Letteratura
Il sistema patriarcale è possesso, controllo, manipolazione e denigrazione
“ Perché l’amore, l’amore è un colpo di pistola
L’amore, l’amore è un pugno sulla schiena
È uno schiaffo per cena
l’amore ti tocca appena”
Un moto di compassione e sdegno ha giustamente accompagnato l’ennesima uccisione di una donna. Ormai lo diciamo e ripetiamo quasi tutte, è arrivato il momento di fare una rivoluzione culturale, e di smontare realmente gli stereotipi di genere e la cultura dello stupro.
Eppure “Educate i vostri figli a rispettare le donne”, è una scritta che in questi giorni si trova su tutte le bacheche. Vuol dire che se quell’ ignobile di Filippo Turetta ha ucciso Giulia Cecchettin è in fondo colpa dei genitori che non lo hanno educato al rispetto delle donne. Si parla di educazione emotiva e all’affettività nelle scuole. Personalmente sono sempre stata attenta a portare in classe temi di attualità, mirando a sviluppare la capacità di gestire autonomamente le emozioni e le relazioni. Ē pur vero che non tutte le scuole sono dei luoghi di benessere, accettazione e accoglienza. Immagino che, pur non potendo negare l’imprinting fondamentale del background familiare, i genitori, gli insegnanti, e ciascuno di noi, sappia che nel campo dell’educazione non c’è corrispondenza esatta tra un’azione e i suoi esiti; l’educazione di una persona non è l’effetto soltanto dell’azione dei suoi genitori o dei sui insegnanti. Educazione è i libri che leggiamo, i film che guardiamo, le persone che frequentiamo. Per quanto si possa ricevere un’ottima educazione, c’è sempre la possibilità di ricevere pessime influenze da cattive compagnie e, fortunatamente, è vero anche il contrario: per quanto sia orribile l’educazione ricevuta, può sempre verificarsi l’opportunità che qualcuno ci aiuti a diventare una persona migliore.
L’ educazione è il frutto costante e pervasivo della cultura in cui siamo situati, e la cultura di cui siamo imbevuti è una cultura ancora intrisa di stereotipi, di soprusi, di violenza, di mancanza di considerazione per la vita dell’altro, di patriarcato.
Negare l’esistenza di una cultura patriarcale che permea ogni ambito della nostra sfera personale e collettiva si rivela falso e controproducente: sessismo e maschilismo si manifestano continuamente nella nostra quotidianità in modo più o meno esplicito e negare questa evidenza non fa che alimentarne il meccanismo discriminatorio.
L’esistenza del gender gap, il drammatico numero di femminicidi, la violenza di genere ormai prassi quotidiana e la disparità di salario sono solo la punta dell’iceberg degli effetti dell’ambiente patriarcale in cui viviamo. Oltre a queste evidenze drammatiche, tanto consolidate da costituire lo “status quo”, esistono poi decine di atteggiamenti discriminanti più sottili che vengono spesso percepiti come “tollerabili” o addirittura “innocui” dalla società e, per questo motivo, più difficili da combattere. Il catcalling e le battute sessiste e a sfondo sessuale, mascherate dalla goliardia, rendono infelicemente esplicita la visione retrograda che ancora si ha della donna: ora come “angelo del focolare”, ora come oggetto sessuale e mercificato.
Ē interessane notare lo slittamento semantico dell’espressione “dignità femminile”, che originariamente connotava un pudore tradotto in reticenza, per cui la maggior parte delle vittime non osava denunciare reati come la violenza maritali, gli stupri e gli incesti: solo dagli anni 70 in poi, la dignità per la donna ha traslocato dalle mutande ed è mutata in diritto di essere protagonista nel mondo e di essere rispettata in quanto persona. Il legame con la donna è stato ed è fortemente segnato dal verbo avere, che basta da solo a render passiva lei e asimmetrico il rapporto: “farò di tutto per riaverti”, e di contro gli orrendi “darla via” “me l’ha data” sono forme linguistiche che chiariscono più di tante analisi come siamo stati educati. Rimandiamo tutto alla sfera della proprietà, lei possiede un valore statico che concede a lui che lo prende.
Un ottimo esempio di ingiustizia discorsiva – termine con cui si intende una minore possibilità di “fare le cose con le parole”, di agire efficacemente nel mondo sociale, di costruirlo e trasformarlo attribuita a un gruppo sociale oppresso- che sottende la cultura dello stupro e dei femminicidi è quello di Elizabeth Benneth, in ” Orgoglio e pregiudizio”, la quale rifiuta la proposta di matrimonio di Mr Collins. All’epoca una donna aveva ancor meno potere di fare le cose con le parole di adesso. Per cui, nonostante Lizzy sia chiarissima dal primo momento, Collins proprio non le crede: é convinto che le schermaglie di Elizabeth siano solo il segno della civetteria dell’epoca, il modo tipico delle ragazze un pò frou frou di dire di sì dicendo di no. Lo sforzo di Lizzy di essere presa sul serio era impossibile all’epoca perché a parlare era una donna per cui non viene ascoltata.
La violenza che vorrebbe ridurre l’altro a un oggetto nelle nostre mani non ha nulla a che fare con l’amore, ma è solo una distorsione patologica o meglio, una sua profanazione.
Se l’esperienza amorosa ci confronta con il desiderio di trattenere con noi la persona che amiamo, di sentirla solo nostra, di condividere la dimensione incondivisibile della sua libertà, é perchè in realtà, ciascun amante sa che l’incanto dell’amore può sempre finire, che non é già scritto che sia per sempre. Il ricorso alla violenza può essere il tentativo disperato di evitare il rischio della perdita e della fine che ogni amore comporta, imponendo all’amato una sorta di laccio indissolubile. La violenza dell’appropriazione vorrebbe trasformare la donna in oggetto senza vita piuttosto che essere esposti al rischio di perderla, anziché confrontarmi con l’assoluta libertà dell’altro preferisco farmi padrone assoluto di questa libertà. Voglio fare dell’amata una “roba mia” come direbbe il Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga, metterla nella sua cassetta come invece desidererebbe l’avaro di Molière.
È un’attitudine tipicamente maschile, fondata culturalmente sull’ideologia patriarcale che attribuiva alla donna come unico destino – o meglio, come la sola emendazione possibile della sua peccaminosità intrinseca- il diventare madre. È la nota opposizione patriarcale tra la donna/ Eva – fonte di tentazione e distruzione – e la madre Maria- fonte di ogni bene- che ha ispirato l’uso necessario e terrificante del fuoco, teorizzato dai domenicani nel Malleus meleficorum (il martello delle streghe), come strumento di tortura, espiazione, purificazione e redenzione finale della donna dal potere immondo del diavolo che la possiede. La strega appariva come il simbolo del carattere anarchico e indomabile della femminilità che rifiuta di adattarsi passivamente alla rappresentazione patriarcale della donna come custode del focolare e madre premurosa dei propri figli. Solo nel sacrificio di sé, della propria libertà e dei propri desideri, una donna, secondo quella cultura, poteva redimere la propria natura peccatrice e tentatrice e la debolezza innata del suo intelletto – incarnata nella figura biblica di Eva- consacrandosi masochisticamente alla sua funzione di genitrice e di serva obbediente della famiglia. Nell’ideologia del patriarcato la donna non tutta madre è la prostituta: Eva la peccatrice contro Maria la vergine.
Nondimeno, il corpo della donna resta solo un falso bersaglio sul quale si scatena la violenza maschilista. In realtà, questa violenza ha come suo vero obiettivo quello di intaccare, di colpire la libertà della donna, di trasformare la donna nella cagna di Hitler: Blondi. Hitler amava le donne che somigliavano alla sua cagna, una cagna obbediente e scodinzolante disposte a tutto per lui, ma senza mai poter avere un reale rapporto con lui. Come la cultura patriarcale abbia cercato di estirpare la libertà, sinonimo di alterità, dal corpo della donna, appare ben descritto con forza drammatica in una scena dell’”Amica geniale” di Elena Ferrante, nel gesto del ragazzo che cerca di strappare letteralmente la lingua a Lila perchè si rifiuta di obbedire ai suoi comandi. La colpa imperdonabile di Lila sarebbe stata quella di aver umiliato il fratello minore del ragazzo in un’aula scolastica mostrandosi assai più preparata di lui. La lingua diventa, allora, metafora essenziale della libertà; ridurre Lila al silenzio strappando la lingua significa voler privare l’altro della sua libertà sottomettendo la donna al potere del maschio. In questo caso l’esercizio della violenza da parte del ragazzo si sposa perfettamente con il sadismo in difesa del proprio onore di maschio che ha subito un affronto.
Un amore può essere tale solo se è eteros, ovvero amore eterosessuale non in senso anatomico, ma in senso etico: amore nella sua alterità, amore per una donna o non è amore. L’amore è amore per una donna se, appunto una donna incarna nel modo più radicale possibile l’esperienza della non omogeneità, del non identico, della differenza. Questa premessa ha come conseguenza il fatto che l’amore è sempre un’esposizione rischiosa alla libertà irriducibile dell’altro. Non c’è amore possibile se non c’è fiducia senza riserve verso un “Altro” che so di non poter mai conoscere veramente, che so essere veramente eteros, differente da me e impossibile da possedere. Eppure l’amore implica sempre un desiderio appropriativo. Non si tratta, come prova a fare il protagonista della “Ricerca del tempo perduto” di Proust o quello della “Noia” di Moravia, di imprigionare, di possedere la libertà dell’amata perché sia solo mia. Il disegno che accompagna ogni amore é più sottile: non voglio che il possesso dell’amato escluda la sua libertà, non voglio ottenere la sua assoluta fedeltà limitando la sua libertà come accade, per esempio, al protagonista della “Recherche” che costringe Albertine a vivere rinchiusa nella propria casa. L’ambizione dell’amante è differente: egli desidera che l’amata gli sia fedele, che sia solo sua, ma come frutto di una scelta assolutamente libera e non come esito di una forma di coercizione. Il sogno di ogni innamorato è possedere la libertà dell’amato in quanto libertà, possedere la sua libertà lasciandolo libero. Ma come può esistere, si chiedeva giustamente Sartre che rifletteva su questo paradosso intrinseco a ogni amore, una “libertà prigioniera”? Non é questa una chiara contraddizioni in termini? Il paradosso è che se impedisco all’amata di essere libera, mutilo il mio stesso desiderio amoroso, che può esistere solo grazie alla libertà dell’altro.
Moravia, nella “Noia”, lo ha illustrato con precisione mostrando che, per Dino, Cecilia acquista davvero valore di un oggetto amoroso ed erotico solo attraverso la sua assenza, il suo essere altrove, il suo tradimento. Quando invece Cecilia è a sua disposizione, presente, di sua proprietà scatta la noia:
“La figura di Cecilia, la quale, finché l’avevo sospettata di tradirmi, era stata davanti agli occhi viva e reale benché misteriosa, anzi, appunto perché misteriosa; adesso che dubitavo del suo tradimento, ridiventava irreale e noiosa come nei giorni passati”.
Il bivio in cui si trova il protagonista del romanzo di Moravia, è un bivio che può ricorrere spesso nell’esperienza d’amore. Da una parte c’è un possesso che tarpa le ali al desiderio perché il desiderio ha la necessità di cogliere l’altro non come oggetto a propria disposizione, ma come un vero e proprio soggetto, dall’altra parte, però, se imbocco questa via – la via che attribuisce all’amata la dignità di un soggetto pienamente libero – se rinuncio ad ogni desiderio appropriativo, se come chiede la dignità dell’amore, provo a disarmarmi di fronte alla libertà dell’altro, sono costretto fatalmente a fare esperienza della sua irriducibilità, del suo essere inappropriabile. Non posso comprare, incarcerare, possedere la libertà dell’eteros, ma solo amarla nella sua alterità. Per questo ragione per Proust l’essere della donna amata é sempre un “essere “in fuga”, anche quando la stringiamo tra le braccia; insomma, un essere che per sua natura non può mai essere nostro.
“Per capire l’emozione che suscitano, e che altri esseri anche più belli, non causano, bisogna riflettere che essi non sono immobili, ma in movimento, e aggiunger loro un segno corrispondente a quello che, in fisica, indica la velocità”.
Il fatto che Proust definisca l’essere amato in movimento mostra bene il rischio che ogni amore implica. Se l’amata è immobile nel suo corpo quando questo è nelle mie braccia, tale immobilità é solo apparente perché anche tra le mie braccia, come giustamente ci ricorda Proust, il suo essere è sempre altrove. Non posso mai appropriarmi della sua libertà.
Coloro che lamentano di essere senza amore, desiderano davvero esporre la propria vita al rischio che l’impatto con questa alterità irriducibile comporta? In particolare questo vale per gli uomini, per i quali l’incontro d’amore è un’esperienza che erode fatalmente la loro identità. È infatti l’innamoramento che rende un uomo simile a una donna, ovvero più esposto al rischio dell’amore, della perdita e della mancanza. In questo senso l’amore porta con sè un grande rischio: l’esperienza dell’amore mina sempre la nostra identità rendendoci mancanti. Destabilizza la nostra autosufficienza rendendoci dipendenti dall’altro: l’amata non è ciò che deve riempire un vuoto, “ti amo perché mi manchi”, ma é ciò che apre un vuoto “mi manchi perché ti amo”.
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