Letteratura
Intellettuali, razionalizzazione, intellettualismi, ovvero la vita che sfugge
Che la razionalizzazione sia il meccanismo di difesa dell’io migliore di tutti lo dicono e lo scrivono in molti da Kernberg in poi. Per farla breve potremmo dire che la razionalizzazione è necessaria, ma mai spingersi troppo oltre. Non solo ma la psicanalisi ci dice che quando cerchiamo di razionalizzare una nostra azione cerchiamo solo una spiegazione logica accettabile a noi stessi, mentre la vera causa è spesso inconscia e ci sfugge. Comunque un minimo sindacale di razionalità ci vuole, anche se talvolta la utilizziamo in modo inappropriato, addirittura totalmente sbagliato. Alcune persone inoltre eccedono e la razionalizzazione diventa intellettualismo astruso, fuorviante, deleterio. A volte è dannoso avere troppe sovrastrutture intellettuali perché, se va bene affrontare la complessità della realtà, mai appesantirsi troppo e crearsi ulteriori problemi, complicandosi troppo la vita. Le sovrastrutture ce le abbiamo tutti, per inciso, perché l’uomo è un animale simbolico e metafisico: questo lo hanno già detto persone molto più importanti di me. Però in alcune menti domina su tutto la masturbazione mentale, che causa un kamasutra logico ed esistenziale senza orgasmi: proprio come nei film di Woody Allen, alcuni sono troppo cerebrali. Che la vita sia difficile questo lo sappiamo, ma alcuni, usando una razionalità eccessiva, se la rendono impossibile. Anzi oserei dire che tra gli intellettuali va di moda complicarsi la vita: il loro motto è mai essere lineari per non apparire banali, scontati. Molti intellettuali “adorano le complicazioni”, come cantava Gianni Togni in “Luna”; anzi le complicazioni diventano il loro pane quotidiano, la stessa essenza della loro vita. Solo che la sola ragione talvolta non aderisce alla vita, non combacia con essa. La vera vita finisce per allontanarsi sempre di più e sfuggire irreprensibile, involandosi chissà dove. E se la vita non avesse una logica o se la sua logica ci trascendesse? E se la vita invece fosse semplice e per i semplici? Cesare Pavese scriveva che tutto quel che conta è avere una donna in letto e in casa e tutto il resto sono luride balle. È bene essere razionali e prendere coscienza dei propri problemi, ma bisogna anche capire che la nostra razionalità è limitata, come si sa da Herbert e Simon in poi: non si può dare un senso a tutto. In alcuni, che intellettualizzano troppo, la logica diventa il fine ultimo e non il mezzo più appropriato per comprendersi e comprendere. La fredda razionalità non è sufficiente e talvolta troppi schemi d’intellezione portano fuori tema e fuori strada. L’analisi con un/a terapeuta deve servire non ad approfondire intellettualmente Freud, Lacan, Jung (facendo una gara/duello con il/la terapeuta a chi ne sa di più), ma a cercare risposte dentro di noi. In alcuni rapporti terapeuta-paziente spesso domina l’intellettualità, che fa da schermo, che diventa un meccanismo di difesa subdolo, che è un escamotage per resistere al cambiamento, quello vero, quello interiore. Inoltre per essere buoni/e terapeuti/e non è richiesta una raffinata intellettualità, ma una grande capacità di ascolto e una grande empatia. Gli intellettualismi divengono spesso delle barriere che frapponiamo tra noi e gli altri. A volte gli intellettualismi sono schemi logici errati, un nostro modo per arrampicarsi sugli specchi per non riconoscere che siamo nel torto. E alcuni si attaccano agli intellettualismi con tutta la loro forza psichica e intellettiva per avere la meglio nella discussione e nell’incontro con gli altri. Gli uomini di Chiesa, quando un fedele non riesce a farsi una ragione di fronte a un grande dolore, dicono di pregare e abbandonarsi di nuovo alla fede. Il cristianesimo si è comunque sempre trovato in mezzo a “capisco per credere” di Sant’Agostino e “credo per capire” di Sant’Anselmo. E se è vero che alcuni bigotti credono senza capire, il problema maggiore è quello dell’uomo contemporaneo che capisce senza credere. Alcuni poeti, scrittori, saggisti si aggrappano e si sorreggono troppo agli intellettualismi, come se la ragione fosse la loro unica ragione di vita, mentre il solo uso dell’intelligenza non ha alcuna via d’uscita, non basta. E allora cosa ci vuole in più? Cosa è necessario oltre alla razionalizzazione? È difficile vivere e capire la propria vita e spesso alcuni si limitano a capirla senza viverla. Quanti intellettuali si limitano a vivere il minimo necessario, a vivere appena, senza rischi, senza pericoli per non farsi offendere e non farsi ferire dalla vita. Si chiedono: “perché devo rischiare per ritrovarmi con le ossa rotte? Perché devo mettere a repentaglio l’immagine di me e la mia reputazione?”
Così alcuni sono esclusivi, selettivi, non si avventurano mai oltre il cerchio delle proprie frequentazioni; non rompono le catene dell’abitudine, della consuetudine, anche se, a conti fatti, nel loro profondo riconoscono l’inautenticità delle loro esistenze, delle loro non vite. È quello che Vittorino Andreoli chiama il minimalismo esistenziale. Alcuni intellettuali per paura di farsi troppo male sono come dei lupi della steppa che non cercano nemmeno la loro Erminia. Sono come dei Dino ne “La noia” di Moravia, con la stessa identica condizione esistenziale, solo che non cercano nemmeno la loro Cecilia. Al diavolo Cartesio! Visto che capire e vivere sono due cose quasi inconciliabili, è meglio vivere senza capire che capire senza vivere! Perché poi bisogna per forza capire? Al diavolo anche Kernberg! Anteporre la ragione al sentimento, alla carne, all’istinto, all’intuizione significa chiedere troppo a sé stessi. Si finisce per essere come “il cavaliere inesistente” di Calvino, come degli Agilulfo efficienti e valorosi con un’armatura impenetrabile ma con niente dentro di essa, mentre gli altri vivono e si godono la vita. Solo che il cavaliere inesistente di Calvino riesce ad esistere grazie alla sua volontà e alla fede nella sua causa, mentre in alcuni intellettuali non c’è niente di tutto questo, avendo troppa testa, troppa ragione e nessuna ragione di vita e una vita talmente posticcia da non essere neanche immaginata.
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