercano la vita nello scorrere di storie appunto, come dice il titolo, “normali” e quotidiane, dallo sviluppo scontato almeno fino alla conclusione. Riguardano nonni e nipoti, adolescenti innamorati, mariti e mogli distratti, genitori assillanti, fratelli in competizione, impiegate single…
Ma i finali sono sempre invece sorprendenti e inattesi in questa raccolta.
Come se l’esito spingesse la ricerca della vita verso qualcosa che la supera, in un “oltre” non subito visibile. Come se in fondo ai binari su cui si indirizzano tante vicende in modo prevedibile, ci sia in realtà in agguato lo scarto dell’inatteso.
E così ogni racconto si rivela capace di deviare il pensiero da uno sviluppo che pensiamo di essere in grado di immaginare.
Non c’è potere e non c’è controllo possibile nello scorrere delle nostre esistenze.
La letteratura per essere vera deve costantemente ricordarcelo.
I racconti di Alida Airaghi ci provano e ci riescono.
Rimane da capire se l’editoria italiana abbia ancora da dedicare propri spazi ai libri di racconti. Pare di intuire che sia considerato un genere minore. Già solo da uno sguardo veloce agli scaffali delle librerie ripiene di romanzi lo conferma.
Ma il tempo da dedicare alla lettura di racconti belli come quelli di questo libro più che mai oggi è tempo dedicato a ciò che siamo, a noi stessi, al nostro uscire dallo scontato, al cercare di non lasciarci vincere dall’entropia che ci vuole tutti uguali. Leggere racconti è oggi un esercizio di libertà se, come quelli che ci propone Alida Airaghi, riescono nell’intento di colpirci con un’originalità che è lotta aperta ad ogni omologazione.
Michela Murgia ci ha proposto in Presente di scendere in piazza inveendo contro il potere delle parole pronunciate dai politici populisti, veri e propri incantatori della volontà di uniformare: «noi non abitiamo solo luoghi, case o città, ma anche le storie di noi stessi che ci vengono raccontate. Chi governa le storie, governa noi». Così ci ha esortato a «invertire la trama e a scendere a manifestare con un cartello con scritto sopra: “Io sono un’altra storia”».
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