Letteratura
Il libro di successo: logiche e follie
Andrea Marcolongo si esercita qui con intelligenza e acume nel cercare di individuare quali sono le logiche sotterranee che determinano fenomeni vasti e planetari come il successo del libro sulle cinquanta sfumature di grigio. Avanza alcune ipotesi sui trend di massa che dominano nelle decadi del nuovo millennio, si interroga sui complessi fenomeni psichici di dominazione e sottomissione che stanno alla base della vita di coppia e sul successo del libro, conduce comparazioni con altri libri di minor successo e maggior profondità, insomma indirizza la sua analisi con il sussidio dell’intelligenza critica in parallelo sia sui testi che sul costume.
Ma la domanda cui tenterò di dare una risposta qui io stesso resta ai margini: c’è una ricetta che ci assicura il libro di successo (di vendite), il best seller? No che non c’è: se ci fosse non ci sarebbero più best seller, perché sarebbero tutti best seller, o no? E allora perché alcuni libri vendono moltissimo e altri no? Si potrebbero avanzare ipotesi maliziose provvisorie: essendo quella anglosassone, a partire quanto meno da Elisabetta I (1533 – 1603), la cultura egemone planetaria, essa impone, sulla forza della propria lingua ormai esperanto universale, i suoi modelli culturali: che siano le saghe nordiche dei maghetti, il gotico alla Walpole, o le storie di punizione a partire dallo spanking, frutto di una pratica pedagogica molto rigida, atta a preparare nei severi college la ruling class destinata ad applicare il severissimo regolamento della Royal Navy (zeppo di punizioni corporali) e a lanciarsi nel controllo dei mari (leggere a tal proposito il trattatello di Carl Schmitt, “Terra e mare”, 1942, sulla potenza marina inglese e su quella terrestre tedesca) per dominare e sottomettere il mondo. In subordine si potrebbe argomentare ucronicamente che se avesse vinto la “Invincibile armada” saremmo dominati piuttosto che dai riti celtici dell’albero (di Natale) e di Halloween, da modelli, simboli, iconografie spagnoli, non so: tele cupe alla Zurbaran, mocciosi alla Murillo, spade di Toledo, pecore dell’Andalusia e romanzi grotteschi, onirici e picareschi come il “Chisciotte”.
Ma saremmo comunque fuori strada e non cattureremmo il nocciolo della questione: perché un libro ha successo e un altro no? A mio avviso occorre fare riferimento non alla critica del gusto, né tanto meno alla critica letteraria, o a quella mista che si muove tra letteratura e costume che è la Kulturkritik alla tedesca, ma a quei processi misteriosi, prima sotterranei e poi affioranti alla superficie come i geiser, che sono i “movimenti collettivi”.
Il più grande studioso dei movimenti collettivi fu il mio prof di sociologia Francesco Alberoni. Ne scrisse in particolar modo in due libri: “Movimento e istituzione” (Il Mulino, Bologna 1977) e in quella specie di summa che è il suo pensiero sociologico, ossia “Genesi” (Garzanti, Milano 1989 ). Alberoni è un intellettuale non molto amato, per varie ragioni: innanzi tutto perché non è dei “nostri”, secondo il main stream intellettuale nazionale, muovendosi sempre nell’alveo della cultura cattolico-liberale conservatrice, berlusconiana per semplificazione brutale. O forse perché ritenuto semplicione e banale per via dell’insistenza su “innamoramento e amore” che dopotutto era nel suo primo libro citato quasi una nota a piè di pagina, costituendo, l’innamoramento, la prima fase allo stato nascente di quello speciale movimento collettivo a due che è la coppia. Alberoni è invece sociologo brillante e originale. Certo, è succeso che invece di continuare a studiare e a fare ricerca – il sociologo francese Bourdieu non ha fatto altro fino alla fine – s’è adagiato sugli allori e sulla facile comunicazione di massa e da allora nessuno gli ha perdonato la piccola omelia sul “Corriere” del lunedì. Ma, da giovane, nel ’69, Alberoni era ancora a Trento (assistette in diretta alla nascita del Movimento studentesco e fu all’inizio molto simpatizzante con esso) ed era ai suoi primi studi, che, ricordo, vertevano su particolari “movimenti collettivi” come la moda e i “crazies” .
Cosa sono i “crazies”? Sono quelle “follie”, che in quegli anni periodicamente irretivano le masse come delle epidemie psichiche collettive: ricordo, una per tutte, “le palline clic clac ” ossia un gioco che consisteva nel far battere velocemente l’una contro l’altra due palline appese a un filo… ospedali pieni di polsi fratturati… Ecco, grazie ad Alberoni, possiamo dire che un best seller è un “crazy”: una folle mania che all’improvviso irretisce, in una reazione a catena, i comportamenti collettivi di milioni di persone. Quali sono le ragioni? Alcune attingono agli strati profondi della psiche del singolo individuo o incrociano momenti e movimenti collettivi particolari dell’evo che stiamo vivendo: ma è dire tutto e niente. Diciamo allora che è un gigantesco movimento emulativo, come quando, nelle grandi folle degli stadi o delle spiagge, all’improvviso qualcuno comincia a correre. Vedrete che saranno in migliaia a farlo: senza sapere perché. Semplicemente perché lo fanno tutti.
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