Letteratura

In quella firma contro Erdogan c’è tutta la volgarità di Elena Ferrante

12 Settembre 2016

Credevo d’essere strambo, questa mattina, nel sorprendermi, e anche un po’ indignarmi, per una cosa buona e giusta come un appello sui diritti civili. Ma certo la situazione aveva una consistente dose di surrealtà, trattandosi di un nom de plume celebre come quello di Elena Ferrante che scendeva in campo con tanti altri intellettuali del mondo – tutti però riconducibili a un volto, una storia, a carne e sangue del loro tempo – contro la repressione di Erdogan che aveva privato della libertà – ultimi in ordine di tempo – i due fratelli Altan, scrittore ed economista. Naturalmente la Repubblica aveva titolato proprio su di lei, fresca di investitura presidenziale da parte di Hillary, la quale Hillary aveva appena fatto in tempo a dichiararsi rapita dall’Amica Geniale e successivi, prima di cadere sotto i colpi della polmonite. Pensavo d’essere strambo, dicevo, quando poi però un tweet di Massimiliano Gallo, giornalista molto sensibile, mi ha riportato nella condizione di inquietudine originaria: «Lo dico, secondo me Elena Ferrante non potrebbe firmare appelli. Pro o contro chicchessia». È grazie a lui, dunque, se mi sono convinto definitivamente che la questione non è poi così banale.

Il giochino d’essere una persona che nella realtà non esiste con quel nome è naturalmente vecchio quanto il mondo ed è molto divertente, magari anche in tarda età, scoprire che personaggi che abbiamo sempre chiamato in una certa maniera, poi all’anagrafe risultavano essere dei perfetti Mario Rossi. Così è anche per Elena Ferrante, la cui fama di scrittrice ormai planetaria è perfettamente sovrapposta al mistero che ne accompagna la vera identità (ormai nel mondo dell’editoria sono in molti ad avere certezze su chi si celi davvero dietro quel nome, ma la cosa personalmente ci interessa zero). Con l’accrescere della notorietà, è evidente che ogni parola, gesto, azione, riconducibile alla scrittrice Ferrante assume una portata di un certo rilievo e dev’esserne pienamente consapevole lei medesima, o anche la sua casa editrice, se si è arrivati al punto (di non ritorno) di decidere che una persona anonima, non riconducibile intellettualmente, culturalmente, fisicamente, ad alcuna storia reale,  pone la sua firma sotto un appello per i diritti civili. E naturalmente il gioco è arrivato a un tale livello di perversione che il giornalone di turno, in questo caso la Repubblica, ne costruisce addirittura il titolo.

La decisione della non-signora Ferrante e conseguentemente della “E/O”, la sua casa editrice, ha i tratti della volgarità. Appare come una sopraffazione estetica del dolore che quell’appello rappresenta, una misera forma snobistica di autocelebrazione in presenza di una sofferenza realmente esistente, che non può nascondersi dietro una finta identità come probabilmente piacerebbe a Erdogan, che a trasformare quel colpo di stato in Elena Ferrante ci ha provato davvero. Non siamo qui a uno Strega qualsiasi, a casa di Maria Bellonci a raccontarci le nostre cazzate in attesa del primo premio, siamo proprio da un’altra parte (Si può anche discutere sull’opportunità degli appelli, ma questa è un’altra questione). Massimiliano Gallo nel suo tweet aggiunge un elemento: “Pro o contro chicchessia”, scrive. Nel senso che certo, fa molta impressione che un falso d’autore vada a corredare una questione piuttosto seria come la repressione turca, ma probabilmente non è nemmeno questo il punto. Sarebbe magari più rivoluzionario, come pensiero autonomo, se Elena Ferrante, tornata per un attimo signora, si battesse per salvare l’ultimo formaggio dop della Valtellina, o la libera circolazione dei tonni, riprendendosi l’ironia perduta malamente a inseguire appelli nei quali vuole imporre più se stessa della nobile causa per cui si batte.

 

(In foto di copertina Ahmet Altan)

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