Letteratura

Il caso del Sole 24 ore e il saturnismo delle classi dirigenti

15 Marzo 2017

Le cronache del Basso Impero capitalistico che oggi si chiamano gossip si sono scatenate nel narrare la “conspicuous consumption” (consumo vistoso secondo l’autore della “Teoria della classe agiata”, Thorstein Veblen) della nostra classe dirigente. Attorno alla crisi drammatica del “Sole 24 ore” si addensano perciò  storie sapide e raccapriccianti, che il voltaggio espressivo dei cronisti leggeri, che pure intravedono il sangue, addolcisce nei toni stinti del glamour, della reticenza e dell’allusione, in assenza di atti processuali inoppugnabili.

Si favoleggia che il direttore del “Sole 24 ore”  (quello del “Fate presto!”) si facesse  recapitare bistecche fiorentine sul suo tavolo direzionale e che capricciosamente le rifiutasse se non erano abbastanza calde. Quel “Fate presto!” aveva forse altri destinatari.  Si narra anche  di copie di libri propri – che la corriva editoria non nega di pubblicare a nessuno che porti un cognome di affamati di fama -,  acquistati dallo stesso direttore nelle librerie e cestinate al solo scopo di gonfiare il numero delle copie vendute e rinsaldare il proprio ego, così come l’inchiesta in corso ipotizza facesse anche con le copie vendute del suo giornalone economico.

Non meno dispendiosa e sontuosa era la vita di altro amministratore come racconta Monica Sette nel suo pezzo dal titolo che è già una fiera delle vanità “ Benedini, l’altro dominus del Sole 24 Ore. Smeraldi a colazione e vita da nababbo tra feste e champagne

Anche le crisi di Rcs, Alitalia,  Mps, Pop.Vicenza e altre banche locali, nascono da scriteriate scelte gestionali compiute dai vertici aziendali al vaglio di una magistratura sempre più indaffarata a scoperchiare marmitte rancide di malaffare annidato in tutti i meandri della vita sociale, politica, economica del Paese. Una magistratura peraltro che non esita a massimizzare la propria attività inquirente  al fine di costruirsi  una carriera tutta propria nei settori indagati, con speciale predilezione per la politica. Il Basso Impero non si nega nulla.

È sconsolante osservare quanto la storia sia noiosa e ripetitiva allorché scopri che le sorti dell’Impero romano come di un impero economico dei giorni nostri possano mutare se ai vertici si insedia un Nerone o un Marc’Aurelio. Sono le personalità che fanno la storia? Hegel si industriò attorno al quesito, concludendo che Neroni, Severi o Napoleoni contano sino ad un certo punto perché in fondo sono manovrati dall’astuzia della ragione, e che, le grandi personalità fanno ciò che lo spirito del tempo (zeitgeist)  della loro epoca impone.

Quale sarebbe la razionalità della nostra storia economica così cupamente declinante? Quale lo spirito del nostro tempo? Tento  l’ipotesi del saturnismo delle classi dirigenti.

Ci sono tesi, non si sa quanto fantasiose, che attribuiscono il collasso dell’Impero romano all’avvelenamento da piombo (saturnismo) non solo del “populusuqe romanus”  (le condutture erano di piombo e finanche il rossetto delle donne era a base del micidiale minerale) ma soprattutto del “senatus”,  delle classi dirigenti, le quali bevendo litri di falerno da otri rivestiti di piombo si avvelenavano il cervello perdendo la necessaria lucidità. Non erano quindi le lettere e le arti a corrompere le prische virtù romane, come sosteneva Rousseau, per il quale la decadenza era già iniziata con Ennio e Terenzio  addirittura, allorché Roma, fondata da un nerboruto pecoraio,  s’era allontanata dai sentieri probi della pastorizia per inoltrarsi in quelli del sesso e delle droghe soprattutto letterarie (leggete lo spassosissimo “Discorso sulle scienze e le arti”).

Santo Mazzarino nel suo classico “La fine del mondo antico”, in una rassegna delle varie tesi sul crollo di uno dei più importanti Imperi della storia,  cita Otto Seeck   e la sua  “Geschichte des Untergangs der antiken Welt” (1894-1920) “La storia del tramonto del mondo antico” a cui Sprengler rubò il titolo per allargare la tesi di Seeck all’intero Occidente. Orbene l’argomentazione di fondo di Seeck era quella della “distruzione dei migliori” (Ausrottung der Besten). Roma affondò perché non seppe più selezionare la sua classe dirigente.

A questo mi sembra di assistere oggi: la distruzione dei migliori e l’incapacità dell’establishment ormai totalmente saturnizzato di saper selezionare un’aristocrazia legittima all’altezza dei suoi compiti.

Tutto ciò è tanto più drammatico quando il saturnismo sembra fiaccare Milano, la città  che ha visto personalità come Raffaele Mattioli  e Giuseppe Luraghi   i quali,  a dispetto di Rousseau, sapevano combinare industria, finanza e corrotte lettere,  o, per dirla con Musil, “l’anima  e il prezzo del carbone”, sapendosi muovere elegantemente tra soldi e libri. Personalità  a cui aggiungerei il dimenticato, funambolico e geniale Luigi Rusca   che si occupò della celebre collana Medusa e della BUR,  organizzò il turismo italiano, ristrutturò la Rai, ed ebbe anche, oltre a curare il “Breviario dei laici”,  l’alzata di ingegno di fondare la fabbrica di cessi a Catania (la Cesame) che diede da mangiare alla famiglia di mio zio e indirettamente anche a me. Riconoscenza eterna.

Circa la tesi estrema del saturnismo delle classi dirigenti, agli storici e ai sociologi le spiegazioni più particolareggiate. Ma di “farfalloni” che si aggirano nei posti di comando se ne vedono troppi in Italia. Il fenomeno mi pare drammatico e irreversibile. Ci stiamo avvelenando del piombo fuso di idiozie liquide e in circolazione nel corpo sociale. Ci stiamo soffocando di mediocrazia.

Aggiungo un’ultima considerazione sul filo della storia. Sono riformista convinto e detesto le rivoluzioni, che esplodono quando non si sanno o non si vogliono fare proprio le riforme. Le rivoluzioni non fanno altro che spostare i problemi da una spalla all’altra senza nulla risolvere. Ma difronte al dramma dei lavoratori turlupinati da dirigenti felloni capisco, da plebeo enragé,  i sanculotti francesi quando infilzarono le teste degli aristocratici alle picche: erano quegli aristocratici  in polpe che la populace era obbligata a portare in spalla nell’attraversamento delle  pozzanghere perché i patrizi non si sporcassero  le scarpine di raso.

Ah! ça ira. Par justice, la nation l’aura.

 

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L’immagine di copertina. George Grosz. Caféhaus, 1915

 

 

 

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