Letteratura
Io sono la strega: fughe dal paradiso e roghi, da Lilith a Bocca di rosa
Prima Dio creò l’uomo e la donna a sua immagine: “maschio e femmina li creò” (Genesi 1,27).
Nella tradizione popolare ebraica e mesopotamica, dunque, la prima donna non fu quella creata dalla costola di Adamo: prima di Eva, ci fu Lilith.
Quando Adamo e Lilith si trovarono faccia a faccia, Dio forse occupato a riposarsi in quel settimo giorno, «ella disse: “Non starò sotto di te”, ed egli disse: “E io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra”» (Alfabeto di Ben-Sira, pseudo Ben-Sira). Lilith non cedette, e furibonda lasciò il Giardino dell’Eden. Si rifugiò nel Mar Rosso e divenne un demone, una tempesta. Adamo rimase solo. Venne allora creata la più remissiva Eva, non dalla stessa polvere del suolo da cui provenivano Adamo e Lilith ma dalla costola dell’uomo.
Lilith restò nell’aria, temuta, il più possibile taciuta, raccontata come demone dal volto di civetta che urla nella notte e rapisce i bambini, riscoperta e riabilitata un paio di secoli fa come simbolo di emancipazione femminile.
Quando nel 1487 due frati domenicani pubblicarono il Malleus Maleficarum, dove si spiegava come identificare una strega, la descrissero come creatura che uccide i bambini e che adesca gli uomini. La stessa parola “strega” viene dal latino strix, strigis, ossia civetta: le streghe a cui si dava la caccia tra il quindicesimo e il diciottesimo secolo erano insomma le dirette discendenti di Lilith, le donne in qualche modo “libere”, forse belle o affascinanti – e dunque ammaliatrici – e a volte, come Lilith, consapevoli del fatto, inaccettabile, che anche la donna può provare piacere nel sesso e che fare l’amore possa essere bellissimo. Si trattava perlopiù di donne rimaste vedove molto presto, di prostitute o di guaritrici, capaci dunque di lavorare le erbe medicinali o di sedurre gli uomini: in entrambi i casi, di esercitare su di loro un potere.
Lo racconta bene Marina Marazza in Io sono la strega, uscito a giugno per Solferino. Romanzo storico, ben documentato, narra la storia di Caterina da Broni: figlia di un maestro, sapeva leggere e scrivere; era stata iniziata a tredici anni, in seguito a una violenza subita, a piccoli sortilegi per tenere lontani gli uomini; e presto, costretta dal marito a prostituirsi, aveva imparato ogni trucco per dar piacere.
La sua vita è un susseguirsi di fughe e tentativi di trovare un posto per vivere in pace, ma a ogni tappa, tra locande equivoche, botteghe di tipografi, corti di capitani di ventura e conventi, si trova in balia del desiderio di uomini più potenti di lei, da cui ogni volta è costretta a scappare.
Ma non c’è solo questo. Quelle due o tre marce in più, dalla capacità di leggere alla consapevolezza del proprio corpo, in qualche modo, almeno in vita, la salvano: le permettono infatti di essere non solo vittima della propria condizione, ma almeno in parte artefice e protagonista. Ed è questo forse ciò che caratterizza le “streghe”. Caterina impara a usare il desiderio degli uomini a suo favore e soprattutto a godere lei stessa di quel desiderio, a fare l’amore, come Bocca di rosa, non solo per professione.
Certo, questo non basta a salvarla dal rogo. Se Lilith aveva lasciato per sua volontà il Paradiso, le “streghe” che l’hanno succeduta sono state più spesso cacciate o bruciate.
Il viaggio di Caterina da Broni termina quando diventa fantesca del senatore Luigi Melzi nella Milano spagnola. È qui, dove le maglie del potere si fanno più fitte, che il vento smette di soffiare in suo favore.
Venne accusata di stregoneria e, rea confessa, fu bruciata in pompa magna il 4 marzo del 1617, proprio dove ora ci sono i giardini di Piazza Vetra e dove circa tre secoli dopo, il 27 agosto del 1913, venne uccisa dagli “agenti di questura” la Rosetta, prostituta amata da tutta la Ligera, figlia anche lei della stirpe di Lilith.
Devi fare login per commentare
Accedi