Letteratura
L’intersezionalità? È qui, a Short Theatre. Intervista a Piersandra Di Matteo
Come riassumere Short Theatre, cos’è e cosa è diventato nel tempo? Si può iniziare col dire che è un festival multidisciplinare, innovativo e intersezionale, con una programmazione composta di spettacoli, performance, installazioni, incontri, laboratori, concerti e dj set, che si dà e centra l’obiettivo di “elaborare forme inedite di trasmissione di saperi teorici e pratici”, sconvolgendo Roma ormai da diciotto edizioni e coltivando “un’idea di festival come concertazione larga, panoramica, stratificata, nella temporalità asimmetrica delle giornate di settembre, dove convergere nel tocco di un’euforia svagata”. Si nutre e offre “poetiche dell’opacità che lavorano per decostruire i paradigmi imposti (dalla bianchezza), per salvaguardare l’irriducibilità del senso. Perché non tutto sia trasparente, immediatamente comprensibile, conquistabile, equivalente. Oltre a presentarsi molto bene, sceglie inoltre di ridurre il proprio impatto ambientale e di promuovere inclusività, formazione, crescita e innovatività. Ne abbiamo parlato con la direttrice artistica Piersandra Di Matteo.
– Piersandra Di Matteo, Ligia Lewis, Johanne Affricot a Short Theatre 2023. Foto di Claudia Pajewski
INTERVISTA A PIERSANDRA DI MATTEO
di Chiara Zanini
Teatro India, Pelanda ma anche altri spazi, come la libreria femminista Tuba o Civico Zero, che è un centro diurno per ragazzi con background migratorio, e poi un centro commerciale. Hai deciso di ampliare il numero di sedi del festival – oltre cinquanta eventi – con luoghi solitamente non attraversati dal teatro.
Usare spazi non deputati alla scena ha una lunga e gloriosa storia, che ci precede. Non si tratta solo di questo, come giustamente rilevi dai casi che richiami, ma di promuovere convergenze e alleanze con realtà radicate nei territori, modi di connettere le pratiche artistiche alla vita urbana. Concertare con altri luoghi, significa con-fabulare con diverse comunità che si possono mescolare nei giorni del festival. Collocare performance nella collina artificiale fatta di cocci di anfore dell’antico porto fluviale di Roma, Monte Testaccio, o in un parcheggio sotterraneo nel quartiere Ardeatino di Roma 70, o nell’ex Acquario Romano con la sua monumentalità neoclassica e la sua struttura ellittica, sono tattiche per sperimentare altre funzioni d’usi dello spazio, interferendo e scompaginando gli assetti collaudati, modi per disarticolare i giochi formali della città, per attivare sintonizzazioni ambientali, suggerire altre retoriche pedestri rispetto a quelle previste dai circuiti dell’arte. Mi sembra significativo in questo senso il lavoro La linea Immaginaria che Massimo Carozzi e Agnese Cornelio hanno realizzato nel territorio di Ostia Nuova, come esito di processo di co-creazione con un gruppo di artiste, attiviste e residenti, frutto della collaborazione con il Teatro del Lido di Ostia, dell’associazione Alter Eco e del collettivo di Sonodramma. L’esito è una esplorazione urbana fra soundwalk e documentario sonoro che chiede ai/alle partecipanti, in cuffia, di percorrere le vie di Ostia guidati da una traccia acustica fatta di field recording, suoni rubati e interviste che interrogano un quartiere isolato dal resto di Roma che ha sopperito all’abbandono con pratiche collettive di gestione del comune. Rivendicare l’incursione temporanea in altri spazi – oltre a quelli che fanno da perno per il palinsesto più canonico come la Pelanda del Mattatoio e il Teatro India – è come innescare un glitch nel sistema delle consuetudini. Un modo forse per cogliere l’esperienza performativa nella sua forma più scoperta e folgorante: la relazione tra i corpi in una durata dove non c’è più nulla da rappresentare. Penso a DREAM di Alessandro Sciarroni all’Acquario Romano e Body Farm di Silvia Rampelli a Monte dei Cocci.
Il nome dato a questa edizione è Radical Sympathy. Una radicalità espressa sotto forma di libertà: in molti spettacoli e incontri è stata centrale la libertà dei corpi, anche non conformi, che danzano e riaffermano la volontà di esprimersi, ad esempio la libertà di essere una soggettività queer o con disabilità e rivendicarlo, la libertà sessuale agita con spontaneità, la libertà di hackerare delle prassi consolidate nel tempo.
Abbiamo convocato una Radical Sympathy per porre l’accento sulla porosità e interdipendenza tra i corpi, per riconoscere agentività alla materia che prolifera nelle reti di relazioni. La simpatia non riguarda solo la capacità individuale di “simpatizzare” con le altre, ma può essere intesa come una corrente impersonale, una forza capace di rivelare l’interconnessione delle cose, dal molto grande all’atmosferico, riconoscendo valore a un sentire per temperamenti e temperature. Le correnti di simpatia si riferiscono alle tonalità affettive che attraversano e circondano corpi e ambienti, soggetti e oggetti, umani e più-che-umano. Una simpatia così declinata, accoglie il consonante e il dissonante, il conflitto e il disaccordo, suggerendo un “fare-con”. La scena che si rivela è quella di una ospitalità radicale che si dispone a ricevere ciò che non è stato previsto, l’escluso e il rimosso, lo sghembo e il grottesco, diverse forme di vita e soggettivazione. In questa edizione, hanno avuto un ruolo cruciale pensieri e posture “fuggitive”, che rivendicano il diritto di essere- con-la rabbia, tattiche di rifiuto dei paradigmi imposti dalla bianchezza, come testimoniano le pratiche politico-poetiche di artiste e pensatori black come Fred Moten, Ligia Lewis, Nadia Beugré.
Allo stesso tempo Short Theatre prevede anche spazi di decompressione, per rilassarsi, in cui l’esperienza artistica può essere fruita da ognuno con i tempi che decide di darsi, accomodandosi come preferisce, come ad esempio in Radio That Matters, una stanza acustica in cui entrare a piedi scalzi.
La stanza acustica che abbiamo creato negli Atelier della Pelanda è la prima emersione di un lavoro che Short Theatre sta conducendo da due anni focalizzata sulla performantività dell’ascolto. In questo orizzonte che ha visto la nascita di pratiche partecipative, lecture teoriche, momenti di formazione condivisi per operatori/trici dello spettacolo, il suono è interrogato come dispositivo di relazione, innesco di pratiche collettive, possibilità di narrazioni, e al contempo il campo per una riflessione sulla creazione artistica con e per persone cieche e ipovedenti. Stiamo indagando le intersezioni tra radiofonia e performatività, anche grazie al un progetto europeo Radio That Matters, di cui siamo capofila, che ci permette, in alleanza con organizzazioni e festival internazionali, di sperimentare ecologie dell’ascolto e nuovi formati performativi accessibili. In questa cornice ho invitato Giulia Crisci, curatrice e ricercatrice, a pensare la stanza acustica come spazio in cui sperimentare posture diverse d’ascolto, meno costrette di quelle a cui ci abitua la fruizione teatrale. Al centro del nostro dialogo, il concetto di Giustizia Acustica del teorico e artista Brandon Labelle, che pone con urgenza il tema del diritto all’ascolto, rivelando le implicazioni politiche del suono, interrogando chi e cosa può essere ascoltato oltre la panphonia quotidiana. In questa direzione Giulia ha lavorato costruendo un palinsesto, ricercando sonorità, lavori radiofonici, sperimentazioni vocali che restituissero uno spettro polifonico, soprattutto a partire da Sud, come spazio geografico e culturale in cui riverbera la rivendicazione di una presa di parola o di un atto di presenza vocale. Tra le presenze: Sofia Jernberg, Jasmina Metwaly, Dina Mohammed, Anna Raimondo, Maya Ouabadi, Gaia Ginevra Giorgi, Chiara Cecconello, Diana Lola Posani, Alessandro Bosetti. I materiali sono frutto di un ecosistema di collaborazioni con progetti radiofonici e collettivi artistici o militanti, ad esempio Radio Commons, Radio Papesse, Radio Fango, Radio La Colifata, Fango Radio, Watch the Med Alarm Phone, i cui archivi hanno preso corpo in questa stanza, dove innanzitutto abbiamo voluto la materialità dell’incontro in un esercizio di sintonizzazione, di risonanza con altri e altre. Togliersi le scarpe, potersi sdraiare e disporsi all’ascolto nel ritmo concitato del festival è stato anche il primo tentativo di creare uno spazio di decompressione rispetto ai ritmi concitati del festival che non sempre congeniali e accoglienti per le persone neurodivergenti.
– Fred Moten in dialogo con Mackda Ghebremariam Tesfaù e Justin Randolph Thompson. Foto di Claudia Pajewski
Ci parli un po’ di più del lavoro che fate in termini di ricerca da un lato, e di realizzazione dell’accessibilità e attenzione nei confronti delle disabilità dall’altro, nei mesi precedenti una nuova edizione?
Dallo scorso anno abbiamo messo in campo una riflessione che sentivamo urgente e che abbiamo condiviso con operatorə culturali e curatorɜ, attivistɜ e artistɜ, sull’accessibilità delle arti contemporanee per fare luce su tematiche legate a disabilità e neurodivergenze con l’intento di disattivare comportamenti, credenze e pregiudizi dell’agenda abilista. Grazie alla collaborazione con Al.Di.Qua. Artists – prima associazione italiana di categoria di lavoratrici e lavoratori del mondo dello spettacolo portatrici di “corpi disabilitati” – abbiamo iniziato un percorso di formazione del team e grazie alla collaborazione con associazioni e enti abbiamo sperimentato azioni capaci di rendere più accessibile gli eventi del festival per artistǝ e pubblico con disabilità. Abbiamo attivato laboratori dedicati, ci siamo avvalsi della traduzione in Lis, e consigliato spettacoli a persone sorde e cieche, predisposto l’audio-descrizione poetica per spettacoli di danza. Fondamentale è il contributo della Fondazione Alta Mane Italia che ci sostiene da due anni in questo percorso per noi centrale.
– The Present Is Not Enough, di Silvia Calderoni / Ilenia Caleo con Giacomo AG, Tony Allotta, Silvia Calderoni, Ilenia Caleo, Gabriele Lepera, Fede Morini, Ondina Quadri
Le riflessioni condivise al festival con gli/le ospiti diventano inoltre dei saggi che possiamo definire militanti sull’intreccio tra estetica, pensiero critico e pratiche performative, da leggere nei mesi che ci separano dalla prossima edizione.
L’intreccio tra curatela e produzione editoriale ci sembra un campo da coltivare. Per provare a creare dei depositi di condivisione con la comunità che si raduna intorno al festival, è nata Short Books, una collana editoriale di libri di piccolo formato, co-immaginata con NERO Editions. L’idea è quella di provare ad addensare delle riflessioni muovendoci suoi margini tra campo artistico e teorico/politico, individuando la zona in cui si fanno liminali, nutrendosi a vicenda. Le pubblicazioni di Short Books sono modi per riverberare le traiettorie teoriche, estetiche e critiche che a vario titolo si connettono al festival. Il primo numero è Palcoscenici Fantasma: Gisèle Vienne di Bernard Vouilloux, sul lavoro dell’artista francese a cui abbiamo dedicato un focus nell’edizione 2022, il secondo Giustizia Acustica. Ascoltare ed essere ascoltati, un compendio della ricerca del teorico Brandon LaBelle sull’acustica e sulle sue ripercussioni politiche e sociali. È imminente anche l’uscita del terzo volume: la raccolta delle poesie che Fred Moten – con l’accuratissima traduzione del poeta Lorenzo Mari ha performato nel poetry reading che ha aperto il festival al Teatro Argentina. Il volume, dal titolo La sonora reticenza, conterrà anche un saggio dello studioso statunitense Brent Hayes Edwards, e una appendice in forma di dialogo tra Mackda Ghebremariam Tesfaù e Randolph Thompson. In merito alla produzione di saperi, mi piace ricordare anche la piattaforma online, CUT/ANALOGUE: non un catalogo, né una rivista, ma una specie di un ibrido scomposto tra le due. Come rivela, giocosamente, il titolo, c’è l’idea di farla finita con il catalogo, nel suo consumo temporaneo, ma c’è anche il desiderio di rilanciare l’analogia con il periodico, da qui l’idea di accogliere e promuovere scritture critiche, assemblaggi di immagini, estratti teorici, più a meno a ridosso delle pratiche artistiche.
info: www.shorttheatre.org
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