Letteratura
Il napoletano non è dialetto, ma lingua purissima, di poesia
I giornalisti a Sanremo hanno sbagliato nei confronti di Geolier.
È stucchevole quanto accaduto a Sanremo: non viene premiato Geolier, perché si sostiene che la sua musica sia irrorata da un dialetto e non dalla lingua italiana.
Ma la proposizione dei giornalisti che hanno cambiato il verdetto di Sanremo si presta a confutazioni necessarie.
1- Anzitutto se piacciono le canzoni inglesi non significa che tutti ne comprendono il testo. Le stesse meravigliose composizioni di Pino Daniele sono state rese in dialetto nei primi anni.
2- Geolier è un fenomeno, prima di Sanremo e non grazie a Sanremo.
L’intelligente battuta di Fiorello secondo cui piace al 67 per cento degli italiani e dunque rappresenta da solo il valore di una coalizione, è la misura del suo indiscutibile successo, soprattutto tra i giovani.
Ma il dire che il dialetto napoletano sia meramente tale e non una lingua, non può essere condivisibile.
Fu già Benedetto Croce a chiarire che Salvatore Di Giacomo ( quello che ha scritto “Era di Maggio“) era tra i poeti di valore europeo, anche se componeva in dialetto.
La stessa Sofia Loren ama precisare di essere anzitutto napoletana e poi italiana.
Per non disquisire di Vittorio De Sica che ha girato molteplici film a Napoli, ove ci veniva anche per divertimento.
Lucio Dalla in un’intervista dichiara di amare Napoli, con particolarità sublime.
Senza scomodare Eduardo e Troisi, che in “Ricomincio da tre” precisa di non essere un emigrante.
E questo è il punto.
Il dialetto napoletano è una lingua: raccoglie in se’ l’etimo greco, arabo, spagnolo, francese, latino e, secondo il linguista Tullio De Mauro, anche quello turco.
È divino, perciò assurge a lingua.
Schizzechea: è un modo di raffigurare una pioggerella fine, sottilissima, a mo’ di schizzi. È una canzone di Pino Daniele.
“M’ Mor accusi” in “Tu si ‘na cosa grande” e’ la dolcissima malinconia, la tenerezza di dire che nessuna lingua sia capace di manifestare l’amore, mor come morire lentamente nel cuore, trafitto dall’abbandono: accusi.
Il dialetto non è veste, dice Croce: è suono, immagine, compenetrazione con la realtà che intende descrivere.
“Era de maggio e te cadéano ‘nzino
A schiocche a schiocche, li ccerase rosse”.
Si potrebbe dire in italiano “a grappoli cadevano le ciliegie”, ma non è la stessa cosa di come rende il dialetto: “a schiocche” perché le ciliegie prime che cadono sono toccate dalle dita, come se dovessero schioccare per sentire al tatto la freschezza e la fragranza, già sensorialmente avvertita prima di gustarle con piacevolezza.
Marcello Mastroianni in “Maccheroni” di Ettore Scola racconta come il napoletano si mette sullo scoglio per sentire nell’inverno rigido il raggio di sole.
Ma quel raggio va descritto: per il napoletano è “a’ lenz ‘e sole“. Un raggio di sole sarebbe pressoché invisibile, invece per rendere la sua portata fisica in una giornata fredda a Napoli si dice ” vorrei na’ lenz e sole”.
Come la lenza dei pescatori.
La lingua partenopea, lo sosteneva anche D’Annunzio, si presta alla poesia, perché è consustanzialmente già di per sé poetica. Compose “ ‘a vucchella”.
Dammillo e pigliatillo nu vaso…piccerillo
comm’a chesta vucchella
che pare na rusella…
nu poco pucurillo appassuliatella..
E questa è una verità oggettiva.
Poi per chi ha il mare e la felicità di un clima mite come qui a Napoli, lo spirito ne è sempre rinfrancato e vola con gli dei che amano questa città.
Ed è così.
Ben forse, siamo sulla strada giusta onde far comprendere l’esclusiva valenza e caratura di Napoli. Mi riferisco alle illuminanti citazioni afferenti Immortali Personaggi abruzzesi e ve ne sarebbero innumerevoli altri che, appunto, hanno concorso a fare di Napoli quello che è diventato. Senza il loro aiuto non credo (a parte il panorama che si commenta da solo senza aver bisogno di null’altro). A titolo esemplificativo: soggettivamente, ritengo, specie per la musica, che Mare chiaro sia primus inter pares nella leggendaria Canzone napoletana ed è stato musicato da Francesco Paolo Tosti; altro lustro dato alla Cultura Napoletana, in economia, dal primus inter pares a livello planetario, Ferdinando Galiani, idolatrato, tra i tanti, dalla zarina di Russia; Isabella Quarantotti (non so se ricordata nella toponomastica partenopea, altrimenti, cosa molto grave), alias, moglie di Eduardo De Filippo (che non sarebbe arrivato a quella gloria); etc. . Peccato che la penna del d’Annunzio (non D’Annunzio) non abbia … pennellata in modo onnicomprensivo ed incipit di presentazione questa irripetibile Terra. Ergo, da ringraziare, senza tema di smentita, il misconosciuto Abruzzo. Luciano Di Camillo