Letteratura
Il treno di Natale
Come al solito mi sono deciso all’ultimo minuto. Fortunatamente Mario mi ha aiutato andando a comprare per me il biglietto per il treno. L’ultima replica dello spettacolo è stata ieri sera ed io non avevo messo in conto di tornare subito a casa. Avevo addirittura pensato di passare il Natale a Napoli anche perché qui, il sole, si fa sentire tutti i giorni, mentre nella mia fredda pianura padana, sono oramai mesi che respiriamo nebbia. Ho sentito al telefono ieri mattina Martina e questo, forse, mi ha fatto venire la voglia di rientrare subito. In questo momento sto correndo lungo Corso Arnaldo Lucci in direzione di piazza Garibaldi. Il treno parte alle 12,55 e non voglio perderlo.
Arrivo senza fiato davanti alla stazione. Alzo gli occhi e guardo il grande orologio che segna le dodici e quarantanove. Gliel’ho fatta. Mi fermo. Respiro profondamente e mi avvio verso il binario 11. La gente sta ancora salendo. Cerco con lo sguardo le carrozze di seconda classe. Individuo la numero 9. Salgo e mi sistemo in uno scompartimento vuoto, uno dei primi verso il locomotore. Mi siedo di fianco al finestrino dopo aver sistemato il bagaglio. Dopo qualche minuto entrano due ragazze, avranno poco più di venticinque anni. Si siedono e cominciano a chiacchierare tra loro. Guardo fuori dal finestrino. Una donna grassa sta litigando con il bigliettaio a causa del suo bagaglio che, rispetto a lei, sembra un beauty case al confronto con una grossa valigia da viaggio. La donna esibisce il suo biglietto e reclama il posto per il suo bagaglio. Il bigliettaio si volta verso la testa del binario e fa un cenno. Dopo qualche secondo arriva un suo collega a cui il bigliettaio affida la donna. Un uomo con un grosso cappello si avvicina alla carrozza. Si siede sulla panchina di marmo. Prende una sigaretta ma, prima di accenderla, guarda l’orologio, tiene in mano la sigaretta non accesa, riprende la valigia e sale sulla carrozza. Dopo qualche secondo scende di nuovo e accende la sigaretta. Tira grosse boccate. Lo vedo fumare con soddisfazione. Una donna che spinge una carrozzina, sulla quale troneggia un bimbo grasso con le guance rosse dal freddo, si avvicina trascinando una grande valigia, seguita da un ragazzetto di circa otto anni. La donna inizia a salire sul treno. Lungo il corridoio passa prima il ragazzino, poi la donna con il bambino, poi la stessa donna ripassa con il bagaglio e infine con la carrozzina. La donna grassa probabilmente ha risolto i suoi problemi. La vedo avviarsi verso la carrozza 8 senza il bagaglio e il viso sorridente. Siamo già in ritardo di qualche minuto sulla partenza, ma è la normalità. Proprio mentre penso alle ore di attesa che ho trascorso nelle stazioni ferroviarie a causa dei ritardi dei treni, sento il fischio di partenza e, soprattutto, il treno comincia a muoversi. Entrano nello scompartimento un uomo, di circa cinquant’anni ed un ragazzo, di poco più di vent’anni. Sistemano il loro bagaglio e si siedono uno di fronte all’altro.
Il viaggio è finalmente iniziato. Socchiudo gli occhi. Ho alle spalle una settimana di repliche in teatro e la vita di una compagnia in trasferta non mi ha sicuramente aiutato. Vorrei dormire qualche ora. Arriveremo a Bologna verso le 8, più o meno, e voglio godermi la serata. Forse mi sono davvero addormentato. Siamo arrivati a Roma. Le forti luci della stazione entrano dai finestrini e la voce dell’annunciatrice risuona nell’aria. Si affaccia alla porta dello scompartimento una suora. Vede il posto e invita l’uomo a darle una mano per mettere a posto il bagaglio. L’uomo esita un attimo ma la suora, con un gesto, lo sprona. L’unico posto rimasto vuoto è quello al mio fianco. La suora mi guarda. Lo so che sta guardando i miei capelli e il mio orecchino, ma non ci può fare niente. Siede tra me e il giovane. Il treno riparte. La suora rompe il sacro silenzio che si era instaurato tra gli ospiti dello scompartimento. Racconta, senza che nessuno glielo avesse chiesto, del suo viaggio. Storia sicuramente interessante, quella della suora. Mi chiedo se fosse tutto vero o se alcuni passaggi li avesse romanzati. Ma aveva raggiunto il suo scopo, le due ragazze seguivano con attenzione il suo racconto di una missione in Congo nella quale era stata per un periodo. L’uomo, più di me, avrebbe forse preferito il silenzio e decise di rompere il suo con il tentativo di far terminare la conversazione. Iniziò pronunciando la parola proibita “inquisizione”. Poco dopo, come previsto dall’uomo, la conversazione s’interruppe. La stazione di Orvieto scivola lungo i finestrini. Lo scompartimento ritorna nel silenzio. Prendo dallo zaino un libro. Lo apro e inizio a leggere. Dopo pochi minuti, la voce della suora rompe l’aria “Stanislavskij, Il lavoro dell’attore su se stesso. Ma allora lei fa l’attore? Avrei dovuto immaginarlo subito”. L’uomo aveva dimostrato che la provocazione interrompeva le forzate conversazioni della suora quindi rispondo sarcastico. “E da cosa, di grazia? Forse dai lunghi capelli? O forse per l’orientale accessorio che adorna il mio orecchio sinistro?”. La suora mi guarda per un attimo. “Anche”. Dice e ripiomba nel silenzio. Una delle ragazze che mi sedevano di fronte, alzò lo sguardo e disse timidamente “Anche noi. Cioè stiamo frequentando un corso”. La cosa m’interessa. “Dove state studiando?” la ragazza che aveva taciuto sino ad ora, con orgoglio disse “Alla scuola di teatro di Alessandra Galante Garrone”. Sorrido. Conoscevo bene sia Alessandra sia la sua scuola. Fu un grande giorno di festa quando, nel 1976, nello storico palazzo del Teatro La Soffitta, s’inaugurò la sua scuola. Il DAMS e la scuola di Alessandra rappresentarono una possibilità unica per la città e per quelli che ci vivevano e ci studiavano, me compreso. Cominciamo a chiacchierare proprio del libro che avevo in mano.
Ci interrompiamo all’arrivo alla stazione di Firenze. L’uomo e il giovane salutano e scendono. Un uomo con una grossa valigia, apre la porta dello scompartimento e alza lo sguardo verso il posto bagagli. Vede che non c’è spazio, a causa del grosso bagaglio della suora, chiude la porta e continua a camminare nel corridoio. Un ragazzo arriva di corsa, vede i posti liberi, apre e si siede, mettendo una piccola borsa sul posto libero di fronte a lui. Il treno comincia a muoversi. Guardo fuori dal finestrino.
Strano, quello mi sembra l’uomo che cercava posto qualche minuto fa, ma non ha con sé la valigia, penso guardando dal finestrino. Una ragazza entra. Ha il fiato grosso. Mi dimentico dell’uomo. La ragazza si siede davanti al ragazzo entrato poco prima di lei. Sono stranieri, olandesi forse. Lei prende dallo zaino una carta geografica e la apre tra sè e il ragazzo.
Il treno procede spedito. Oramai è buio pesto. Barberino del Mugello, ci siamo quasi. Socchiudo gli occhi in attesa delle ultime gallerie che mi separano dalla città. A intermittenza, le fotoelettriche della galleria stampano dei flash sui volti dei passeggeri.
Mi rivolgo alla suora, che so avere l’orologio “Sorella, che ore sono?”. La suora scopre l’orologio. Ha al polso un Casio digitale. Certo, con la vita che fa, deve spaccare il minuto, penso ironizzando. Ne guardo il quadrante e leggo la data: 23 dicembre 1984 mentre la suora mi guarda e sorride. “Sono le diciannove e zerotto”. Anch’io sorrido “Gra…
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