Letteratura

Il libro in scena: nuovi esperimenti di Invisibile Kollettivo

14 Ottobre 2019

Portare sulla scena le parole dei romanzi: da questa attenzione per testi pensati non direttamente per il teatro nasce nel 2017 Invisibile Kollettivo, una compagnia formata da cinque attori con un percorso di formazione, nei primi anni Novanta, a cavallo fra lo Stabile di Torino e il Piccolo Teatro di Milano, arrivati alla soglia dei cinquant’anni, con alle spalle importanti lavori con i maggiori maestri del teatro italiano del Novecento, decidono di mettere insieme i loro percorsi e lavorare su quello che potrebbe essere definito un dittico sul tema dell’identità con le letture sceniche dei romanzi “L’Avversario” di Emmanuel Carrère e “Open” di Andre Agassi, spettacoli entrambi prodotti dal Teatro dell’Elfo.

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Lettura scenica significa un lavoro che rinuncia sia alla mediazione di una “lettura registica”, sia al ricorso ad un adattamento drammaturgico dei testi, puntando a rendere tridimensionale la parola scritta solo attraverso i corpi e le interpretazioni degli attori; in quest’ottica diventa fondamentale la presenza fisica dell’oggetto-libro in scena, co protagonista e perno della narrazione. Gli spettacoli, che andranno in scena a partire dal 31 ottobre, rappresentano una riflessione non solo sui temi oggetto dei testi, ma anche sul fare teatro, sul senso dell’interpretazione, da parte dell’attore, d’infinite e molteplici identità.

Abbiamo incontrato l’attrice Franca Penone, alla quale abbiamo fatto alcune domande su questo nuovo esperimento teatrale, sul percorso di scena di Invisibile Kollettivo e sulle due pièce che vedremo rappresentate nei prossimi mesi.

Partiamo dalle basi: da dove nasce il progetto di Invisibile Kollettivo?

Il nostro lavoro nasce da un processo lungo che potrei definire di costruzione di un’affinità. Alcuni di noi sono stati compagni di corso alla scuola di Luca Ronconi allo Stabile di Torino, mentre negli stessi anni c’era chi portava avanti un percorso simile al Piccolo di Milano. Fra di noi c’è sempre stato un rapporto d’intenso scambio, un rapporto di amicizia e di vita professionale. Nicola (Bortolotti) ha frequentato il corso a Torino dopo di me, Elena (Russo) e Lorenzo (Fontana), mentre Alessando (Mor) lavorava al Piccolo: fra di noi da subito è nato un amore reciproco e immediato, una condivisione che non poteva portare ad altro se non ad un progetto comune.

Un percorso che parte dagli anni della formazione dunque…

Assolutamente sì. Noi siamo una generazione bizzarra: abbiamo lavorato con i maestri del Novecento – Strehler, Ronconi, Missiroli, Stein, Branciarioli – ma spesso siamo rimasti come invisibili. Siamo dei quarantenni che hanno avuto la fortuna di lavorare molto come scritturati e che, anche per questo, non hanno avuto molto spazio per un’elaborazione propria, per una ricerca indipendente di una propria poetica. In un certo senso siamo stati prestatori di maschere e la nostra identità, più o meno forte, è rimasta spesso celata sotto il velo delle grandi collaborazioni. Da qui è nata l’esigenza di una riflessione sull’identità che ci ha portato, oggi, alla scelta dei testi in scena che stiamo proponendo.

Parliamo de L’avversario di Emmanuel Carrère e di Open di Agassi…

Certo. Carrère nel suo romanzo affronta la vita di Jean Claude Romand, un uomo che per 18 anni ha mentito, costruendosi un’identità fittizia nella quale è rimasto poi intrappolato arrivando a compiere un gesto estremo. Un racconto che, anche per questioni legate alla biografia del protagonista, rimane aperto, non suggerisce soluzioni o facili risposte, ma testimonia tutta la durezza di un dramma identitario. Una riflessione che, oggi in particolare, in un contesto nel quale attraverso i social risulta molto facile costruire realtà alternative e personaggi e che, al contempo, impone un iper controllo sociale.

Come avete lavorato su questo testo?

Abbiamo deciso di realizzare una lettura scenica realizzata con un rispetto feroce del testo. Questo è stato il nostro “paletto” forte, ma che ci ha dato anche un’occasione di grande divertimento, permettendoci di concentrarci sull’inventiva scenica. Inoltre questo processo di lavoro sui testi ha dato al gruppo una forte cifra identitaria…

Ci puoi spiegare meglio?

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Il processo creativo la impone: noi collaboriamo strettamente in tutte le fasi, in un vero luogo democratico. Tutti, in questo percorso, portano un pezzo, l’opinione di ciascuno viene ascoltata e rispettata. Questo non avviene spesso in teatro, soprattutto quando si collabora con grandi registi che, per approccio, hanno un’attitudine piuttosto impositiva. Qui possiamo permetterci di spaziare, con grande libertà creativa.

Cosa possiamo dire invece di Open?

Open è l’altra faccia della medaglia de L’avversario. Si parla dell’identità di un ragazzino a cui sono state imposte una serie di maschere e che cerca di rompere gli schemi di disciplina nei quali viene costantemente posto. Si tratta di una “falsa” autobiografia, perché scritta da qualcuno che presta la sua penna al soggetto (e un qualcuno che ha vinto un premio Pulitzer, J.R. Moehringer), svelandone via via le maschere, facendolo scoprire, prima di tutto a sé stesso. In fondo si tratta di un riconoscimento di sé, di quel ragazzino che voleva solo giocare a tennis. In questo racconto entrano molti degli stilemi propri della fiaba, degli archetipi favolistici: eroe, antieroe, aiutanti…

Rispetto al libro la cosa curiosa, oltre al rispetto totale del testo da parte vostra, è l’uso di portare l’oggetto libro in scena…

Ricordiamoci sempre che, in questa compagnia, 4 su 5 siamo “figli” di Ronconi e quindi anche del suo approccio al testo. Il libro è poi un filtro in questo caso, parlando di persone viventi e non personaggi: noi portiamo in scena il libro, non la persona. Si tratta di un prodotto di rielaborazione letteraria, non direttamente di vita. Come avviene per il lettore io posso scegliere cosa portare in scena, cosa mostrare. Ogni lettura è soggettiva. Inoltre il libro è anche una maschera. In Open noi calchiamo la scena con la copertina del libro sul volto. Si tratta di un’estremizzazione dell’operazione personale del leggere in fondo e così, al passare di parola, si passa anche il testimone libro. L’oggetto del racconto. Ma vederlo è meglio che sentirlo raccontare…

Calendario stagione 2019/2020

OPEN – La mia storia

31 ottobre 2019, Teatro Le Muse, Flero (BS)

dal 5 al 17 novembre 2019, Teatro Elfo Puccini, Milano

L’AVVERSARIO

dal 20 al 22 novembre 2019, Torino, Cine Teatro Baretti

8 aprile 2020, Casalmaggiore, Teatro Comunale

13 maggio 2020, Brescia, Teatro Santa Chiara – Mina Mezzadri

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Ph. Laila Pozzo

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