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Il Regno di Ippolita

13 Settembre 2022

Le vie della Rete sono infinite. È un mondo dove tutto è possibile e dove, a volte, i messaggi nella bottiglia arrivano in mani ricettive.

Ho scoperto, per puro caso, un blog letterario che però non è solo letterario. È qualcosa di diverso, ma in senso di debordante. Positivamente debordante. Dopo la mia recensione della recente vincita del Premio Campiello mi arriva subito una comunicazione dalla regina di un regno fatato la quale, anche lei, insieme a una sua amica, avevano trovato quel libro così premiato alquanto indigesto. Credo che lo abbiano espulso colla citrosodina granulare, che bevi per dimenticare il mal di mare viscerale che questo mondo ci dà.

Si tratta del Regno della Litweb, ideato, gestito, curato da Ippolita Luzzo, la Regina di questo regno senza limiti. La Regina accoglie chiunque voglia scrivere di letteratura negli spazi del suo regno, senza paure. Lo scopo è comunicare. Comunicare è una parola grossa, oggi, dove la comunicazione serve soprattutto per vendere, vendere tutto, dall’acido muriatico alla sogliola per la cena, dalle mutande tre per due all’albero di Natale, dagli organi di qualcuno a sé stessi. La comunicazione, nel Regno di Ippolita, invece si occupa di cultura, di libri, di poesia. Non pretende di vendere nulla, Ippolita, anzi, solo diffondere qualcosa che contiene in sé sensazioni, sentimenti, illuminazioni, riflessioni, anche oltre gli indefiniti confini del suo regno. E spesso parla di letteratura non pubblicata, che, magari senza di lei, resterebbe chiusa in un cassetto e bona lè.

Ma nel Regno di Ippolita succede di più. Lei è fine scrittrice, con un linguaggio talmente ricco e vario che può stordire. Ha un ritmo musicale, innanzi tutto. Non dimentichiamo che la lingua è suono e, soprattutto, che lo scopo principale di una lingua è la comunicazione. Se questa comunicazione avviene in maniera musicale abbiamo qualcosa che si avvicina alla perfezione. Molti suoi pezzi viaggiano liberi, qualsiasi argomento trattino, dalla cronaca nera all’elegia, risuonando sullo schermo. Io immagino il suono di questa lingua, un suono che vuole esprimere la voglia di libertà che, nella maggior parte dei casi, è negata dalla comunicazione ufficiale, quella blasonata di grandi testate giornalistiche o di case editrici dominanti, dove voraci editor, spesso istruiti per distruggere anziché assecondare gli autori, divorano magari una lingua ricca ed elegante per renderla innocua e così accontentare la mediocrità. Figurarsi se una Regina come Ippolita potrebbe sopportare un simile sopruso. Mai sia! Nel Regno della Litweb si respira quindi quest’aria di libertà. Per questo ve ne parlo oggi. È GRATIS!

Ippolita Luzzo ha pubblicato quest’anno, per Città del Sole, in occasione dei dieci anni della nascita del blog, una raccolta dei suoi pezzi del primo anno di vita del suo Regno, quasi un diario: Il primo pezzo non si scorda mai. L’ho letto in poche ore, pieno di suggestioni, pensieri, punti di vista, nella splendida lingua musicale della Regina Ippolita.

Ne propongo qui due stralci dove potrete constatare come quello che vi ho detto è autentico e non sciatta piaggeria.

Una delle sorprese più interessanti è che il Regno di Ippolita, pur non avendo confini, espandendosi nella Rete, in realtà nasce in Calabria, una regione bellissima e martoriata, che sembrerebbe esprimere assai poco a livello culturale, almeno nell’immaginazione mainstream. Invece no, la Calabria è terra di poeti, come Pasquale Creazzo, bardo antifascista di Cinquefrondi (RC), andatevelo a cercare.

Visitate il Regno della Litweb al link http://trollipp.blogspot.com/?m=1

 

Martedì 4 giugno 2013

Un libro può – da Il Quotidiano di Calabria

Lunedì 3 giugno, pagina 14, Il Quotidiano di Calabria:

Cirò Marina – Lo lascia e lui la pesta, in coma.

 

Il padre della ragazza: Non denuncio perché è inutile ma scriverò

un libro.

Leggo l’articolo con commozione, con partecipazione.

Vicende così, di maltrattamenti, sono frequenti, meno usuale è

la risposta.

Scriverò un libro.

Tolstoj scriveva per giustizia. Raccontava le falsità con tensione

morale, raccontava e cercava una società buona, ci indicava

sempre una luce…

Leggo di nuovo le parole del padre della ragazza, mi sembrano

bellissime, Tolstoj ne sarebbe stato felice.

Cercare una luce nello scritto e condividere la sofferenza in

unione con chi leggerà forma una comunità che forte ci renderà.

Sono parole di Tolstoj, l’unione che vince il male, la disunione

accresce il male.

Bene ha fatto la giornalista a sottotitolare un articolo di violenza

con il proposito di un padre che va oltre il suo momento personale

e vuole dare un avviso a tutte le adolescenti.

Un gesto di volenza non è un gesto d’amore – lui dice.

A Cirò Marina come in ogni altro luogo del mondo comune,

noi, che amiamo leggere e scrivere, deleghiamo a pensieri scritti

una verità semplice di ragionevolezza, di non imposizione, di non

soprusi.

Nel tribunale ideale, senza carceri e senza pene, il giudice si

appella alla coscienza dei presenti in un immaginario confessionale

lavacro storico di ogni comunità.

Se un libro possa o non possa lavare coscienze sporche, se un

libro possa o non possa illuminare vite buie, noi questo non lo

sappiamo, nessuno lo sa, ci basta però tendere un foglio, un blog,

un racconto per dare aiuto a noi stessi e agli altri di noi in un bene

comune che chiamiamo persona.

La dignità di questo uomo, di un padre addolorato, la sensibilità

della giornalista e del suo quotidiano, il mio leggere accorata

e di chi mi leggerà costituiscono insieme la società giusta e dolente,

l’aperto cielo dove gli ideali, come aquiloni coloratissimi,

scriveranno sulle nuvole regole eterne di rispetto per chi sta giù.

Un libro è per tutti un libro che va… oltre la violenza e la cattiveria,

oltre il disgusto e la rabbia, oltre l’impotenza.

Un libro può.

 

Giovedì 6 giugno 2013

Scrivere Polvere

Scrivere polvere – la storia di chi scrive al sud.

 

Chiudo il libro e sento lo stomaco stretto, ingoio un vuoto

spesso e polveroso, mi alzo dal lettino retato che mi aspetta ogni

giorno al sole del mio piccolo terrazzino assolato, mi rigiro con

il libro in mano e tante associazioni nella mia mente: figure, anime

come lo zio della mia amica Elisabetta che stendeva ottimi

canovacci di commedia dell’arte, persi, mai scritti, oppure scritti

su polvere, come lo zio del mio amico Piero che riportava su quaderni

neri, fitti fitti, i fatti di tutte le generazioni precedenti, persi,

oramai nella polvere.

Le lettere di mio nonno a mia nonna – strappate – mio nonno

scriveva benissimo, suo padre lo tolse da scuola, lo mandò in

campagna a fare la rame alla vigna, mio nonno si riscattò, non

scrisse più, perse, nella polvere di un vivere piatto e comune, i

suoi pensieri.

Allora la vita nel sud aveva tempi lenti e tragici scanditi dallo

sciupìo di una leggera allegria.

Quale allegria…per essere stato ucciso quindici volte in fondo

a un viale…

Senza allegria. Un sud dove il malocchio, la jella, sono il mercato

nero di sentimenti atavici e mostruosi, dove il bozzo sulla

testa, frutto di una noncuranza, segna per sempre e decide il destino

di uno solo e trascina quello di tanti.

Senza allegria – Un sud tragico da vero e proprio mangia polvere,

come le nostre strade che non portano mai a niente.

Un libro scritto sotto un tavolo, fra le briciole, scritto a testa in

giù, scritto per riscattare i tanti, i troppi scrittori silenziosi e dolenti

che hanno impresso sulla tela pulviscolante del nulla i geroglifici

di anime non comprese e addirittura modellate dalla plastilina

fino ad assumere l’orrido aspetto del Poeticchio.

Un mondo duro, un mondo nero, e la copertina del libro è nera,

con riquadro sangue, con cuore appeso al gancio ed esposto

alla finestra sociale.

Senza pudore e senza misericordia… il sud che è stato, il sud

che ancora è, sotto la coltre del consumo, dei centri commerciali,

dell’arroganza del potere, della sciatteria dei cenacoli che continuano

a lasciare solo polvere alle anime pure.

Un libro denuncia sommessa, un libro, che fra maledizioni e

chianche infestate dalle erbacce dei trulli pericolanti, trova, nell’asfittico

spazio della poesia, il canto e la luce degli affetti, unica

speranza salvifica che nulla venga più scritto sulla polvere.

Scrivere polvere – primo romanzo di Daniele Semeraro, lo

pubblica Incipio – una collana per esordienti della Lupo editore.

Un inizio non più nella polvere ma nel foglio, nel libro che apparterrà

ai lettori, che leggeranno tutto quello che una sbadata

scopa portò via da sotto il tavolo di tutti noi.

 

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