Letteratura
Il mite: il cuore nella ragione
Il mite è il contrario del prepotente: non urla, non impugna coltelli, non ricorre al sostegno di bravi, non ostenta, ragiona, medita, riflette, non è remissivo e tantomeno apatico o inerte. Umiltà e mansuetudine sono la terra che consente alla mitezza di fiorire, germogliare, ma il mite non è povero o umile, bensì forte, perché conosce le sue ragioni e le fa valere con fermezza che non è prepotenza o tracotanza. Egli convince, persuade, conduce l’altro ad argomentare, ad avere e cercare il dubbio per far crollare le sue false certezze, le sue verità non riconosciute. Il mite, come scrive Barbara Spinelli, lo si nota per come incede, per il tono della voce, per come traversa l’oscuro, forte di una luce che non si sa bene da dove venga. Il mite non è nei cieli, ma quaggiù, tra noi.
Evita le risse, la contesa, la lotta, non perché è pavido o ha paura, ma perché vuole condurre tutti a ragionare, a trovare nella parola, nel dialogo, nella conversazione la soluzione. Cerca sempre la luce nell’altro, nel quale deve far germogliare maieuticamente il senso della misura, della medietà, affinché possa essere smorzata la sua tensione alla violenza, placata l’ira.
Se scansa il rumore, l’asprezza della disputa, i tumulti egoisti o di gruppo, è perché vuole neutralizzare il livore infecondo, la rivolta effimera che vede profilarsi all’orizzonte.
Sa, come diceva Kant, che l’uomo è un legno storto, che in fondo la bestialità del violento va solo curata, rimossa, perché l’uomo è dotato di ragione e ha la parola che serve ed è funzionale alla costruzione del pensiero, all’argomentazione, alla persuasione.
La mitezza è una verifica della via, della ricerca della soluzione a ogni costo, un collaudo del proprio sapere e voler essere. È una virtù che è in cerca di espedienti, per placare l’ira e rimuovere la violenza. E l’espediente che cosa è? Lo rivela l’etimologia: un estrarre i piedi dall’avversità, dai conflitti, dalle antinomie. Il metodo del mite, a differenza di quello del remissivo o anche del modesto o dell’umile, sa farsi elastico, sa piegarsi, adattarsi alle circostanze, si immedesima nell’altro, scava nella sua coscienza, per capire, nei recessi della sua anima, da dove provenga la violenza. Per il mite è paradossale che l’uomo sia superbo e tracotante: se ha perso la ragione, il mite è lì per fargliela ritrovare, rinvenire. Attraversa, con il carico dei suoi dubbi, il cerchio di fuoco, senza essere lambito, toccato, sfiorato dalle fiamme divampanti. Il fuoco semmai è nell’animo del mite che è tormentato, quando l’altro è violento e non sente ragione. La mitezza, infatti, è rivolta soprattutto all’altro.
I miti sono paradossalmente i forti e gli audaci, coloro che sopportano le traversie della vita, senza scoraggiarsi o sentirsi umiliati, coloro che tengono le loro passioni sotto controllo, che non si adirano, che non si vendicano, che non si sottomettono al male, ma lo combattono con pazienza e fermezza, senza perdere la speranza.
Il mite erediterà la terra, come è detto nel Vangelo, perché deve cercare qui e non altrove il regno di Dio.
È la sua missione.
Il mite ha il cuore nella ragione.
(Da “Fugaci ritratti” di Biagio Riccio, editore Rubbettino, 2018)
Biagio Riccio
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