Letteratura
Instabili, tra la vita e la morte, per il Führer
Non è soltanto un bel libro, una lettura che finalmente ci ripaga da quelle che neanche siamo riusciti a portare a termine, o il racconto degno di un premio importante come il “Campiello”. “Le assaggiatrici”, di Rosella Postorino, è un’opera che riconcilia il lettore esigente con la percezione estetica di uno stile narrativo edificante, descrivendo magistralmente la complessità dell’animo umano senza cedere alla tentazione di indagarlo a tutti i costi ed esporlo a giudizi di sorta. Il linguaggio dell’autrice è tale che aggiunge al testo un “non scritto” rintracciabile, utile a decifrare i personaggi e tentare delle congetture nei loro confronti. La narrazione ha una valenza intimistica stupefacente, e nel suo incedere porta il lettore a seguire da vicino i passi della protagonista, Rosa Sauer, fino a sentirne il respiro, a percepirne l’ansia, a scorgerne l’impressionabilità, lungo il corso di un’esistenza che appare fugace, mai compiuta, sempre frammentaria.
Le storie legate al nazismo risentono, per forza maggiore, del senso tragico dovuto alla verità storica che ne ha delineato la forma e l’essenza, ma in quella raccontata dalla Postorino si aggiunge un motivo malinconico penetrante, per certi versi anche ermetico, che si muove nella tragedia come un radar di salvezza, in vista di una conservazione che passa attraverso la sopportazione del dolore. Una sorta di pulsione misteriosa e sfuggente, finanche equivoca, consente a Rosa, infatti, di essere presente a sé stessa, sia pure nelle vesti di assaggiatrice del führer. Ispirato alla storia vera di Margot Wölk, assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf, il racconto è costruito sulle vicissitudini straordinarie di una donna, sì, indifesa ed esposta, ma non irreparabilmente vulnerabile di fronte alle brutture della storia, alle sue angherie e al cinismo insormontabile che ne costituiva l’emblema. Rosa, come si è accennato, assurge a una mansione che mette quotidianamente a repentaglio la propria vita: mangia, insieme ad altre nove donne, le pietanze che, in seguito, devono essere servite a Hitler, per verificare che non siano state avvelenate. Deve solo mangiare, Rosa, sperando ad ogni pasto di non ingoiare l’ultimo boccone che le risulterebbe fatidico, più che amaro. Questo è il suo compito, che un giorno le SS le affidarono.
E, come in una roulette russa, la sua vita dipende da un bizzarro gioco dove non è dato sapere se la probabilità di morire sia remota, o prossima a verificarsi. In bilico, tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra il senso di colpa e uno di vergogna, Rosa sembra essersi educata alla sopravvivenza, senza più sperare nell’esistenza, sapendo benissimo che niente può essere come prima, men che meno il suo matrimonio con Gregor, reduce dal fronte russo. In uno straordinario passaggio, che rende conto del tentativo di recuperarsi alla vita che aveva sperimentato insieme al marito, emerge tutta l’amorevolezza mortificata di questa donna, dove un addolorato senso della “pietas” prende il posto, senza sopperire, della passione: “Dovevamo reimparare, piano piano, con un esercizio progressivo, questo credeva Gregor. Io pensavo che era il desiderio a generare intimità, in modo immediato, simile a uno strappo; però forse era possibile anche il contrario, partire dall’intimità, riappropriarsene, sino ad afferrare il desiderio come al risveglio si cerca di afferrare il sogno appena fatto e già svanito: nei ricordi l’atmosfera, ma nemmeno un’immagine.”
A dire il vero, tutta l’attività cerebrale di Rosa, oltre a costituire una forma stilistica inerente allo sviluppo della trama, sollecita a concentrarsi su di lei, sul suo personaggio ben congegnato, che, nonostante risulti umanamente fragile e consapevolmente manchevole, emerge, pagina dopo pagina, con la dignità di una sopravvissuta, dopo aver esplorato la parte oscura del male, da cui, tuttavia, esce provata, giammai in uno stato di tracollo. Rosa, nella sua esemplare imperfezione, resta una donna di grandissimo rilievo letterario. E, come poche altre figure della recente letteratura contemporanea, dà una testimonianza piena e significativa della transitorietà delle vicende umane e della storia stessa.
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