Ciclismo

Il ventaglio della Regina e la zuppa di Carapaz

25 Maggio 2019

Pensavate di esservi liberati del Bardo maremmano con l’arrivo di tappa da Ceresole Reale, il Grand Hotel, gli stambecchi e le valanghe? Invece no.

La tappa di oggi arriva a Courmayeur, sotto il Monte Bianco. E qui, sotto qualche altra cosa che scoprirete ritroviamo Carducci Giosuè che come il De Rossi Giosuè, la guardia forestale che una sera ebbe in sorte di baciare Eulalia Torricelli da Forlì, che aveva tre castelli, uno per mangiare, uno per dormire e il terzo per amare proprio lui, il De Rossi Giosuè, è il motivo per cui questa storia, e questa tappa, s’ingarbuglia di nonsense, come un limerick di Edward Lear o una canzone di Freak Antoni.

Dal momento che al De Rossi Giosuè tutta questa castellanza non andava a genio, e forse non andava a genio neppure l’Eulalia, che un bacio va bene, magari anche due, ma passarci il resto della vita… E allora cosa fa il De Rossi – Giosuè non Daniele – prende un treno per la Puglia e sparisce. La povera Eulalia Torricelli per la disperazione si mette a mangiare zolfanelli e muore.

Il professor Carducci invece non prende il treno. E resta ingarbugliato, come avevo solo accennato nella puntata-tappa precedente, tra le volute delle sottovesti della regina Margherita che, ormai stanca di quel palco di corna che gli aveva messo in capo il “Re (per-così-dire) Buono”, decide di passare dalla teoria alla pratica nella liaison mondan-letteraria che l’aveva legata al professor Carducci. Il racconto è di quella linguaccia del Gian Carlo Fusco che rinviene in un “ingiallito libello, pubblicato, nel 1899, dal libertario Arnaldo Corelli” il racconto di tale Giovanni Boser. Insomma, si tratta di una storia di terza mano. Ma il suddetto Boser, soprannominato dalle parte della Val d’Aosta, bobardié, vale a dire “contaballe”, doveva stare proprio per questo assai simpatico al Fusco.

La storia è questa. Il Boser era un vagabondo che batteva la valle da Courmayeur a Bard e aveva fama di chiromante. Già frate francescano, poi convertito alla fede valdese, un po’ erborista, un po’ medicone, era riuscito in qualche modo, e non senza un certo malcelato scalpore a corte, a entrare nelle grazie di Madama Margherita. Quella sorta di rustico e montanaro Rasputin, pare che potesse andare e venire a piacimento quando la regina soggiornava nella sua regale dimora di Courmayeur.

Era la fine del luglio del 1885, e il vagabondo, di passaggio da quelle parti, decise  di fare una sorpresa alla regale persona sorprendendola nel giardino senza farsi annunciare, dal momento che, tanta era la confidenza solitamente concessagli dalla regina, che conosceva gli ingressi secondari alla villa. Approssimandosi al padiglione dove era solita passare le sue ore all’aria aperta l’allora quarantaquattrenne e ancora piacente, benché trascurata sovrana, il Boser sentiva un confuso rumore, come di rosario di soffocate litanie, interrotto di tanto in tanto, da qualcosa simile a uno scatarramento. Incuriosito, arrampicatosi dall’alto del muretto, si affacciò al giardino e vide una scena tanto incredibile quanto indimenticabile. Lasciamo la parola al Fusco-Corelli-Bobardié:

«Nell’angolo opposto al padiglione, tutta abbandonata in una grande poltrona di vimini, alla viennese, vi era madama Margherita. Che era vestita di un grigio chiaro e la faccia non le si vedeva perché era nascosta da un ventaglio aperto. In terra, accanto alla poltrona, vi era un libro scompaginato. Situato in ginocchio, ai piedi di madama Margherita, vi era un uomo corpulento, vestito di scuro, la cui testa non si vedeva giacché completamente ficcata sotto la gonna, tanto che n’erano ricoperte quasi del tutto anche le spalle. Per averne un’idea, immaginate un fotografo intento all’opera sotto il panno della sua macchina. Ed era proprio quell’uomo in ginocchio, mentre madama, ogni tanto, sospirava profondamente, a provocare quello strano rumore che avevo inteso avvicinandomi. Giacché balbettava parole di cui non riuscivo a cogliere il senso ma, al tempo stesso, dava furiosamente di lingua (su che prelibata pietanza è inutile dire) allappando sonoramente, come un grosso cane col muso nella zuppa. Restai lì ad osservare, trattenendo il fiato, finché l’uomo, di scatto, tirò fuori la testa dalla gonna. E allora, con mia somma sorpresa, in quel viso barbuto, sudato e congestionato, riconobbi il professor Carducci, che altre volte mi era capitato di incontrare, nella stagione estiva, a Courmayeur e in altre località del circondario. Mentre madama si teneva ancora il ventaglio aperto sul volto, intesi, distintamente, il professore dire: “Ah! Qua fuori è buio! Qua fuori è buio! Nella tua intimità, vi è luce che abbaglia!”. Allora, sempre celandosi dietro al ventaglio, madama Margherita allungò una mano e passò le dita, carezzevoli, nella chioma arruffata del professore».

Non più di una decina di giorni fa ho scoperto dal signor Palmiro, da una vita proprietario del ristorante Alla Torre di Carla di Capalbio, che fino a mezzo secolo fa, uno storico piatto della tradizione maremmana  dell’Argentario era la zuppa di tartaruga, quando un tempo le tartarughe non erano specie protetta e, nella cucina povera di tutti i giorni, ci si arrangiava come poteva. Il signor Palmiro, che, ne sono sicuro, avrebbe storie da riempire un libro, dice che la carne della tartaruga, tirata in brodo con cipolla, aglio, peperoncino, prezzemolo e olio, con un aggiunta di vino rosso per dare tono al sugo, è tenerissima e saporita.

https://www.facebook.com/giroditalia/videos/432697353961657/

Tutta colpa di uno che si chiama Carapaz, l’ecuadoregno già vittorioso tra Orbetello e Frascati, se oggi mi è tornata in mente la tartaruga, e il signor Palmiro, e l’Argentario e la Maremma, e da qui il professor Carducci che sotto il monte di Venere assaggiava un’altra zuppa, regale, a Courmayeur.

Quel brunito ecuadoregno
disse un dì a Cortemaggiore:
“Un caval per il mio regno!”
“Ma non dirlo al Professore,
che ti mette nella zuppa,
o carapace del mio cuore!
se di qui sotto si sviluppa,”
gli sussurra col ventaglio
Margherita sulla bocca
per bavaglio.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.