Letteratura
“Il veleno nella coda”, un romanzo senza vergogna
Chiedimi chi era mio padre, ma sappi che non mi vergonerò di dirti che era uno stronzo. E chiedimi anche, prima, chi sono io, ma sappi che non avrò paura di passare per pazzo, depresso, mitomane, erotomane, o per consentire a te di pensare che sono tutto questo, e anche peggio. Se non capirai che lo sforzo di “nudità” è per il bene di tutti, a cominciare dal mio, tanto peggio per te.
È questo quel che ti resta in testa, come paradosso conclusivo, dopo aver finito di leggere le seicento pagine abbondanti che compongono “il veleno nella coda”, opera narrativa prima ambiziosa fino alla sfacciataggine e anche per questo magicamente riuscita. A firmarlo è Francesco Mazza, amico e collaboratore de Gli Stati Generali, e a pubblicarlo è Laurana, che è anche il mio editore. Si potrebbe pensare che non è facile essere oggettivi, ma in fondo questo è un libro sull’impossibilità della verità per chi scrive di sè: e quindi ogni peccato di assenza di distanza non può che essere perdonato al recensore, se è già stato perdonato allo scrittore.
Gli scrittori, in realtà sono due. Uno è Francesco, l’altro è il padre. Entrambi, quando iniziano a scrivere il bilancio di quanto vissuto fin lì, si sentono “postumi”: il padre perchè corre verso il suicidio, il figlio perchè sente che un tempo della vita è finito. Forse inizia il secondo, magari sarà tutto diverso, ma i quaranta sono dietro un angolo svoltato il quale non ci si volterà più indietro. Nessuno dei due sa, quando inizia a scrivere, che il suo libro non sarebbe abbastanza finito se non fosse fatto per incontrare quello dell’altro, del consanguineo più stretto e – in questo caso – più distante che ci sia. Un padre che non parla mai di quel figlio, un figlio che con quel padre deve fare i conti tutta la vita, e anche dopo che quella del padre stesso è finita. Conti che sono aspri, come sempre quando il perdono e la condiscendenza non possono essere maturi, se mai lo saranno: chi firma il romanzo riconosce la potenza del manoscritto paterno, sa che quest’uomo che si è fatto e si è distrutto da solo aveva anche – e tanto – talento. E però – o per questo? – non rinuncia a decostruirne la narrazione. Implicitamente, così, decostruisce anche la propria, la storia di formazione di un uomo arrivato sulla soglia dei 40, cresciuto nella periferia milanese, arrivato in fretta al successo eppure sospeso sul bilico dell’autodistruzione.
Siamo, in fondo, solo quello che “decidiamo” di ricordare. Vale per il padre dello scrittore, e vale per lo scrittore. Che per mano – a cuore aperto, almeno a larghi tratti – ci riporta in una gioventù gloriosa fatta di talento e ambizione, di autodistruzione e rinuncia, di Berlusconi e di Milan, di stanzini televisivi che rigurgitano belle donne e la tentazione di annoiarsi. Tutto vero, è la vita dell’autore ed è un pezzettino di quel che resta di un tempo che non tornerà, perchè sono cambiati, intanto, i paradigmi tecnologici e quelli mediatici, come è cambiato il mondo che ha consentito a un bravissimo dentista di diventare famiglio di Berlusconi ma senza impedire a se stesso di perdersi.
Non è un libro per dilettanti, nè un’opera di consolazione. Come tutti i primi romanzi ha freschezze imperdibili e imperfezioni godibili – il mio primo romanzo usciva appena un anno prima, so di cosa parlo. Inutile e anzi inesatto sarebbe sciorinare pezzi della traccia per perderli in aneddotica di genere. Le veline e il cavaliere, estrapolati, finiscono in burla e non sarebbe rispettoso. Rispettare questo libro significa tornare alle domande di partenza. Chiedimi chi era mio padre, chiedimi chi sono stato io, almeno finora. Un esercizio umano faticoso e necessario che Il Veleno nella Coda aiuta, in maniera potente, anche se – nemmeno per un istante – vi identificherete in quella storia, in quella periferia, in quell’abisso di disperazione che si libera in un sorriso nel giorno in cui arriva una notizia terribile.
P.s: Domani, domenica 17 ottobre alle 16.45 Francesco Mazza parla del suo Libro al salone del libro di Torino. È un ottimo performer: se siete in zona fateci un salto.
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