Letteratura

Il mondo da un oblò. I meravigliosi anni ’80 di Gianni Togni

28 Agosto 2022

Chi è Gianni Togni? Un cantautore, senza alcuna ombra di dubbio. Uno che ha sempre percorso chiaramente la sua via, che ha creduto in ciò che scriveva (quasi sempre con il suo amico Guido Morra, che ha messo insieme praticamente tutti i testi delle sue canzoni) e pensava. Un personaggio sotto molti aspetti trasparente e cristallino. Lo si percepisce chiaramente dalla sua musica, fresca, malinconica, ma mai banale. La sua carriera parte in modo molto deciso, frequenta il Folkstudio di Roma e inizia a suonarci ogni domenica pomeriggio durante la metà degli anni Settanta. Firma un contratto discografico con l’etichetta IT e incide In una simile circostanza (1975). Un sacco di nomi importanti con lui: Bruno Biriaco, Carlo Siliotto, Patrizia Scascitelli, Maurizio Giammarco. La base è un folk con arrangiamenti che lasciano libertà ai musicisti di improvvisare e dare spesso un’impronta jazz al tutto. Un disco acerbo, ma con molti spunti decisamente interessanti (prendo ad esempio “Oggi si muore”, con qualche dylanismo di troppo, ma con dissonanze inattese che uno come Lolli potrebbe anche aver ascoltato con attenzione). Qualche anno dopo sarebbe dovuto uscire un altro disco, lo avrebbe dovuto trainare il singolo “Ma tu non ci sei più”, ma tutto naufraga perché l’etichetta fallisce. Arrivano finalmente gli anni Ottanta.

Nel 1980 esce …e in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento… che applica procedimenti teatrali all’interpretazione e alla scrittura, un mood sognante e un filo diretto con sentimenti puri, e cambia un po’ lo stile. Produce Giancarlo Lucariello, che ha collaborato con i Pooh fino alla metà degli anni Settanta, arrangia Maurizio Fabrizio. “Luna” è un successo, e rappresenta bene le caratteristiche di quasi tutto l’album: un pianoforte protagonista, ma leggiadro e dolce, e archi di miele a tracciare il percorso melodico. Episodi più spinti, che essenzialmente applicano scelte simili di arrangiamento, ma imprimono una forma più evidente nelle ritmiche, si intravedono in pezzi tipo “È bello capirci” o la conclusiva “Voglia di cantare” (con un uso ben più incisivo della chitarra elettrica). Tuttavia l’andamento è estremamente omogeneo.

Si cambia definitivamente marcia con il successivo Le mie strade (1981), un disco che fa capire in che mare vorrà navigare Togni per qualche anno. “Ombre cinesi” è lanciata su un soft rock che schitarra sapientemente, poi ci sono altre cose molto intriganti come “Avanspettacolo”, che parte con un gancio-chitarra elettrica e racconta che “sì, è bello se la vita è avanspettacolo / con quattro gatti fatti là come pubblico”, o “Notte in città” che sintetizza il suono con un Fender pieno di effetti e una fanfara finale, con un testo che accoglie un giusto ed elegante edonismo: “Volo da solo / lavoro in clandestinità/ qualche sigaretta / e la notte si è fatta / mi aspetta matta in città / io senza fretta / su una bicicletta / me la godo tutta”. Sono pezzi come questi che caratterizzano l’autore romano, ci danno l’idea che la pulizia del suono, la freschezza degli arrangiamenti e delle melodie siano una cosa fondamentale per poter pronunciare nel modo giusto la parola “pop”.

Il 1982 è l’anno di Bollettino dei naviganti, lo stile è il solito, si aggiunge qualche folata elettronica, con rivoli di synth che spuntano qua e là e testi che sono perfettamente in linea con ciò che è stato scritto nelle ultime uscite. La sensazione è che ci sia un po’ meno ispirazione rispetto al disco precedente, ma la tenuta c’è e pezzi come “Il volo delle piume”, con sax infuocato sul finale, accendono l’entusiasmo. Gianni Togni (1983) ha invece la hit “Per noi innamorati”, che però non è al livello dei suoi pezzi migliori, e il disco non ha una gran spinta creativa, tutto rimane troppo dentro i ranghi. Si salva qualche brano come “Alberi” e “Anna dei miracoli” per grinta e passione, ma generalmente il troppo intimismo non aiuta.

Nel 1984 è la volta di Stile libero, c’è Serse May a programmare e si sente che il suono cambia, si ispessisce e rende anche più rotonda tutta la concezione del pop di Togni. C’è spazio anche per l’incursione in nuovi generi (sentire il reggae jazz di “I viaggiatori tornano”) e si capisce che la mente del nostro autore è in pieno fermento. Anche le ballate iniziano a trovare ossigeno dal suono che le avvolge (penso all’equilibratissima “Se me ne andrò”) in maniera meno ossessiva. Belli pure gli intrecci di “Quello che mi va di fare”, che con tocchi minimali e un solo di synth quasi liberatorio, dà il senso di libertà che vuole comunicare: “Io non ho, non ho niente per me / non m’interessa che vuole la gente / quello che mi va è fare l’amore con te”. Stile libero è un bel disco, con il quale il suo autore non ha evidentemente paura di osare e inclinarsi sul lato illuminato del synth pop pur mantenendo profondamente l’anima soft rock. Ma il 1984 è anche l’anno del super successo “Giulia”, che ridimensiona il nucleo synth e osserva nuovamente dietro a sé, nel passato. Tuttavia il pezzo, con la sua natura ciclica e un gran gusto nella sua concezione ritmica, funziona molto.

Nel 1985 esce Segui il tuo cuore, mixa Brad Davis. Si respira un’aria più internazionale, una voglia di portare il suono oltre i confini, e nonostante nella scrittura dei brani qualcosa non convinca pienamente, gli arrangiamenti sono variopinti e colorano un ambiente che nonostante tutto ha subito una piccola rivoluzione al suo interno. Dall’italo disco della title track al rock diretto e sfumato di electro arpeggi di “Colpo di fulmine”, dal sinfonismo quasi prog della notevole “Tutti quei giorni” agli squarci da big band sintetica di “Come in quest’istante io che sto pensando a te”, tutto si regge e gira facilmente. Anche Di questi i tempi (1987) procede su strade simili, ma è decisamente più bello e compatto del disco precedente, ci dice che c’è un obbiettivo che deve essere centrato, basta aggiustare ancora un po’ la mira. Il sound è molto attuale, gli intrecci armonici funzionano, si respira molta fusion, è dunque il preludio e la preparazione per spiccare il grande volo. “Di questi tempi” è infatti un disco che cerca l’equilibrio perfetto tra modernità, gusto e classicismo togniano. C’è tutto il dolce e lo zuccheroso tipici del nostro, ma l’energia dei brani stavolta risiede veramente negli arrangiamenti e nei volumi sonori. Questo lavoro aiuta Gianni a comprendere che è arrivato il momento di cambiare il modo di pensare la musica. Dunque capisce che serve una brevissima pausa per riflettere su cosa ha realmente prodotto con queste ultime uscite.

Arriva quindi il 1988 e il capolavoro è alla fine pronto: esce Bersaglio mobile che è confezionato assieme a musicisti del calibro di Manu Katché, Pino Palladino, Maurizio Giammarco, Mel Collins. È l’atmosfera che è cambiata, l’atteggiamento è molto più serioso, si esce dall’intimo e si entra in un discorso più universalmente umano e anche politico. Si pensi a il primo pezzo dell’album, “La nube tossica”: “Lo so che va / va sulle nostre teste la nube tossica / lascia nel cielo una striscia di veleno / va e chi la fermerà / tutta la vita / contaminerà”. Il testo ci racconta un mondo che deve fare i conti con qualcosa di ancora sconosciuto, una nube che, dall’inquinamento atmosferico al disastro di Chernobyl, ci minaccia e lo farà sempre di più. Il brano procede quasi tutto in levare, gran senso del ritmo, groove dolcemente plastico. Il senso è qui, e avvolge musicalmente stavolta anche Togni che è come se si facesse un po’ da parte. In “Desideri irrealizzabili” si percepisce tutta la ricerca di una raffinatezza continua, tra gli incastri lievemente funky delle chitarre al solo di synth sax. “Nannarè” è invece una ballata flamenco con umori tribali, cerca il dialetto per arrivare all’origine: “Nannarè siamo tutti figli tuoi / tu che figlia non sei stata mai”. La chitarra la culla e la guida. “Il tradimento” è un cyber reggae che parla di fine del secolo e perdizione; “Vola almeno tu” plana su beat elettronici appena accennati, tappeti synth e sax cosmici e racconta di un aldilà raggiunto e serafico; “Fuori dagli schemi” è una serenata modernissima che raggiunge la pace dell’electro r’n’b con un piano da chicago house. Su “Peggio per te” invece c’è un funk in fiamme e minacce vellutate che accompagnano verso i sapori etnici e meditativi di “Messaggi in codice”, che chiude sul sax di Mel Collins. “Superstar” è il degno finale, riflessione semplice ma diretta di una vita che dedica tutto a sé, ma fa anche di sé l’oggetto unico dello spettacolo, che comunque vada, si sa, deve continuare. Bersaglio mobile sembra insomma l’obbiettivo di una vita, anche se forse nato con grande travaglio e frutto di una sofferta voglia di cambiare, è il disco decisivo di tutta la carriera di Togni, il disco che lo nobilita e lo fa entrare finalmente con forza negli autori italiani che contano.

E dopo questo decennio, cosa c’è? La carriera di Gianni Togni continuerà anche finiti questi splendidi e incredibili anni Ottanta, con altre avventure e altri progetti, forse non lucidi e vivi come quelli messi in ordine in questo periodo, ma di sicuro capaci di ricordare ancora a un uomo come lui che cosa vuol dire essere un cantautore.

 

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