Letteratura
Il greco non è solo lingua di scienze e filosofia ma simbolo di identità e appartenenza
Nella Sala consiliare del Comune di Frattamaggiore si è tenuta lo scorso 10 Febbraio, la celebrazione della Giornata mondiale della lingua greca che ha coinvolto figure istituzionali in sinergia di scopi con il Liceo “F. Brunelleschi” e “F. Durante”.
Nella Sala consiliare del Comune di Frattamaggiore si è tenuta lo scorso 10 Febbraio, la celebrazione della Giornata mondiale della lingua greca. Sono intervenuti ad animare la serata, il Sindaco di Frattamaggiore, Marco Antonio Del Prete, La Professoressa Daniela Nappa, Dirigente Scolastico del Liceo classico “F.Durante” di Frattamaggiore, Giuseppe Cotroneo, Dirigente Scolastico del Liceo “F. Brunelleschi” di Afragola, la Professoressa Teresa Maiello, presidente della delegazione di Frattamaggiore dell’AICC che organizza, con il Liceo Durante di Frattamaggiore e l’Associazione ex alunni del Liceo classico “F.Durante”, l’Agòn politikòs , gara nazionale di greco antico, arrivata ormai alla VII edizione , accreditata presso il MIUR per le Olimpiadi delle Lingue e civiltà classiche, nata proprio su suo suggerimento, per coltivare i valori del mondo greco-romano.
Tutti sono convenuti sul fatto che investire nei giovani, nella cultura sono la moneta più preziosa che rende ricco un territorio i cui i confini non sono da individuare nei limiti imposti dai confini amministrativi. La definizione di un sistema urbano comprende infatti, oltre alla determinazione fisica dei luoghi, il sistema delle relazioni che si instaurano tra la comunità di persone che individuano nell’appartenenza e nel lavoro sinergico il pilastro della costruzione di un’identità in rapporto alle tante forme di alterità in cui l’io e il te sfociano in un’idea di bene collettivo che può realizzarsi solo attraverso una rete di cooperazione.
Il tema scelto quest’anno è l’amicizia, “Philìa”, in ogni sua molteplice declinazione.
La professoressa Elsa Garzone, docente di Latino e Greco presso il liceo classico “F.Durante”, interviene narrando che ai tempi di Platone, philia è un sentimento tra amicizia e amore, amore omoerotico che nella Grecia classica non è etichettato come diversità o devianza. Philia è l’amore sentimentale, quello che si stabilisce in un rapporto di complice amicizi, di affiatamento e dove si hanno in comune interessi, sogni e opinioni.
Platone, nell’esternare le sue teorie sull’amore, affermava che bisogna scegliere come compagno qualcuno migliore di noi. Non abbiamo bisogno di qualcuno che ci ami per quello che siamo o meglio non abbiamo bisogno solo di questo. Abbiamo anche bisogno di qualcuno che ci aiuti a migliorarci e ad evolverci ogni giorno. Per Platone, il vero amore è l’ammirazione. Il compagno che scegliamo dovrebbe avere quelle qualità che a noi mancano. Se in una coppia ci si aiuta l’un con l’altro, i periodi bui e tempestosi saranno visti come delle opportunità di crescita. Per questo motivo la persona adatta a noi non è solo quello che ci accetta per quello che siamo, ma è colui o colei che ci permette di sviluppare il nostro massimo potenziale attraverso la presenza fondamentale di Eros, Agapè e Philia che si intrecciano e si fondono l’uno con l’altro creando le basi di un rapporto di coppia solido e duraturo.
Antonio Belardo ha evidenziato che la celebrazione di questa giornata commemorativa della lingua ellenica, istituita formalmente con decreto del 2017 dal Governo ellenico per il 9 febbraio di ogni anno, coincide con l’ anniversario della morte del poeta Dionysios Solomòs, uno dei massimi se non il maggiore dei poeti in lingua greca moderna, sostenitore dell’ indipendenza greca e autore dell’attuale inno nazionale. Autore di “Poeti greci del IXX secolo “, ci spiega come la poesia genera philia: Solomos si riuniva insieme ad un gruppo di amici che per diletto verseggiavano, poetavano, usando la lingua demotica cioè parlata dal popolo diversa dalla lingua nazionale detta Katharevouusa. Dilettandosi, il gruppo di amici getta le basi per quella che sarebbe stata la futura poesia neogreca. Il concetto di amicizia diventa, così, tutt’uno con l’arte di poetare.
Il mondo antico è particolarmente sensibile al valore della libertà e alle sue molteplici sfumature. Il greco si serve, principalmente, di due parole distinte per indicare questa condizione: Eleutheria è la libertà nella sua accezione politica, libero è colui che nasce da genitori non schiavi, né è soggetto al potere di un tiranno o di uno straniero. “Esige valore e audacia la libertà”, a forgiare questo verso, ci spiega il professore Antonio Belardo, “e a metterlo per iscritto fu Andreas Kalvos nel 1826 per inneggiare e incitare alla lotta per la libertà il popolo greco e filellenico. Amico e segretario del Foscolo per un quinquennio, si fa portavoce del popolo greco in lotta contro il giogo turco per poi cadere in oblio per circa tre quarti di secolo. La grecità moderna lo riscopre alle soglie del ‘900 e lo sente attuale come non mai durante la dittatura dei colonnelli quale espressione contro ogni forma di tirannia e di privazione di libertà.
L’altra parola che il greco usa per esprimere il concetto di libertà è la Parresìa, cioè la libertà di parola, esercitata sia in ambito retorico-giudiziario, sia nella pratica del dialogo condotto con franchezza e senza timore del giudizio altrui. E di parole nella serata in cui si celebra la lingua e la cultura ellenica ne sono state pronunciate tante, tutte corredate dall’entusiasmo e dall’impegno di alunni da cui sono nati racconti e connessioni con l’epoca moderna.
Il racconto di “miti” – il che è una tautologia, dato che mito vuol dire appunto “racconto” – è stato sapientemente utilizzato come racconto paradigmatico, nella sua funzione conativa niente affatto secondaria: ha funto come una sorta di pietra di paragone per il singolo individuo nel suo contesto sociale, che deve – stando al paradigma mitico – compiere o non compiere certe azioni, adottare o non adottare certi comportamenti. Nel caso della cultura greca arcaica, si è trattato di racconti paradigmatici, l’epos, parola autorevole in una società a oralità dominante.
È nel racconto epico, o meglio attraverso il racconto epico, che sono state filtrate, elaborate e sanzionate le esperienze, le pratiche, i valori di una intera società. L’epos come “enciclopedia tribale”, attraverso cui veicolare una pluralità di contenuti che riguardano consuetudini politiche, valori etici, comportamenti della vita sociale, aspetti religiosi e rituali.
Oggetto della riflessione metalinguistica da parte degli studenti del liceo “Durante” è stata la parola “Amore”.
Per indicare l’amore i greci usavano parole diverse tra cui philia, eros, agape. Derivato dalla radice “agape”, che significa amore disinteressato, sacrificale e incondizionato, la parola “agapao” si riferisce all’amore materno che è quello che prova Andromaca nei confronti di Astianatte o quello di Penelope verso Telemaco. Un esempio importante dell’uso di “agapao” si trova nel cristianesimo in cui agape aveva significato di amore paterno di Dio nei confronti dell’uomo; nella Bibbia serve a ricordare la natura altruistica e sacrificale dell’amore. Nel decalogo di Mosè si opera una differenza tra “Amerai il Signore Dio Tuo” in cui si utilizza la parola “agapesis” da “Non desiderare la donna altrui” in cui si utilizza la parola “epitumesis”. Con “epitomia” si indica un desiderio concupiscibile, diverso dall’agape, che porta al peccato. Mentre epitomia indica il desiderio dell’altro in quanto passione, agape simboleggia il sacrificio, il donarsi per l’altro; eros è conquista, agape è grazia; eros è nobile autoaffermazione, mentre agape è amore disinteressato e dono di sé; eros è determinato dalla bellezza e dal fascino dell’altro, mentre agape ama e accetta l’altro trasfigurandolo. Al desiderio di possesso che si nasconde nell’eros, l’agape sostituisce la donazione gioiosa fino a donare la propria vita per l’altro.
Il discorso più interessante sull’amore è, forse, però, quello di Socrate; attraverso il quale in filigrana si può leggere l’opinione di Platone in materia amorosa. Il filosofo, dopo aver sottolineato di essere stato educato dalla sacerdotessa Diotima riguardo agli argomenti erotici, comincia a descrivere un Eros dalla natura intermedia, a metà tra la giovinezza e la vecchiaia, tra la sapienza e l’ignoranza, tra il non possedere e il desiderare. La posizione probabilmente più vicina al nostro attuale modo di considerare l’amore, è proprio la visione di Eros come intermedio ossia come qualcosa che unisce caratteri opposti, come la privazione e l’acquisizione. È infatti interessante paragonare tale posizione platonica con la psicanalisi che vede nell’amante colui che ricerca nell’amato l’oggetto della propria mancanza. Tale visione dell’amore deriva dalla natura di Eros, che Platone fa nascere dalla sintesi di due forze opposte, quella della madre Penia (Povertà) e quella del padre Poros (Ingegno). Secondo Platone, Eros avrebbe ereditato l’indigenza, il bisogno e dunque la mancanza, dalla madre Penia; mentre avrebbe ereditato la bramosia di cercare ciò che desidera con tutte le sue forze dal padre Poros. In quanto generato durante la festa della nascita di Afrodite, massima rappresentante della bellezza, Eros sarebbe amante del bello, pertanto Platone afferma che l’amore sia il tendere al Bene, anche nel suo manifestarsi come bellezza.
Altra parola su cui gli alunni hanno riflettuto è “Xenia”, l’amore ospitale, un sentimento di rispetto e generosità verso lo straniero o il visitatore. Nel libro settimo dell’Odissea, Ulisse riceve ospitalità presso l’isola dei Feaci alla corte del re Alcino che, impietosito dalla narrazione delle sue disavventure, elargisce doni e gli fornisce una nave per continuare il suo viaggio. Xenia, quindi, come spirito di accoglienza che sembra sopita in un tempo in cui siamo spesso sordi al lamento di chi scappa da dolore e dalla sofferenza, indifferenti a quell’ afflato di solidarietà che dovrebbe investirci dinanzi all’ ingiusto supplizio di altri gli esseri umani.
La Professoressa Giusy Capone ha guidato un’attenta e vitale rappresentanza di alunni del Liceo Brunellerschi in un percorso formativo avvincente. Sapientemente coordinati e preparati, i ragazzi hanno analizzato la parola Amechania, antico spirito di impotenza e assenza di intenzione. Si reputa che tale termine, pur non contando numerose occorrenze, traspaia in filigrana in innumerevoli opere letterarie e filosofiche.
L’analisi condotta dagli alunni ha poi interessato la parolaa Ate che nella mitologia greca era una figura divina, i tragici accentuano anche il suo carattere di giudice e vendicatrice delle cattive azioni. Ate è una divinità che personifica l’essenza dell’accecamento, dell’errore e della rovina. Viene descritta come una forza oscura che spinge gli esseri umani a commettere azioni sbagliate o a prendere decisioni dannose. La sua presenza è spesso associata a situazioni di conflitto, disordine e distruzione. Nemica della philia rompe gli equilibri fra gli uomini, “entità terribile cui è impossibile sottrarsi”, così dice Agamennone pubblicamente nel diciannovesimo libro dell’Iliade. Ate conduce a comportamenti smodati, hyubris, è causa della distruzione dell’oikos e della polis. Nella tragedia attica del v secolo avanti Cristo è parola cruciale ed è intesa sia come accecamento che come sventura, e attesta le vicende di Serse, Clitennestra ed Antigone.
Ate e Amechania lavorano attraverso Clitennestra, attraverso la sua mano e quella del suo amante, Egisto. Clitennestra è il frutto di anni di dolore e umiliazione, dinanzi al cadavere di Agamennone replica di non essere stata lei a compiere l’efferato delitto. L’ uccisione del re che attesta la rottura dei vincoli tra i consanguinei e il legame tra i coniugi è un atto necessario. Donna di potere e determinazione, Clitennestra, sfida le aspettative della società patriarcale greca e presenta un’affascinante complessità, oscillando tra vittima e antagonista. La sua tragica caduta porta alla continuazione del ciclo della vendetta all’interno della sua stirpe.
Sebbene l’Amechania ha poche occorrenze in letteratura, è un concetto che ritroviamo anche nel nostro tempo. È presente in Eschilo così come in Byung- Chul Han, passando per Kafka E Camus.
L’amechania è rintracciabile nell’ assurdo, incarnato da Sisifo, che per Camus si configura come esperienza di impotenza dell’uomo nei rapporti col mondo, con gli altri uomini e con la morte. È la condizione di finitudine umana, sofferta, ma non accettata. La sfida di Sisifo di resistere all’amechania è forse l’essenza della condizione umana, motivo per cui è necessario trasformare l’amechania in una lente per comprendere il nostro rapporto col mondo, una chiave di lettura per affrontare i vuoti esistenziali della modernità.
Incarnazione della condizione di spaesamento esistenziale è il protagonista di Il Processo di kafka. Joseph key è travolto da un sistema incomprensibile senza accesso o via d’uscita, la sua è una condizione di totale paralisi, la celebre frase “qualcuno dovrà aver calugnato key il quale senza avesse fatto nulla un mattino fu arrestato” rappresenta l’impossibilità di comprendere e di agire, condizione che è presente anche nella tragedia greca di Sofocle quando Edipo, che incarna l’amechania, inconsapevole e disperato si acceca nel momento in cui prende coscienza del proprio destino.
La società della Stanchezza di Byung- Chul Han tratta, ugualmente, di aporia, povertà, mancanza di risorse, impossibilità di trovare vie di fuga, impotenza, uno stato in cui l’individuo si sente disancorato dal mondo che lo circonda e non riesce a tessere rapporti veritieri, indissolubili e forti.
La società del 21 secolo è, secondo Han, non più una “società disciplinare, ma una società del rendimento. Noi, soggetti di rendimento, siamo imprenditori di noi stessi”. Questo cambiamento, che apparentemente conferisce autorità e sembra liberatorio, diventa in realtà un boomerang che presto ci colpisce con tutte le sue forze perché nasconde un grande rischio psicologico di cui non siamo consapevoli. La violenza della società sui suoi membri non è scomparsa, ma è stata camuffata ed ora si basa sull’auto-sfruttamento del soggetto: “Questo è molto più efficace dello sfruttamento da parte di altri, perché è accompagnato dalla sensazione di libertà. Lo sfruttatore è lo stesso sfruttato. Vittima e carnefice non possono più differenziarsi. Questa auto-referenzialità genera una libertà paradossale, che, a causa delle strutture obbligate immanenti ad essa, si trasforma in violenza […] In questa società dell’obbligo, ognuno porta con sé il suo campo di lavori forzati”. In sostanza, la nostra società sarebbe l’evoluzione delle società disciplinari e di controllo del passato, ma in realtà non implica più libertà, ma continua ad esercitare il suo potere su ogni persona attraverso l’introiezione del “dovere”. Questa situazione ci trasforma in schiavi della sovrapproduzione, del super-rendimento (lavorativo, ludico e sessuale) e della ipercomunicazione.
Personalmente credo che ognuno di noi abbia i suoi confini: personali, familiari, territoriali. La mia prima linea di confine, come amava sostenere il filosofo Sartre, è ad esempio il mio corpo, poi la casa dove abito, il mio perimetro familiare, la mia città, fino ad arrivare ai confini regionali, nazionali, continentali. La questione è come gestire il nostro rapporto con il confine. Tutto dipende da qui: l’idea sia di me sia che dell’altro, e, di conseguenza, anche dello straniero e della possibilità di trattarlo come ospite o come nemico.
Durante la celebrazione della decima giornata mondiale della lingua greca nella Sala consiliare del Comune di Frattamaggiore non c’era nessun confine, non c’erano ruoli da rispettare, ma la consapevolezza di appartenere ad uno spazio comune il cui collante è stato il senso di responsabilità, l’impegno, l’amore per la conoscenza che finalizzato ad un’educazione volta alla formazione della personalità globale.
Tutti, insegnanti, alunni, personalità istituzionali hanno sperimentato un tipo di amore che declinerei come Thélema, l’amore per il proprio mestiere, per il lavoro ben fatto, portato a termine con maestria. Abbiamo tutti vissuto quel sentimento che si prova quando si riesce a svolgere la propria attività raggiugendo i risultati attesi nel migliore dei modi possibili.
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