Letteratura
Il sontuoso favolismo meridionale di Gaetano Cappelli
Solo adesso mi passa tra le mani questo libro ameno di Gaetano Cappelli: Romanzo irresistibile della mia vita vera, raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi (Marsilio, 2012). In un tempo di rattristamenti collettivi un tocco di leggerezza e di frizzante intrattenimento tornano graditi. Abili meccanismi di seduzione, sontuoso favolismo meridionale, eleganza e snellezza narrativa, queste sono le formulette che mi vengono in mente alla chiusura del libro dal titolo lungo, come sempre ormai per scelta deliberata dell’autore, alla maniera dei film della Wertmüller, che esordì proprio con una pellicola, “I basilischi”, ambientata nella regione di Cappelli, la Lucania. Se ci fosse spazio nella copertina aggiungerei anche il sottotitolo “un provinciale alla scoperta del mondo” che lo lega in rapporto di filiazione – esplicitato peraltro dall’autore in alcuni rimandi interni nel libro che abbiamo tra le mani – con il suo capolavoro indiscusso di Parenti lontani .
Ma sono solo questi i meccanismi posti in azione da Cappelli? Si aggiungono brillantezza e scioltezza proprie di una mano redazionale attenta quanto sardonica nella resa di quei momenti descrittivi che possono crocifiggere qualsiasi scrittore inconsapevole o convenzionale ma che in Cappelli – di fronte al mare visto da Ravello per esempio – hanno esiti come questo: “ Il sole intanto era tramontato da un pezzo ma all’orizzonte, nella vastità del mare, se ne percepiva il ribollio nascosto dietro un drappeggio di cirri blu, arancio e viola sopra il quale la prima stella della sera mandava i suoi riflessi a intermittenza tipo un segnale che chiunque poteva decifrare anche senza conoscerne il codice: que-sta-è-la-bellezza-del-mon-do, diceva”.
I personaggi di Cappelli si muovono nel mondo delle sensazioni, nella vita dei sensi, un mondo filtrato a ritroso attraverso l’iridescenza del ricordo. Cappelli schiva la complessità, ma anche le insensatezze della vita mentale, tenendosi perciò discosto il più possibile dalla pesantezza delle idee e concentrandosi sulle malizie del sesso, corteggiando la pigrizia, ma anche la sprezzatura e il prestigio regressivo della vita di provincia, gli incanti di un approccio all’esistenza che già prima di aspirare alla leggerezza, è essa stessa leggerezza. In quegli anni – gli anni Settanta sono di scena nel romanzo – è sulle idee che ci si scannava però. Il nostro protagonista ne è in qualche modo consapevole e invero tenta l’approccio con le complicazioni mentali, si sforza di dialogare con libri come L’uomo a una dimensione o il pensiero di Proudhon pagando in qualche modo il pedaggio alle inclinazioni, predilezioni, ossessioni di quella generazione, ma subito storce la testa irretito dalle sue Alcine di provincia. Le sensazioni dunque e non i pensieri, non le idee. Cappelli resta al di qua, in un mondo consapevolmente pre-ideologico se non anti-ideologico. Averle eluse in qualche modo le idee (ma non lo hanno fatto gli scrittori che più gli somigliano, parlo di Philip Roth o Brancati, o per restare in ambito meridionale il Bruno Arpaia del Passato davanti a noi o lo stesso Francesco Piccolo del Desiderio di essere come tutti che “pescano” nello stesso decennio ) ci lascia incerti nel decifrare se ciò sia dovuto all’esibizione e alla difesa di un mondo provinciale orgogliosamente fedele ai suoi riti e ai suoi miti secolari, refrattario da sempre, quando non ostile, alla malia dei pensieri, o piuttosto una forma beffarda ed ellittica della contestazione delle idee stesse après coup: la contestazione postuma della Contestazione?
Come lettore che aspira all’oggettività devo fare non poca fatica per astrarre dalla mia spontanea e consentanea complicità di coetaneo e di quasi conterraneo (tra l’altro rientrerei nell’etichetta individuata dallo stesso Cappelli, nel corpo del romanzo, del Lemenosta, il lettore meridionale nostalgico) per non essere rapito dalle atmosfere rievocate dal ricordo davanti ai cruscotti delle vecchie 1100, i vecchi registratori Geloso e i giradischi Lesa, dalla narrazione dei primi folgoranti incontri con il mare del Sud, dalle emozioni suscitate dai primi sguardi femminili. Sono queste le seduzioni messe in atto dalla scrittura di Cappelli, questo il suo mondo narrativo e simbolico, questo il suo sguardo sul mondo: è il talento di un narratore che si è sviluppato sui canovacci mentali condotti sulle seghe (come candidamente e semplicemente spiega la voce narrante) e poi confrontato con la letteratura, con il mondo della scrittura professionale e le sue straordinarie complicazioni, visto che non si tratta più o solo di accompagnare uno sfogo, ma di portare in stazione tutti i “treni”: quello narrativo, quello espressivo, quello ideologico (non-ideologico in questo caso) e infine quello strutturale.
Percorrendo i sentieri ameni della narrazione pura si aprono inaspettati anditi laterali in cui viene attratto lo sguardo del lettore, si tratta delle goduriose ecfrasi, i pezzi di bravura descrittivi, i più difficili per uno scrittore (in cui era maestro Gadda per intenderci) come quello della galleria degli ex voto del santuario della madonna di Pompei, pezzi di vita quotidiana del Sud povero e devoto come pochi sanno cogliere con acume visivo in una serie di tavolette votive pittate da mani naïf. La resa delle modalità in cui si pone a noi il visibile resta sempre la stessa da quel dì: la narrazione, la descrizione, l’elenco, l’enumerazione, la massima, l’aforisma. Nella svelta procedura redazionale di Cappelli tutto ciò trova leggero e ironico soddisfacimento.
Privati del peso delle idee i personaggi si muovono dunque con il tono leggero e svagato del vaudeville francese, dell’operetta viennese, della commedia leggera ungherese, dico, un tono leggero e vaporoso che dopotutto risponde all’intenzione esplicita dell’autore: tenere la nota in una forma di melodismo narrativo consapevole quanto spontaneo (il protagonista, Giulio Guasso, è un musicista peraltro). Quando si muove in questo elemento, che è diventato libro dopo libro la sua “voce” subito riconoscibile tra le tante che affollano la repubblica delle lettere italiana, Cappelli trova il suo stato di grazia che difficilmente ha uguali riscontri.
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