Letteratura
Il “pizzino etico” del padrino coinvolge Dostoevskij?
Il “pizzino spirituale” di Matteo Messina Denaro, dove esprimeva il rifiuto del rito religioso della sua morte, additando i possibili celebratori come uomini di peccato, offre un notevole spunto di argomentazione fin qui non affrontato.
Quello che potrebbe sembrare un colossale paradosso, dato dal peccatore impenitente e feroce che ne indica altri nelle vesti di sacerdoti di Dio, ritenendoli indegni di officiare in presenza della sua salma, potrebbe rappresentare, in realtà, un esemplare sofisma dostoevskiano, dove la linea di demarcazione tra il bene e il male viene limata fino a renderla quasi invisibile.
Un volgare assassino, bestiale mafioso e latitante irriducibile, accostato a una ricercata concezione del male che fa da etereo contraltare al bene? Un uomo violento senza pentimento e uno stragista militarista, degno di essere contemplato dalla grande letteratura mondiale?
In Dostoevskij, com’è noto, sono tanti i personaggi che tendono al bene. Ne “I fratelli Karamazov”, Alëša si avvicina a essere considerato un santo e vive una sua estasi divina.
Il Raskol’nikov di “Delitto e Castigo” viene presentato all’inizio come una persona ordinaria e semplice, che rispetta tutti con naturalezza. Ma, poi, diventa assassino, slegandosi, nella piena libertà interiore, dalla lotta tra il bene e il male, e accorgendosi, nella sopportazione della sua colpa, che prende a prediligere il bene con lo stesso animo con cui ha perseguito il male.
Anche ne “I demoni”, i protagonisti si spingono verso il male come Raskol’nikov, ma, a differenza di quest’ultimo, sono spinti da un vuoto interiore devastante. Lo stesso vuoto che abitava lo spirito di Matteo Messina Denaro? Non vorrei che il mio tentativo di far rientrare quest’ultimo in una logica letteraria di assoluto livello venisse confusa con un assurda pretesa di elevare la persona medesima a “personaggio letterario”. Sarebbe davvero da sciocchi cadere in questo equivoco! Matteo Messina Denaro è stato e resterà, nella mia concezione di semplice appassionato di Dostoevskij, un crudele malvivente di successo, appartenente alla schiera dei potenti e facente parte di un ordine costituito di comando, tutto sommato lo stesso contro cui muovevano i personaggi tormentati del grandissimo scrittore. Tuttavia, la domanda articolata da cui ha preso origine la mia riflessione resta ancora in piedi: Il male, tutto il male commesso dal padrino appena scomparso, sia pure in dimensioni estese a dismisura, è lo stesso analizzato da Dostoevskij? E perché mai dovrebbe differire? Non vi si riscontra, forse, pena, colpa, delitto, castigo e sofferenza?
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