Letteratura
Il pensiero negli occhiali
Ti fanno compagnia mentre il pensiero non è ancora sorto, la scintilla che lo fa scoccare non si è illuminata.
Li tieni tra le mani e li tocchi con cura ed attenzione, perché temi che si rompano.
Quando li togli, la vista è annebbiata e poco chiara e gli occhi diventano duri, non li puoi roteare e le palpebre vanno irrimediabilmente stropicciate.
Gli occhiali per chi pensa sono cose amiche. Sfiori la stanghetta, pulisci delicatamente le lenti con una pezzuola che ti consente anche di accoppiare i polpastrelli delle dita, come se si intrecciassero corpi anelanti amore.
Li porti alla bocca e sono penzoloni: in questo preciso momento il pensiero, che vorresti compiuto, incomincia lentamente a baluginare. E le labbra della bocca si stringono, perché gli occhiali non devono irrimediabilmente cadere. Infatti se ciò accade il pensiero rovina, si obnubila ed i neuroni e le sinapsi non partoriscono maieuticamente alcuna riflessione.
Con la mano li togli dalla bocca ed il tuo sguardo diventa vitreo e pesante, ma il pensiero baluginato incomincia a forgiarsi.
Ed allora inforchi gli occhiali, perché ti diano conforto e siano mezzo per ricercare un libro, per trovare un foglio pregno di appunti alla rinfusa, per rinvenire quel quaderno ove erano stati riportati acerbi pensieri che fanno, per quello che stai elaborando, da levatrice.
Togli un’altra volta gli occhiali e li lasci cadere in mezzo a tanti libri, fogli, agende, altre pratiche. Non ti accorgi di averli riposti sotto qualche fascicolo e, come un bimbo forsennato che cerca la sua mamma, ti poni alla spasmodica ricerca per ritrovarli, perché sono necessari alla vista: infatti non ne puoi far a meno.
Ma il momento più duro e problematico per gli occhiali si avverte quando si va a letto. Più che un letto sembra un’arena, un campo da gioco.
È qui che la mente sedimenta le sue concettualità e gli occhiali svolgono una precipua funzione.
Nel letto leggi un libro, un giornale ed hai accanto a te la matita e l’occhiale. C’è ancora chi ama sottolineare ciò che legge per rubare qualche citazione o per ingentilire ed arricchire un lessico oramai rudimentale e scarno.
Gli occhiali si fermano sulla fronte, perché se sei miope non ne hai bisogno: da vicino gli occhi funzionano a meraviglia e la vista è nitida.
Se sei presbite allora gli occhiali si fermano sulla punta del tuo naso: sarà come una panchina per l’adagiarsi di un corpo stanco o come un ramo per il riposo del passero o come la spalla seducente di una fanciulla sfiorata da una farfalla colorata.
Con gli occhiali la lettura è piana, facile per il presbite. Sarà attento a riporli sul comodino o nell’apposito astuccio: oggi si possono anche piegare e diventano piccolissimi.
Il miope no: è un distrattone, perché gli occhiali non sono necessari né per scrivere, né per leggere. Ed allora se incombe il sonno che ti avvinghia e ti tramortisce, ti senti come un pugile suonato e gli occhiali non si ritrovano più. Stanno spiegazzati ed accartocciati nel letto, infilati tra le lenzuola e nel dimenarsi della notte si sono conficcati sotto il cuscino o nell’incavo della testiera o nel recesso della scocca.
La mattina li cerchi e nulla si rinviene.
Come si fa?
Ricordi che ieri stavi leggendo e li tenevi sul naso e ti sei addormentato tra le braccia di Morfeo oppure li hai tolti in bagno, perché le abluzioni si fanno senza occhiali.
Ti hanno tradito.
Ma quando il ritrovi sorridi e li accarezzi ed il pensiero scivola nella penna e si compone sul foglio.
È fatta.
Biagio Riccio
(Il dipinto è del Maestro Biagio Cerbone)
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