Letteratura

Il processo

10 Agosto 2022

 

Hanno telefonato, dicono che verranno
già che si trovano a passare dalle mie parti.
Sono due coppie, più giovani di me e più impegnate:
chierici rossi, o neri; a lume di chiesa o d’officina
(per dirla con Montale).
So già cosa m’aspetta.
L’ennesimo processo, in questi anni d’oscurità e di passione.
Anni vissuti a cuore duro, sola, coi polsi che tremano,
sempre sulle tracce
d’una felicità non mai raggiunta, o fuggita di mano.
Eccoli che suonano; entrano in casa come da padroni,
imbaldanziti e arcigni,
logorati dalla lotta e più che dalla lotta
dalla sua mancanza umiliante.
Siedono sui divani, dopo gli inevitabili saluti
imbarazzati. Penso a questo incontro
se si può cavarne un senso che non sia di rimorso e basta,
e sto senza parole aspettando l’affondo.
Le coppie danno segno di fastidio, ma non fiatano
e masticano gomma guardando me o nessuno;
forse fuori dai vetri, il giardino e gli ulivi,
il lago raso rigato da un solo cigno.
Inizia uno dei due mariti, tra ironico e furente.
«Tu? Non sei dei nostri». Mi fissa a lungo e attende.
Crede. Da sempre milita nella fede di Cristo, ostinato
nel lavorio d’un animale strano tra formica e talpa.
«Guardati, guardati d’attorno». E sento il privilegio
della mia condizione, la colpevole ignavia
che mi fa prigioniera.
Cerco per la mia mente un nido,
così taccio davanti a lui che aspetta
aspettando a mia volta e intanto penso.
Come una cateratta infine, come un vulcano esplode.
E c’è dentro di tutto: i bambini africani,
profughi musulmani, e chiese in disarmo,
l’egoismo di pochi padroni del mondo e di me
che non mi oppongo, non combatto, non prego
o prego in solitudine evitando il confronto.
«E’ terribile tu non sia dei nostri».
Ora smarrito e indignato di fronte al mio silenzio,
chiede aiuto alla moglie
che muove a un sorriso
colpevole le labbra,
tra beffarda e strana, e mi rinfaccia
questa conoscenza avuta a sprazzi nel buio.
«Sei tu che non accendi la luce, o non vuoi.
Non dire che non puoi».
Punta i suoi occhi impenetrabili che non so se guardano altrove, e dove.
Le piante, il pianoforte, il mio inqualificabile benessere.
«Prova a fidarti, ad affidarti…»
Gemono quelle labbra tormentose
schiacciate contro i denti.
«Faccio beneficenza. Aiuto chi è nel bisogno». Provo a scusarmi,
e forse indulgo alla menzogna per viltà o per comodo,
se dico «Non ho odiato mai. Né fatto male con consapevolezza».
I silenzi si fanno più frequenti
e lunghi. «Ho cresciuto da sola due bambine».
Tento la carta della compassione.
«Non confondere il privato col politico». Interviene
il compagno che era rimasto zitto prima.
Fiducioso della buona sorte
dell’anima e, perché no, della rivoluzione inesorabile ch’è alle porte.
«Non sei carne né pesce. Non ti schieri.
Non partecipi alle sorti della terra».
«E’ difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino
per me era più lungo che per voi
e passava da altre parti». «Quali parti?»
E mi fissa con un suo sguardo fluido e arguto.
Ancora non intendo se m’interroga
o continua per conto suo un discorso senza origine né fine.
«Devi crescere: crescere in amore
e in saggezza». Interviene la moglie, pasionaria
di antiche barricate, ormai solo mentali.
«Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze»
e non mi riconosce né la profondità, né l’ardimento.
Rispondo infine aggrappandomi a qualcosa,
sia pure alle mie colpe. «Non credo
di essere importante, ho fatto il poco che mi è riuscito».
E ancora «Abbiamo avuto in sorte tempi duri».
Ma loro, compagni esperti del dolore del mondo,
rincarano le dosi. «Possiedi tutto, per dare di più.
Scuotiti, agisci, scegli». E io,
in questa specie dimessa,
in questo aspetto avvilito: «Scrivo. Scrivo versi
che spero dignitosi».
Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito. «Non basta».
È la condanna,
la ruggine impalpabile che chiude ogni discorso,
di arringa o di requisitoria.
Ma uno dei due uomini si ostina:
«Qualcuno cede, qualcuno resiste nella sua fede
tenuta stretta». Gli fa eco quell’altro,
a modo di saluto o di viatico: «Combatti!
Questo vuole il tuo tempo, perché non gli vai incontro?»
Con movenze felpate e caute si avviano alla porta,
i quattro liberati da un peso, e soddisfatti.
Mentre io sento il morso del rimprovero soltanto.
«E adesso, dove state portando il vostro
inflessibile rigore, la vostra pungente coscienza marxiana?»
vorrei chiedere, ma mi precedono sul tempo.
«C’è un outlet qui vicino, ci hanno detto.
Si può fare qualche acquisto firmato a buon prezzo.
Sai se è molto affollato di domenica?»
Giorno offerto al Signore.
Guardo il lago indifferente,
le sue vele lontane. E mi esorto in silenzio:
«Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà sia più perfetta».

 

Omaggio a Mario Luzi, rileggendo Presso il Bisenzio da Nel magma

In Omaggi, Einaudi, Torino 2017

 

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