Letteratura
Il “pagamento” di Eichmann, poter dire “sono una SS”
Hannah Arendt: «Nessun giudizio, Vostro Onore: eravamo in tanti».
Adolf Eichmann: «……..».
A: «Nessun giudizio, Vostro Onore: eravamo in tanti».
E: «……..».
A: «Nessun giudizio, Vostro Onore: eravamo in tanti».
E: «……..».
A: «Nessun giudizio, Vostro Onore: eravamo in tanti».
E: «……..».
Eichmann. Dove inizia la notte, atto unico di Stefano Massini, Fandango Libri. La rappresentazione teatrale di vittima e carnefice. Centoquattordici pagine dirompenti, fredde, viscerali, profondissime, razionali, emotive, piene e vuote di passione. Avete in mente gli occhi di Stefano Massini quando fa i suoi pezzi a Piazza pulita? Occhi che sprigionano la durezza della bontà e la follia della ragionevolezza.
L’inciampo del Giorno della Memoria è, appunto, un “inciampo”, una ricorrenza, tra qualche giorno, ieri, chissà. Qui, ora, sul palcoscenico delle pagine, ci sono solamente loro due, come ce li ricordiamo dai filmati del processo in Israele o dalle immagini di archivio. E le loro parole, incessanti, attanaglianti. «Il linguaggio, Herr Eichmann. Il linguaggio è lo specchio, sempre, di cosa sentiamo davvero. Ci pensi: la chiamavate “Soluzione Finale”. Non avevate il coraggio di dire “Massacro”. E il gas di Globočnik? Era un “Trattamento Speciale”».
Ma poi, dice Hannah, «le grandi masse fanno così: scordano tutto, velocemente, in un attimo. E non per distrazione, no. Lo fanno perché condannare gli altri – condannarli davvero – è pericoloso: corriamo il rischio, prima o poi, di sbagliare tutti. E nessuno vuol essere fatto a pezzi».
Ci vuole coraggio. Da sempre, e ancora. Anzi, no, non il coraggio, la dignità. «Il coraggio in fondo è una cosa di un attimo», vero Herr Eichmann?, il coraggio «fa rumore, abbaglia. Ci senti sotto l’orchestra come nei film, trombe, violini. Ecco, sì, il coraggio è cinema. Perfino un vigliacco può avere un attimo di coraggio, nella vita, e non cambia il fatto che era e resta un vigliacco. No. Più del coraggio è la dignità. Molto di più. Perché la dignità, se ce l’hai, ti resta incollata addosso, è parte di te». «Ognuno ha la sua idea di dignità: per Hannah Arendt e Sophie Scholl è ribellarsi. Per me era rispettare gli ordini. Stiamo su due fronti opposti». Già, due fronti opposti. Ieri, oggi, domani. (Sophia Magdalena Scholl, Forchtenberg 9 maggio 1921 – Monaco di Baviera, 22 febbraio 1943) è stata un’attivista tedesca legata alla resistenza d’ispirazione cristiana, appartenente alla Rosa Bianca. Scelse la ribellione non violenta al regime. È considerata martire dalla Chiesa cattolica e uno dei simboli della lotta alla dittatura nazista).
Così il dialogo immaginario tra l’SS-Obersturmbannführer Eichmann, esperto di questioni ebraiche, responsabile operativo della soluzione finale, organizzatore del traffico ferroviario per il trasporto dei deportati ai campi di sterminio (sfuggito al processo di Norimberga, scappato in Argentina, individuato e rapito dal Mossad, processato in Israele, condannato a morte per genocidio e crimini contro l’umanità) e la giornalista politologa filosofa Hannah Arendt (suo il resoconto del processo ad Eichmann per il New Yorker, poi diventato il saggio La banalità del male), ci interroga senza un attimo di tregua. Si è appena concluso il processo. Siamo nel 1961. Gli atti raccontano un uomo qualsiasi, senza nessuna indole maligna radicata nell’animo. Eichmann non ha mostrato alcun rimorso per ciò che ha fatto. Non lascia trasparire altro che la triste mancanza di consapevolezza di ciò a cui stesse partecipando. Non a caso dichiarò di essere entrato nel partito nazista senza aver mai letto il Mein Kampf, con la naturalezza dei mediocri. Di coloro che non pensano alle conseguenze dei propri gesti, di coloro che non hanno spessore, non solo morale ma anche culturale. Che monito!
Con la Arendt noi cerchiamo, grazie a Massini, dove comincia e perché comincia il male. «Ci sarà un momento, preciso, in cui prende forma. O no? Deve esserci. Tutto ha un inizio. Quell’attimo impercettibile in cui si passa dal nulla al qualcosa. È questo che cerco io, da lei.”
Perché poi, come non essere d’accordo con Hannah?, c’è qualcosa di talmente… stupido nel male. «Sì: stupido. E guardi che non parlo delle coincidenze. Dico che il male si nutre di paura. Ne ha bisogno. Voi eravate fieri che la gente tremasse, anche solo a vedere una divisa. Portavate i teschi coi coltelli incisi nei distintivi. La paura, certo, la paura. Eppure, a sentirvi parlare, è così chiaro che ad avere paura eravate per primi voi». La paura. Non ci dice qualcosa anche oggi?
Herr Eichmann si indigna: «Non mi pagavano». «Oh sì. La pagavano con un verbo essere: “Sono un SS”. Dare a qualcuno un verbo essere è una buona forma di stipendio». C’è chi lo preferisce ai soldi.
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